2019-02-01
La recessione cala sull’Europa. Il Pil dell’Italia scende dello 0,2%
Le stime preliminari dell'Istat fotografano la flessione, dopo 14 trimestri positivi. Giuseppe Conte e Giovanni Tria promettono un rilancio nel 2019. Matteo Salvini oggi andrà a Chiomonte per dare un segnale: «Pronto un decreto cantieri veloci».Occupati al top dagli ultimi 10 anni. Il tasso di chi trova un impiego torna ai livelli del 2008: 58,8% con 202.000 unità in più. In aumento i lavoratori a termine (+257.000), in ribasso quelli permanenti (-88.000).Berlino dimezza le stime sul 2019. La crescita non andrà oltre l'1%. Stracciata la previsione del +1,8% di ottobre. Brusca frenata rispetto al 2,2% del 2017.Lo speciale comprende tre articoli. È il caso di dirlo senza messe misure: l'Italia è in recessione. Le stime preliminari diffuse dall'Istat sulla crescita dell'economia del nostro Paese indicano che nel quarto trimestre 2018 il Prodotto interno lordo è sceso dello 0,2%. Un valore che fa seguito a un'altra contrazione del Pil che è stata registrata nel terzo trimestre dell'anno scorso. Una botta, in realtà ampiamente attesa dagli analisti, che arriva dopo che l'Italia cresceva ininterrottamente dal 2014, cioè da 14 trimestri consecutivi. L'ultimo segno meno si era visto nel quarto trimestre 2013, quando il Pil fece segnare un -0,2%. Ve detto, però, che le difficoltà del Belpaese riflettono quelle del Vecchio Continente, che da tempo ha tirato il freno a mano. Sebbene non si veda il segno meno, nel quarto trimestre il Pil dell'Eurozona è infatti cresciuto solo dello 0,2% (nell'Ue a 28 +0,3%), quando un anno prima segnava +0,6%. Anche su base annua la situazione non è migliore. In Europa, rispetto all'anno scorso, il Pil è cresciuto dell'1,2% (1,5% nella Ue a 28), in frenata rispetto al +1,6% e +1,8% stimati nel trimestre precedente.Anche dando uno sguardo ai numeri dei singoli Paesi, l'Italia è in buona compagnia. Considerando tutto il 2018, la Germania ha chiuso l'anno passato in frenata con una crescita dell'1,5%, lo stesso vale per la Francia, ferma all'1,5%. L'Italia, invece, è cresciuta dello 0,8%. Medaglia d'oro, invece, alla Spagna che ha mantenuto un ritmo più rapido dei partner europei con un progresso del 2,5%.Del resto, non è un segreto che l'economia europea sia largamente sbilanciata verso le esportazioni e, in casi di contrazione del Prodotto interno lordo, questo non è certo di aiuto. Non appena chi importa compra di meno, i mercati ne risentono. Come spiegano i dati Eurostat, nel mese di novembre, il surplus commerciale dell'Eurozona è stato pari a 19 miliardi di euro, in notevole aumento rispetto ai 14 miliardi del mese precedente e al di sopra dei 13,7 miliardi attesi dagli analisti.Il dato indica che le esportazioni sono state pari a 203 miliardi di euro, in aumento dell'1,9% da novembre 2017, mentre le importazioni nello stesso periodo sono salite del 4,7% a 184 miliardi (175 miliardi a novembre 2017).Con questi dati sono in molti a puntare il dito contro il governo Conte, accusato di aver portato l'economia italiana al collasso. In realtà il segno meno in termini di Pil ha iniziato a vedersi negli ultimi due trimestri del 2018, quindi a partire da giugno 2018. Appare perciò improbabile che il governo gialloblù (insediatosi il primo giugno 2018) abbia avuto il tempo di mettere in atto politiche che portassero a questa recessione. «I dati Istat sul Pil testimoniano una cosa fondamentale: chi stava al governo prima di noi ci ha mentito, non ci ha mai portato fuori dalla crisi», ha dichiarato il vicepremier Luigi Di Maio. Dal canto suo, il premier, Giuseppe Conte, ha confermato quanto già anticipato due giorni fa. «È un fattore transitorio», ha detto a margine dell'inaugurazione dell'anno accademico dell'università Cattolica, «anche agli analisti più sprovveduti non sfuggirà che c'è una guerra di dazi tra Usa e Cina che ci troverà tutti perdenti. È una guerra che si sta componendo e che dovrà comporsi e che va a incidere soprattutto sull'export». «La Germania per prima ci sta rimettendo», ha proseguito il presidente del Consiglio, «è il primo Paese per le nostre esportazioni, è chiaro che questo effetto derivato da fattori esterni si produce immediatamente. Non sono preoccupato, a noi interessa concentrarci sul rilancio della nostra economia, che avverrà sicuramente nel 2019, perché inizieranno a svilupparsi tutte le nostre misure». Dello stesso avviso è anche il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, che ha fatto sapere che il dato sul Pil «era atteso ed è determinato dal ciclo economico europeo».In termini di tassi di crescita annui, ha aggiunto ancora Tria, «il 2018 si chiude con un +1%, che restringe il divario di crescita dell'Italia rispetto alla media dell'eurozona (+ 1,2%). Questo dimostra che la fase di recessione tecnica che stiamo attraversando riflette l'impatto sul manifatturiero italiano del forte rallentamento del commercio internazionale e della produzione industriale tedesca». Come spiega il ministro, l'unica soluzione può essere quella di «accelerare il programma di investimenti pubblici previsti dal governo e le altre misure contenute nella legge di bilancio».Per questo, l'esecutivo ha intenzione di sbloccare alcuni fondi per «i cantieri che procedono a rilento», fa sapere Palazzo Chigi. Proprio in tema di cantieri importanti, oggi il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, sarà in Valsusa per visitare il cantiere Tav di Chiomonte. «Sarò al fianco delle forze dell'ordine», ha dichiarato il leader del Carroccio, «a ribadire che i numeri in mio possesso mi dicono che l'opera va completata: sono maggiori i costi nel sospenderla che a ultimarla». «Stiamo preparando», ha detto poi a Porta a Porta, un decreto cantieri veloci per dimezzare i tempi. L'obiettivo è avere un testo da mandare in Parlamento entro il mio compleanno, il 9 marzo». Ora non resta che attendere i dati sul Pil del primo trimestre 2019 del nostro Paese. Sarà un verdetto: se torneremo al segno più, Conte e Tria avranno ragione. Diversamente, ci sarà da rimboccarsi le maniche per evitare il peggio.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-recessione-cala-sulleuropa-il-pil-dellitalia-scende-dello-0-2-2627646270.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="occupati-al-top-dagli-ultimi-10-anni" data-post-id="2627646270" data-published-at="1758065325" data-use-pagination="False"> Occupati al top dagli ultimi 10 anni Arrivano notizie confortanti dal mondo del lavoro in Italia. A dicembre 2018 la stima degli occupati risulta in lieve crescita rispetto a novembre (+0,1%, pari a 23.000 unità in più); anche il tasso di occupazione sale al 58,8% (+0,1%). Su base annua, l'occupazione cresce dello 0,9%, pari a 202.000 unità in più e l'espansione interessa entrambe le componenti di genere, i lavoratori a termine (+257.000) e gli indipendenti (+34.000), mentre continua il calo di chi ha un lavoro a tempo indeterminato (-88.000). A rilevarlo è l'Istat spiegando che a dicembre si conferma un quadro di debole crescita dell'occupazione, presente da alcuni mesi, con segnali di calo della disoccupazione. Il percorso, insomma, è segnato. Il posto fisso è destinato è a essere sempre più una chimera. Come spiega Francesco Seghezzi, direttore della fondazione Adapt che studia le dinamiche del mercato del lavoro, «non si può continuare a ignorare che economia e mercato del lavoro stanno cambiando in maniera strutturale». Come rileva l'Istituto nazionale di statistica, a dicembre la crescita degli occupati è determinata ancora una volta da lavoratori a termine (+47.000) e da lavoratori autonomi (+11.000). Calano invece di 35.000 gli occupati permanenti. «Sicuramente», ricorda Seghezzi, su questo «incide la stagionalità del mese di dicembre». Nell'ultimo mese del 2018, nel confronto per genere, cresce l'occupazione femminile (+36.000 unità) e cala quella maschile (-13.000). A dicembre si conferma il calo già registrato a novembre della stima delle persone in cerca di occupazione (-1,6%, pari a -44.000 unità). La diminuzione si concentra prevalentemente tra gli uomini e le persone maggiori di 35 anni. Il tasso di disoccupazione si attesta al 10,3% (-0,2 punti percentuali), quello giovanile sale leggermente al 31,9% (+0,1 punti). Positive le notizie anche per gli inattivi, coloro che non cercano un'occupazione. La stima per questa categoria di persone tra i 15 e i 64 anni a dicembre è in lieve calo (-0,1%, pari a -16.000 unità). La diminuzione si concentra tra le donne ed è distribuita tra tutte le classi di età a esclusione di chi ha tra i 25 e i 34 anni (in aumento di 28.000 unità). Il tasso di inattività resta stabile al 34,3%. Inoltre, nel quarto trimestre dell'anno scorso l'occupazione ha registrato una lieve crescita rispetto al trimestre precedente (+0,1%, pari a +12.000 unità). L'aumento riguarda prevalentemente gli uomini e le classi d'età più estreme. Nell'ultimo trimestre dell'anno scorso si sono mostrati in crescita i dipendenti sia a termine sia permanenti, mentre hanno subito una flessione gli indipendenti. In più, nel quarto trimestre alla crescita degli occupati si associa quella delle persone in cerca di occupazione (+2,4%, pari a +63.000) mentre calano gli inattivi (-0,8%, pari a -100.000 unità). Nell'arco di un anno, segno più per gli occupati tra i 15 e i 24 anni (+36.000) e gli ultracinquantenni (+300.000), mentre si registra una decisa flessione tra i 25 e i 49 anni (pari a -135.000). Nei dodici mesi, la crescita degli occupati si accompagna al calo dei disoccupati (-4,8%, -137.000 unità) e degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-1,5%, -197.000). A dicembre 2018 il tasso di disoccupazione si attesta al 10,3% (-0,2 punti percentuali rispetto a novembre 2018), mentre il tasso di disoccupazione dei giovani di 15-24 anni si attesta al 31,9% (+0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente); l'incidenza dei disoccupati sulla popolazione di questa classe di età è pari all'8,4%, in aumento su base mensile di 0,2 punti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-recessione-cala-sulleuropa-il-pil-dellitalia-scende-dello-0-2-2627646270.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="berlino-dimezza-le-stime-sul-2019-la-crescita-non-andra-oltre-l1" data-post-id="2627646270" data-published-at="1758065325" data-use-pagination="False"> Berlino dimezza le stime sul 2019 La crescita non andrà oltre l’1% Se l'Italia piange, la Germania non ride di certo. La notizia dell'ingresso in recessione tecnica del nostro Paese non solo non è un fulmine a ciel sereno, ma si inserisce in un quadro caratterizzato da un generale rallentamento dell'economia nel quale Berlino svolge un ruolo di primo piano. Sono lontani i tempi in cui la locomotiva teutonica correva veloce. Le dichiarazioni rilasciate mercoledì dal ministro dell'Economia, Peter Altmaier, rappresentano la conferma di un sentore diffuso da tempo. Secondo le ultime stime, quest'anno il Pil tedesco dovrebbe crescere solo dell'1% (valore uguale a quello italiano del 2018), contro l'1,8% previsto in precedenza. Un taglio netto, dunque, rispetto a quanto riportato dal governo sulla Bozza programmatica di bilancio inviata a Bruxelles lo scorso ottobre. Senza contare che nel 2016 e nel 2017 il Pil era cresciuto del 2,2%. La colpa della frenata, sostiene Altmaier, è da attribuire in parte al rischio «hard Brexit», cioè di una fuoriuscita del Regno Unito dalla Ue senza accordo. «Le aziende tedesche», ha dichiarato il ministro, «presentano un export sostenuto nei confronti della Gran Bretagna, per questo l'esecutivo federale farà tutto il possibile per scongiurare il no deal». L'industria germanica, in particolare il settore auto, rischia di crollare se Bruxelles e Londra non sigleranno un accordo nelle prossime settimane. Secondo l'allarme lanciato dal presidente nazionale delle Camere di commercio, Eric Schweitzer, a essere a rischio sono i 750.000 posti di lavoro legati all'export oltremanica. L'assaggio si è avuto con il crollo della produzione industriale a novembre: -1,9% sul mese precedente e -5,1% rispetto allo stesso mese del 2017. Ancora nella nebbia, invece, i dati del Pil relativi al 2018. Sebbene l'ufficio nazionale di statistica abbia dichiarato di aver scongiurato il secondo calo consecutivo (che avrebbe comportato anche per Berlino la recessione tecnica), nessuno conosce con precisione il dato relativo all'ultimo trimestre. Elementi che fanno capire come il modello tedesco in larga misura basato sull'export, stia dando segnali di cedimento. Nemmeno il settore bancario se la passa bene. Secondo le indiscrezioni riportate ieri da Bloomberg, la fusione tra i due colossi del settore, Deutsche Bank e Commerzbank, potrebbe concretizzarsi già nel primo semestre dell'anno. La stessa testata a dicembre rivelava che una delle soluzioni sul piatto potrebbe essere l'ingresso del governo federale in qualità di maggiore azionista di Deutsche, allo scopo di pilotare con profitto del matrimonio con Commerzbank. Forse sono solo voci, ma nel frattempo il tempo stringe. Oggi il Ceo di Deutsche, Christian Sewing, presenterà a Francoforte i risultati del 2018. Stando al consensus pubblicato mercoledì dagli analisti, le perdite nell'ultimo quarto dell'anno dovrebbero oscillare tra un minimo di 73 milioni di euro a un massimo di 532 milioni. Resta appesa all'esito del quarto trimestre, dunque, il ritorno all'utile per l'anno passato. Notizie in chiaroscuro anche sul versante dei conti pubblici. Secondo i dati diffusi da Eurostat, la Germania è il Paese con il livello più alto di passività potenziali, che pur risultando fuori dal computo del debito pubblico rappresentano un macigno minaccioso sulla contabilità tedesca. Si tratta di 436 miliardi di euro prestati sotto forma di garanzie governative, pari al 13,3% del Pil (contro il 6,7% della Spagna, il 4,7% della Francia e il 3,9% dell'Italia), che Berlino ha fornito verosimilmente per sostenere le società durante la crisi finanziaria.