2019-12-12
La paura blinda la maggioranza
Il documento promosso dal governo passa in Parlamento: 291 sì e 222 no alla Camera, 164 sì e 122 no al Senato. Dove però quattro m5s si «ammutinano»: possibili uscite dal gruppo. Tante assenze pure nell'opposizione.Giuseppe Conte la sfanga sul Mes, ma la maggioranza giallorossa perde altri pezzi. Ieri sera, al termine di una giornata da montagne russe, il Senato ha approvato la risoluzione unitaria di maggioranza sulle comunicazioni del presidente del Consiglio Conte, in vista del prossimo Consiglio europeo, con 164 voti favorevoli, 122 contrari e due astensioni. Quattro senatori del M5s hanno votato in dissenso dal gruppo: Gianluigi Paragone, Stefano Lucidi, Ugo Grassi e Francesco Urraro. Respinte le risoluzioni dell'opposizione. La maggioranza giallorossa, già risicatissima al Senato, perde dunque altri pezzi. Prendendo come misura di riferimento il voto di fiducia al governo Conte bis dello scorso 10 settembre, quando la maggioranza al Senato aveva incassato 169 sì, mancano quindi cinque voti. Anche l'opposizione, però, deve fare chiarezza al proprio interno: il giorno della fiducia al governo i «no» erano stati 133, 5 gli astenuti. Le assenze della minoranza, c'è da esserne certi, saranno oggetto di polemiche e dibattiti.I numeri chiudono l'ennesima giornata, anzi settimana, di passione del governo giallorosso, il cui pilastro numericamente più forte, il M5s, è pure quello politicamente più debole, privo di una linea politica degna di questo nome, e pure di un leader che sia in grado di tenere a bada un battaglione di circa 330 parlamentari, tra Camera e Senato, sostanzialmente allo sbando, terrorizzati dal ritorno alle urne (più della metà non verrebbero rieletti) e costretti così a votare provvedimenti o risoluzioni come quella di ieri sul Mes, contrarie alla impostazione politica e programmatica che ha fatto, poco più di un anno fa, del M5s il partito votato da un terzo degli elettori italiani.Mes sì, Mes no, Mes forse e solo un po': c'è voluta una intera nottata quella tra ieri e l'altro ieri, per mettere a punto, insieme agli alleati super-europeisti e quindi a loro agio nel ruolo di scudieri di Bruxelles, un testo che Luigi Di Maio e il suo cerchio tragico potesse far digerire, o almeno tentare di far digerire, a una base e a una pattuglia parlamentare totalmente disorientata. Una situazione talmente devastata da consentire a senatori per lo più completamente sconosciuti, politicamente irrilevanti, di far traballare il governo. Tre nomi su tutti: Stefano Lucidi, Ugo Grassi e Francesco Urraro. Mai sentiti nominare, dite? Comprensibile: fino a ieri mattina, nessuno, tranne i parenti stretti, aveva idea di chi fossero. Fino a ieri mattina, appunto, quando i tre senatori del M5s, pur presenti in Aula, non votano la fiducia al decreto legge sul terremoto. Allarme (giallo)rosso! Nel M5s scatta la sindrome da abbandono, le voci di un imminente passaggio alla Lega dei tre dissidenti si rincorrono, mentre i protagonisti conquistano le luci della ribalta e dei palcoscenici televisivi. Lucidi, intervistato da La7, smentisce il passaggio alla Lega con un secco «Non salto sul carro dei perdenti», conferma che non voterà la risoluzione di maggioranza: «Sia chiaro», esterna in tv, «il Mes è il casus belli. Tanti di noi avrebbero potuto dare un contributo sulla risoluzione, ma questo spazio non ci è stato concesso e questo è avvenuto tante altre volte e arriva il momento di dare una sveglia e dire che le cose non stanno funzionando». Lucidi, mentre è in corso il dibattito in aula, raggiunge Giuseppe Conte ai banchi del governo, parlotta un po' con il premier, mentre due pezzi grossi del M5s, il ministro dei Rapporti col Parlamento, Federico D'Incà, e il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, tentano di convincere Grassi e Urraro a non votare contro. Tentativo fallito: alle 19 e 21 Grassi annuncia il suo «no», seguito da quelli di Urraro, Lucidi e Paragone. «Voto in dissenso dal gruppo», dice Grassi, «e constato di non riconoscermi più nelle politiche del mio Movimento. Si tratta di un testo riformato del quale non abbiamo avuto tempestiva contezza, non in quanto singoli partiti ma non è stato informato per tempo il parlamento, dandogli modo di intervenire». «Non sono una cavia», sottolinea Lucidi, «non sono un criceto. Quindi esco dalla gabbia, dalla ruota, e voto no». «Il Mes non era nel nostro programma», aggiunge Urraro, «voto no». Il risultato della votazione certifica l'ulteriore erosione della maggioranza, al Senato ormai appesa a un filo sempre più sottile.Già in mattinata, alla Camera, la maggioranza era andata ampiamente sotto i numeri del voto di fiducia. La risoluzione unitaria di maggioranza era stata approvata, a Montecitorio, con 291 voti a favore e 222 contrari. Lo scorso 9 settembre, a Montecitorio, il governo giallorosso aveva ottenuto la fiducia con 343 voti favorevoli contro 263 no e 3 astenuti. Dunque, al bottino pieno mancavano circa 50 deputati per la maggioranza e 40 dell'opposizione. Riflettori accesi anche alla Camera sul M5s: 14 deputati pentastellati sono risultati assenti al momento del voto. «Oggi 12 colleghi», hanno chiarito i delegati d'aula del M5s alla Camera, Cosimo Adelizzi, Daniele Del Grosso e Davide Zanichelli, «non hanno potuto partecipare alla votazione sulla risoluzione Mes ed hanno comunicato in anticipo al gruppo la loro impossibilità ad essere presenti alla votazione. Fra i motivi delle loro assenze giustificate ci sono, ad esempio, la malattia e la maternità». In effetti, le assenze alla Camera hanno caratterizzato praticamente tutti i partiti, sia di maggioranza che di opposizione, con un picco di circa 20 defezioni tra i deputati di Forza Italia.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)