2018-05-14
La «patente» Arcigay ai sindaci che giurano di affidare servizi alle associazioni Lgbt
Test online per i candidati alle Comunali di giugno in Sicilia: «Sei favorevole a far gestire i test per l’Hiv alle Onlus?»Elezioni amministrative tinte di arcobaleno. È la sintesi adatta a qualificare l’iniziativa dell’Arcigay in occasione delle comunali del 10 giugno prossimo in Sicilia. L’associazione ha approntato un questionario da sottoporre ai candidati (anzi, ai «candidat*», per usare la neolingua gender che caratterizza il formulario) nelle città di Catania, Siracusa e Ragusa, Comune che peraltro gli attivisti già riconoscono come particolarmente «accogliente».L’obiettivo della campagna, ha spiegato Giovanni Caloggero, consigliere nazionale di Arcigay Catania, è fornire «un’informazione più ampia possibile alla comunità Lgbt su chi si stia candidando e su come la pensi su dei temi» considerati di grande importanza dai gay. Tra le domande, contestate da Forza Nuova, ovviamente c’è in primo luogo la verifica di basilari requisiti gay friendly: se il candidato sia favorevole alle unioni civili, a un Gay pride cittadino e a una definizione di famiglia sufficientemente edulcorata da espungere il riferimento al legame procreativo tra uomo e donna. Un programma che vuole delineare gerarchie di rispettabilità politica basate sull’acritica adesione al verbo Lgbt, proclamato con un dogmatismo che farebbe impallidire quello della Ginevra dell’epoca calvinista. Nel questionario, però, si legge di peggio. Ad esempio, i quesiti sulla posizione dei candidati rispetto al proposito di coinvolgere le associazioni gay nelle campagne di prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. In particolare, una domanda recita: «Sarebbe favorevole a fare tutto quanto è in proprio potere affinché si delineino, sostengano e finanzino strategie innovative di offerta del test Hiv, in particolare servizi “community based” dove il test e il counseling sono gestiti direttamente dalle associazioni al fine di raggiungere più efficacemente le popolazioni più vulnerabili all’esposizione all’Hiv»? Un’altra dice: «Sarebbe favorevole alla realizzazione di un check point mirato al monitoraggio, prevenzione, counselling per le infezioni sessualmente trasmissibili gestito direttamente dalle associazioni? »Viene il sospetto che Arcigay punti a istituire convenzioni con i Comuni, ricevere finanziamenti e a istituire una sorta di monopolio sulla gestione di una prestazione sanitaria di competenza delle Asl. Lascia perplessi anche la domanda sul turismo gay: «Sarebbe favorevole a sviluppare il settore turistico concertando opportune iniziative con le associazioni e gli imprenditori Lgbti?», come se la libera iniziativa economica debba essere classificata (e premiata) in relazione agli orientamenti sessuali. Senza dimenticare l’offensiva alle scuole, dove Arcigay vorrebbe «attività di contrasto» all’intolleranza. Dal canto loro, i politici scontano un sottile ricatto psicologico, intravedendo al contempo una ghiotta opportunità: guadagnarsi il sostegno degli attivisti arcobaleno e, soprattutto, la certezza di rimanere al riparo da accuse di omofobia. Come se considerare le associazioni private Lgbt non idonee a sostituirsi alla sanità pubblica, o non voler favorire gli imprenditori omosessuali, significasse per forza discriminare i gay. Il lobbying operato dall’Arcigay ricorda una sorta di un «do ut des» con cui le associazioni arcobaleno e alcuni politici cercano di spostare i voti della comunità omosex. Le Arcigay di Catania, Siracusa e Ragusa avevano già messo in atto un’iniziativa analoga prima che si celebrassero le elezioni regionali siciliane e le politiche di marzo 2018. I responsabili avevano affermato che il loro scopo era far emergere in modo inequivocabile le posizioni dei candidati, «in modo da poter scegliere in maniera autonoma» gli esponenti più vicini «alle istanze e alle battaglie della comunità Lgbt». Ma quello siciliano non è il primo caso in Italia. Lo scorso febbraio, proprio in vista delle politiche, l’Arcigay aveva varato la piattaforma «voto arcobaleno», con cui si chiedeva agli aspiranti parlamentari di sottoscrivere cinque proposte: la legalizzazione del «matrimonio egalitario», la riforma del sistema delle adozioni, una legge per punire il cosiddetto «odio transfobico», la fecondazione eterologa per le lesbiche e la «depatologizzazione» della transessualità. Le candidate più gay friendly erano risultate Maria Elena Boschi e Monica Cirinnà. Pollice verso per Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Paola Binetti.Questionari simili a quelli diffusi per le amministrative in Sicilia, inoltre, erano stati distribuiti in Valle d’Aosta ai candidati al Parlamento, mentre agli esponenti in corsa per le regionali in Lombardia Arcigay Varese aveva domandato di impegnarsi a contrastare le campagne pro family. In particolare, i militanti Lgbt volevano evitare che si ripetesse un’iniziativa come quella presa dalla giunta lombarda, ai tempi presieduta da Roberto Maroni, che illuminò il Pirellone con la scritta «Family day» in appoggio alla manifestazione nazionale contro la legge Cirinnà sulle unioni civili, che si tenne a Roma il 30 gennaio 2016. Perché per la lobby Lgbt la politica deve abbracciare soltanto le rivendicazioni arcobaleno. Le opinioni non allineate meritano l’ostracismo.
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