2022-01-13
La «Repubblica» dei pensionati e lo strabismo di Tito Boeri
Per anni su Repubblica abbiamo letto dotte analisi che ci spiegavano perché Quota 100 fosse sbagliata, dannosa per le future generazioni e per le casse dello Stato. Spesso i giudizi erano accompagnati da interviste a Tito Boeri, che dell’Inps, cioè dell’ente che si doveva far carico dello scivolo previdenziale, fra il 2014 e il 2018 è stato presidente. Ricordo quando, ospite di un evento organizzato dal quotidiano all’epoca diretto da Carlo Verdelli, il professore e collaboratore di Repubblica disse che mandare in pensione dei sessantaduenni con 38 anni di contributi era una misura iniqua. Anzi, un insulto all’aritmetica, per di più circoscritto a poche situazioni. «Quota 100» tuonò l’economista «è generosa con pochi, ma gli effetti si faranno sentire sulle future generazioni, minando alle basi la solidità del nostro sistema pensionistico» che, spiegò ancora, porterà a un aumento del debito Inps di 100 miliardi di euro. Applausi, dalla sinistra che affollava la piazza e dal quotidiano che ne era il megafono. Peccato che mentre Boeri sparava a palle incatenate contro la legge sostenuta dalla Lega e Repubblica amplificava le sue accuse, i vertici della casa editrice del giornale fondato da Eugenio Scalfari si davano da fare per aggirare le norme e mandare in pensione decine di dipendenti a danno dell’Inps. Operai e impiegati che avevano lavorato una vita, secondo il quotidiano dei compagni, non dovevano andare in pensione anticipatamente, prima dei famosi 67 anni introdotti da Elsa Fornero. Ma i manager della casa editrice posseduta dalla famiglia De Benedetti sì. E per farlo, in barba alle regole bisognava trovare un escamotage, ossia un artifizio che consentisse di truffare l’ente previdenziale, alleggerendo i conti del gruppo editoriale e appesantendo quelli dell’istituto guidato da Boeri. Una beffa, soprattutto considerando che in quel momento il presidente dell’Inps, che era stato fino a prima di assumere l’incarico un valente collaboratore di Repubblica e lasciata la poltrona lo sarebbe ridiventato, era impegnato in un corpo a corpo con il governo gialloverde per impedire che per i più anziani e con più contributi si accorciasse il periodo per la quiescenza. Sì, la vicenda, anzi la truffa, ha aspetti paradossali, che finora sono stati tenuti ben nascosti, evitando che la notizia circolasse. Nonostante un’inchiesta della Procura di Roma con un centinaio di indagati (tra i quali si segnalano i vertici del gruppo e l’amministratore delegato della Cir, ovvero la holding della famiglia De Benedetti) e nonostante un sequestro disposto dai pm per 38 milioni di euro a carico delle società e delle persone coinvolte, non una riga è trapelata prima che la scrivesse La Verità. Anzi, tutti si sono dati da fare per mantenere il massimo riserbo sullo scandalo, perché di scandalo si tratta e per di più con protagonisti fior di imprenditori e di manager, ovviamente tutti politicamente corretti e sempre pronti a dare lezioni di moralità e rispetto della legge. Ma anche quando La Verità ha squarciato il velo su fatti e misfatti all’ombra del pantheon della sinistra, giornali e tv hanno fatto finta di niente, mettendo la sordina alla notizia, perché non sia mai che si scopra che i compagnucci si fanno gli affarucci loro in barba alla legge e alla faccia dei pensionati e di chi ha versato i contributi per quarant’anni, ma ancora gli negano la pensione.Giacomo Amadori con la nostra squadra investigativa spiega, in queste pagine, con dovizia di particolari i fatti. Io mi limito ad annotare un’intercettazione ambientale del luglio 2018 captata in un ristorante romano. Al tavolo erano riuniti il numero uno del gruppo Espresso, ovvero Monica Mondardini, il capo del personale Roberto Moro, il direttore generale Corrado Corradi e l’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro. Nel locale, l’amministratore delegato Mondardini ricostruisce la sua conversazione con il professor Arturo Maresca, docente di Diritto del lavoro alla Sapienza, al quale era stato richiesto un parere «compiacente» a favore dell’operato dell’azienda. Alle obiezioni del cattedratico, il quale spiegava che la società aveva fatto uso di artifizi, evitando di trasferire realmente il personale destinato alla pensione, Mondardini avrebbe risposto: «Lei crede che io sarei qui se fossero stati trasferiti realmente? Io cercherò qualcuno che mi difende… scelga lei, difende me e la società, scelga lei se farlo o no. Le tesi io ce le ho (…) il problema è trovare qualcuno che me le sostiene». Secondo il gip, le frasi sono inequivocabili e dimostrano che la numero uno dell’Espresso «era pienamente consapevole della natura illecita del sistema di prepensionamenti dalla stessa realizzato». Una notizia che, ovviamente, non si deve sapere: ne va della verginità di una testata e dei suoi vertici, perché dimostra come certi capitalisti progressisti risanano le aziende. Ovvero, con i soldi dello Stato. E dei pensionati.
Ecco Edicola Verità, la rassegna stampa del 3 settembre con Carlo Cambi