
C'è il sì dell'agenzia Onu per l'energia nucleare: i progetti di Sogin per lo smantellamento delle centrali italiane possono progredire alla fase operativa. Manca però il via libera dell'Ispettorato nazionale. E le scorie? Scaricate anche quelle da Carlo Calenda ai gialloblù.Il processo di decommissioning delle centrali nucleari italiane sta per entrare nella fase cruciale. Dopo aver mandato all'estero il combustibile radioattivo per renderlo sicuro, e aver smantellato alcuni edifici accessori dei vecchi impianti, si avvicina il momento di lanciare l'attacco ai reattori. Per questo Sogin, la società controllata dal Mef nata proprio per questo scopo, ha chiesto all'Iaea un parere tecnico sul suo piano per le isole nucleari di Garigliano e Trino. Ieri a Vienna è arrivato il verdetto: il progetto è stato valutato in modo positivo («La progettazione è stata fatta in modo modo sistematico e prudente, tenendo conto dell'esperienza internazionale, cosa che rende possibile lo smantellamento sicuro dei componenti del nucleo»), anche se non sono mancati alcuni suggerimenti: in particolare, è stato posto l'accento sull'importanza di usare più modelli 3D e sulla necessità di controllare i subappalti e di valutare i possibili imprevisti in modo da ridurre il rischio di contaminazione.Appena arriverà il nullaosta dell'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare, nato lo scorso agosto, sarà possibile passare alla fase operativa. Il progetto prevede di smantellare definitivamente Garigliano entro il 2026 e Trino entro il 2031. Latina dovrebbe essere smantellata entro il 2026, Casaccia nel 2029, Caorso nel 2031 e Trisaia di Rotondella nel 2036. Sogin, che non ha scopo di lucro, e oltre alla sede centrale di Roma ha anche due filiali a Mosca e a Bratislava, dovrà gestire anche la bonifica di Saluggia. In questo caso i lavori dovrebbero terminare entro il 2039; i tempi lunghi dipendono da un contenzioso pendente con Saipem, a cui era stata affidata l'area. Il contratto è stato rescisso da Sogin e serviranno altri due anni per indire una nuova gara. Entro la fine dell'anno, invece, potrebbero arrivare al termine i lavori a Bosco Marengo. L'obiettivo finale è arrivare allo stato di «green field», ovvero di bonifica totale, anche se, fino a quando non ci sarà un deposito nazionale dove stoccare tutti i rifiuti, per i vari siti si potrà parlare solo di «brown field». Questo significa che il decommissioning delle centrali sarà completato, ma che i rifiuti rimarranno in depositi temporanei nelle ex centrali.Le nuove attività di Sogin segnano un cambio di passo rispetto al passato.In totale, gli smantellamenti dovrebbero costare circa 7,2 miliardi di euro. Finora ne è stata spesa circa la metà, ma la parte del leone l'ha fatta il mantenimento in sicurezza (sono già stati spesi 1,8 miliardi su 2,9 euro di budget). Per il decommissioning, invece, sono stati investiti 0,7 miliardi su 2,6, circa il 27% del totale. Ma nel primo semestre 2018 per lo smantellamento sono stati spesi 32 milioni, la cifra più alta di sempre, il 45% in più rispetto alla media del periodo 2010-2016.Sogin ha anche iniziato una ristrutturazione interna. Il personale è calato dell'8%, mentre le commesse all'estero e con i privati sono arrivate a 20,8 milioni nel 2017, contro i 6,3 milioni del 2016. Oltre a collaborazioni in Cina, Corea del Sud, Slovacchia, Norvegia e Taiwan, Sogin fa anche parte della global partnership per smantellare i sommergibili nucleari a Murmansk, al circolo polare artico.«In Italia», ha detto l'ad Luca Desiata, «abbiamo una competenza specifica, perché siamo stati fra i primi a costruire centrali nucleari, e anche fra i primi a iniziare a pensare allo smantellamento. I progetti sono complicati perché ogni centrale ha caratteristiche tecniche particolari, quindi non si può creare un piano standard. Adesso stiamo accelerando, perché non si può continuare a tergiversare, bisogna attaccare il nucleo del reattore. Per questo l'Isin andrebbe potenziata, soprattutto a livello di personale, per rendere più veloci i processi di autorizzazione». Fra i prossimi progetti di Sogin c'è anche un piano di economia circolare, proposto ieri all'Iaea: l'obiettivo è non solo quello di ridurre l'impatto delle centrali piantando alberi e installando pannelli fotovoltaici, ma anche quello di riutilizzare il cemento e l'acciaio non radioattivi.Mentre il piano di smantellamento va avanti, sullo sfondo si staglia la questione del deposito nazionale. La fase di trattamento all'estero dei combustibili è quasi terminata, e quelli già tornati in Italia sono conservati in depositi temporanei nelle centrali dismesse. L'iter per trovare il luogo di stoccaggio definitivo è politicamente sensibile, visto che sembra improbabile non scatenare le proteste dei cittadini. Al momento, Sogin ha preparato il Cnapi, il documento che indica quali sono le aree papabili per il deposito, che devono essere in zone a bassa sismicità, a un altitudine non troppo elevata, lontane dall'acqua e da centri industriali e densamente abitati. Il documento è in attesa del nullaosta dei ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo economico. Poi partirà un processo di valutazione di due anni. In totale, il deposito ospiterà circa 95.000 metri cubi di rifiuti radioattivi, tenendo conto anche della produzione dei prossimi 50 anni (ad esempio, dei rifiuti medicali). Saranno poi necessari altri anni per la progettazione, le gare e la realizzazione.Una patata tanto bollente che Carlo Calenda ha tentato di sbolognarla al nuovo governo: il 10 maggio, quando era già chiaro che il Pd sarebbe stato confinato all'opposizione, ha annunciato su Twitter di aver dato il via libera. La bomba non è stata sganciata perché il ministero dell'Ambiente non lo ha seguito.Nella partita è entrata anche l'Unione europea: la Commissione ha deferito alla Corte di giustizia l'Italia perché il governo non ha ancora presentato il programma nazionale del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






