2019-06-25
La politica industriale di Cmc ai raggi X: batoste in Nepal e Kuwait
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A pesare sull'andamento dei conti della cooperativa di Ravenna ci sono solo in parte i rapporti con Anas. Ma in realtà l'azienda è da anni in crisi di liquidità. Le commesse estere non generano margini anche per la concorrenza della Cina. Così alle grane in Kenya, legate a un'inchiesta su presunta corruzione internazionale, si aggiungono i crediti sospesi in altri Paesi emergenti. Da dove arriva la crisi di Cmc, tra le cooperative più antiche in Italia, impresa di costruzioni tra le più importanti nel Paese? La multinazionale di Ravenna, detta anche «rossa» per via delle origini nella regione un tempo in mano al Pci, è tra le tante realtà del settore in crisi in Italia. Diversi giornalisti e analisti del settore sostengono che parte della crisi economica (la società è in concordato preventivo e sta cercando di ripianare i debiti) sia da ascrivere ai crediti mai riscossi da Anas, società appaltante e gestore di gran parte delle nostre autostrade. Ma è proprio così?La Verità ha ricevuto un'altra versione dei fatti. Ovvero che parte delle difficoltà di Cmc siano da addebitare alle scelte di politica industriale. O meglio, parte degli errori sono da trovare negli investimenti all'estero che si sono rivelati spesso fallimentari. D'altra parte, ci spiega una fonte «come tutti i colossi italiani delle costruzioni a causa della mancanza di opportunità commerciali in Italia Cmc è stata costretta negli anni ad aumentare la sua presenza nei mercati internazionali. Nei mercati internazionali, specie africani, ci si confronta con concorrenti agguerriti, in particolar modo cinesi che beneficiano di costi nettamente inferiori ai nostri, finanziamenti statali erogati alle varie nazioni africane a costi irrisori e ottime relazioni commerciali garantite dal loro sistema paese».Il confronto con la Cina quindi è stato devastante in questi anni. I margini per le nostre imprese sono sempre più bassi e nel caso in cui si incorra in una perdita, questa è spesso di valore rilevante mentre nel caso in cui si faccia profitto, questo è di norma insignificante e non in grado di compensare le perdite delle altre commesse. Lo stesso discorso vale in Italia, poche commesse contese da molte altri colossi erodono i margini e aumentano i rischi. Non succede solo a Cmc. Salini Impregilo nei paesi arabi ha molte commesse in perdita, senza dimenticare l'arbitrato perso per il progetto del Canale di Panama, mentre nel caso di Cmc le commesse in perdita non si contano sulle dita di una mano. Ecco gli esempi. Per il Kuwait la perdita stimata è di 30 milioni dollari, per Singapore perdita consuntivata di 50 milioni dollari, per Durban perdita consuntivata di 30 milioni dollari, in Nepal si parla di una perdita di una decina di milioni dollari.Ma c'è di più. Da anni Cmc si trova in una situazione di crisi di liquidità, tanto che, spiega una fonte «si è ridotta molto spesso a dover concorrere per progetti rischiosi e potenzialmente in perdita con l'unico scopo di ricevere l'anticipo contrattuale, vitale per tappare le falle provocate dalle varie commesse in perdita». E secondo la fonte, tra questi progetti ci sarebbero quelli in Kenya, Nepal e Kuwait. È in particolare sugli ultimi due che emergono informazioni nuove.Il groviglio in Nepal è diventato indistricabile a dicembre del 2018, momento nel quale l'azienda ha deciso di abbandonare il progetto in corso, «Malamchi Water Supply», in pratica una struttura per rifornire il distretto di Sindhupalchowk, a nord est della capitale, zona afflitta da una cronica mancanza d'acqua. Si era aggiudicata la commessa nel 2013 - valore di 97,8 milioni di dollari – per 36 mesi di lavoro. Quando il Sole 24 Ore ha parlato del caso, a marzo, l'azienda ha precisato che dei due appalti in Nepal uno si è interrotto per volontà dell'azienda «a fine 2018», l'altro non è mai cominciato «in quanto non è mai stato versato l'anticipo contrattuale previsto». Secondo la fonte de La Verità, però, che la situazione in Nepal fosse ingestibile lo si sapeva da tempo e si sapeva anche che le responsabilità riguardavano prima di tutto il management italiano, impreparato e allo sbaraglio. Dalle pagine Facebook di Giuseppe Di Giorgi, responsabile del progetto Malamchi, si nota come fino a marzo 2016 il geometra aggiornasse con frequenza il prosieguo dei lavori, che procedevano spediti. Poi basta.Il Kathmandu Post, tra i più importanti giornali della stampa locale, in un articolo del 21 maggio ha ricostruito l'intricata vicenda, aggiungendo all'impreparazione un'accusa ben più pesante: corruzione. Il direttore esecutivo del progetto, Surya Raj Kadel, e l'ex sottosegretario al ministero dell'Energia e dell'Acqua Gajendra Kumar Thakur avrebbero infatti preteso «una stecca» ogni volta che c'era da negoziare con il governo. Accuse rimandate con forza al mittente. In mezzo alla trattativa c'è pure un intermediario, l'imprenditore nepalese Dinesh Shrestha, a capo di un gruppo di aziende in subappalto con Cmc. Secondo il Kathmandu Post avrebbe gestito le negoziazioni per le stecche al governo nepalese, mentre secondo la fonte de La Verità «aveva ottenuto finanziamenti e garanzie bancarie» per circa 10 milioni di dollari. Quantomeno inusuale. Nel 2017 Cmc ha ottenuto nel 2017 253 milioni di rupie (quasi due milioni di euro) dal governo per pagare le aziende locali in subappalto, ma secondo la fonte quei soldi non sono arrivati alle aziende nepalesi.Anche sulla crisi in Kuwait la versione della fonte si discosta dalle posizioni ufficiali dell'azienda. Nel paese del Golfo, Cmc si era aggiudicata in subappalto lavori vinti da un committente cinese, dal valore di 22 milioni di euro. Anche in questa occasione, però, non avrebbe pagato le ditte locali. Secondo quanto risulta alla fonte, è emerso subito che per l'azienda italiana i lavori avrebbero significato una perdita secca, ma visto l'allettante anticipo offerto per la commessa, la dirigenza ha comunque deciso di accettare. Salvo poi di nuovo lasciare il paese con i lavori ancora non ultimati e i pagamenti dei locali non liquidati. In questa occasione due dipendenti di Cmc sono rimasti «ostaggio» in carcere per circa una settimana. I due sono stati accusati di non pagare i dipendenti e danneggiamento di un escavatore: nessuno, in realtà, ricopriva cariche per le quali avrebbe potuto decidere di pagare o non pagare un fornitore. I due sono riusciti a rientrare dalle proprie famiglie, ma come si sia chiusa quella trattativa è poco chiaro. Si sa solo che i due dipendenti sono stati rilasciati dopo la mediazione della Farnesina. Nel frattempo quasi un anno fa ha lasciato il posto l'ex direttore generale Roberto Macrì, per vent'anni dentro l'azienda. Ora si trova in Maltauro. Ma il resto dei quadri dirigenti è rimasto, nonostante l'azienda sia oggi in concordato preventivo.