
I Bucks boicottano la gara con Orlando sulla scia del caso Blake, seguiti da altre squadre. Si rischia lo stallo definitivo, poi il dietrofront: si torna a giocare, ma i giocatori manderanno messaggi antirazzisti concordati.Rivoluzione sì. Anzi, no. O meglio, rivoluzione, ma concordata con i capi. L'Nba, la massima lega professionistica della pallacanestro statunitense, è una polveriera di sensazioni contrastanti. Specchio deformato dell'America dei mesi antecedenti alle elezioni presidenziali. Da un lato, nei territori d'oltreoceano, le speculazioni politiche, la foga iconoclasta di alcune frange del movimento black lives matter, gli episodi di discriminazione etnica e l'uso sproporzionato delle armi da parte di alcuni poliziotti. Dall'altro, le conseguenze sul mondo dello sport. Ma procediamo con ordine. Il casus belli è noto: mercoledì 26 agosto, a Kenosha, nel Wisconsin, Jacob Blake, cittadino afroamericano, è stato ferito a pistolettate alle spalle da due agenti in divisa intervenuti per sedare una rissa. Sono seguite ore di disordini, con la comunità locale spaccata in fazioni. L'effetto domino ha coinvolto i professionisti della pallacanestro, rintanati a disputare i playoff sui campi della controversa «bolla» di Orlando, come da disposizioni anti Covid-19. Il primo passo è stato compiuto dalla squadra dei Milkwakee Bucks. Poco prima del riscaldamento in vista della gara 5 contro gli Orlando Magic, i Bucks sono rimasti negli spogliatoi, boicottando l'incontro con una decisione senza precedenti che ha spiazzato tutti, avversari inclusi. «Quando scendiamo in campo e rappresentiamo Milwaukee e il Wisconsin, ci si aspetta da noi di giocare ad alto livello, dare il massimo impegno e ritenerci responsabili gli uni verso gli altri. In questo momento chiediamo lo stesso ai legislatori e a chi deve far rispettare le leggi», si leggeva in un comunicato stampa della squadra, segno di protesta nei confronti dei disordini di Kenosha. Ne è seguita una riunione tra i cestisti delle ventidue squadre presenti a Orlando e la dirigenza Nba. I Los Angeles Lakers e i Los Angeles Clippers erano determinati a interrompere la stagione in segno di solidarietà verso le proteste. Le restanti franchigie preferivano soluzioni di compromesso, continuando a giocare. LeBron James dei Lakers si è posto a capo della fazione che voleva boicottare la «la bolla» (costoso esperimento in cui le squadre iscritte ai playoff vivono confinate in un resort di Disney World, in Florida, seguendo protocolli di igiene e distanziamento fisico, fino a stagione conclusa), e non era un dettaglio trascurabile: prima del ferimento di Blake, James si era schierato a favore della ripartenza delle gare, assecondando le misure anti coronavirus. La stella dei Lakers ha scritto sul suo profilo Twitter: «Chiediamo cambiamento, siamo stanchi, fuck this man», e l'ingiuria verso «this man» è riferita al presidente Donald Trump, segnale di come il dibattito fosse anche leva per alimentare confronti politici. James avrebbe inoltre abbandonato la riunione non appena il collega Udonis Haslem ha suggerito di proseguire la stagione senza i dissidenti Lakers e Clippers.Cospicua la posta in gioco: scegliere una strategia efficace per mostrare quanto il basket Nba fosse vicino al malcontento dei giovani neri. Non scordando un particolare essenziale: la lega ha investito 180 milioni di dollari nella bolla per recuperare quel miliardo che ancora deve ricevere dai diritti televisivi, condizione indispensabile per organizzare la prossima stagione agonistica secondo i parametri del contratto collettivo in vigore. Troppi soldi in ballo, col rischio di non pagare gli stipendi ai lavoratori dei singoli club. Ecco allora che LeBron e i suoi, a un giorno di distanza, sono scesi a più miti consigli: interrompere il campionato sarebbe dannoso e il valore simbolico della protesta verrebbe oscurato da conseguenze economiche irreparabili. Si torna in campo, dunque, e, come riportato da Espn, «seguirà una riunione tra i proprietari delle franchigie e giocatori per organizzare un piano su come portare avanti un messaggio di giustizia sociale». Sferzante il commento di Jared Kushner, genero e consigliere del presidente Trump: «I giocatori Nba possono concedersi il lusso di prendersi una sera di congedo, la maggior parte degli americani non può permetterselo». E però gli strascichi sul mondo dello sport si sono fatti sentire. Per una giornata, si è fermata la Nfl - football americano - con la rinuncia dei New York Jets a disputare un incontro, la Mlb di baseball, la Mls di calcio, fino al tennis, con la giocatrice Naomi Osaka.Un aspetto è chiaro. Tempi e modalità per sensibilizzare il mondo verso gli episodi di discriminazione non possono essere manichei e, soprattutto, rischiano di fallire lo scopo se puntano a dividere il mondo in blocchi monolitici o, peggio, in buoni e cattivi, dove i cattivi magari risultano essere quelli che caldeggiano soluzioni ragionate, non iconoclaste. Basti ricordare quanto accadde a giugno, quando gli sportivi professionisti di molte parti del mondo furono invitati a inginocchiarsi durante le cerimonie di presentazione di eventi in ossequio a tutte le rivendicazioni dei black lives matter, abbattimenti delle statue inclusi. La giocatrice di calcio femminile del North Carolina Sam Leshnak rifiutò di farlo, e venne coperta di insulti sui social. Non fu la sola. Nella Formula Uno, il diniego arrivò dal pilota Ferrari Charles Leclerc, che motivò il suo rifiuto così: «Il fatto che non mi inginocchi, non significa che sia impegnato meno di altri contro ogni forma di razzismo». Qualcosa di simile fece pure Jonathan Isaac, cestista Nba in forza, ironia della sorte, agli Orlando Magic.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





