
Belgrado ha intimato al commissario e ai calciatori serbi della nazionale di Podgorica di non giocare. Aleksander Vucic vuole aumentare la pressione su Pristina perché annulli l'innalzamento del 100 per cento dei dazi doganali.La partita di qualificazione per i campionati europei di calcio Uefa 2020 tra il Montenegro ed il Kosovo, svoltasi venerdì allo stadio di Podgorica senza la presenza del pubblico, si è conclusa con un onorevole pareggio (1-1) tra le due nazionali. Tuttavia, la vera vincitrice dello scontro è stata un'altra nazione indirettamente implicata nel confronto ovvero la Serbia. Belgrado, che dal 2008 continua a non riconoscere l'indipendenza kosovara, ha intimato ai giocatori e al commissario della nazionale montenegrina, nati serbi e successivamente naturalizzati montenegrini, di non prendere parte alla partita. Per la Serbia, impegnata diplomaticamente a contrastare con ogni possibile mossa di rilievo politico la sovranità di Pristina, è inaccettabile che dei serbi possano presenziare all'esecuzione dell'inno di un Paese inesistente. Prima della partita il presidente della federazione calcistica del Montenegro, Dejan Savičević, aveva espresso l'auspicio che i giocatori si dimostrassero quali veri professionisti, giocando una partita come tutte le altre. Non è andata esattamente come sperato. Due giocatori d'origine serba su cinque, Filip Stojković e Mirko Ivanić, entrambi militanti nelle fila della Stella Rossa di Belgrado, insieme al ct Ljubiša Tumbaković non si sono presentati in campo. La loro avventura calcistica nel piccolo Stato adriatico si conclude, ma i Balcani dimostrano ancora una volta che le ragioni della politica prevalgono su ogni altra forma di dialogo. Il Montenegro, indipendente dal 2006, è l'ultimo Stato dell'ex Jugoslavia a staccarsi dalla Serbia di cui il Kosovo, secondo Belgrado, è una regione secessionista. Podgorica e Belgrado storicamente erano due capitali amiche, con una popolazione abbastanza omogenea. Ancora nel 2005 l'incaricato d'affari dell'Ambasciata serba a Roma, d'origine montenegrina, cercava di convincere il governo italiano a non sostenere l'eventuale futura dichiarazione di indipendenza del suo Paese d'origine in quanto oramai i popoli dovevano considerarsi uno solo. Oggi invece tra i due Paesi le relazioni diplomatiche sono al minimo storico se non addirittura pessime. Belgrado fatica a digerire il fatto che Podgorica non solo l'abbia abbandonata, ma perfino sia stata tre le prime capitale europee a riconoscere l'indipendenza del Kosovo e Podgorica fatica ad accettare che nel 2016 la Serbia sia stata implicata insieme alla Russia nel tentativo di assassinio del premier Milo Dukanović, per favorire un colpo di Stato che potesse evitare l'accesso del Montenegro alla Nato. Per tale accusa il tribunale di Podgorica ha processato due politici serbo-montenegrini, Andrija Mandić e Milan Knezevic, condannandoli al carcere. In attesa del giudicato i due si sono incontrati nei giorni scorsi con il presidente serbo Aleksander Vučić e con quello della Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina, Milorad Dodik, che ha dichiarato come i nemici del popolo serbo in Montenegro non possono essere amici di alcun politico serbo. Le conseguenze della partita di venerdì, comunque, non si limitano ai rapporti tesi tra il Montenegro e la Serbia, ma vanno a inserirsi nel più ampio quadro d'instabilità della regione balcanica. Aleksander Vučić, per garantire la legittimità alla propria posizione politica e per garantire un minimo di credibilità a un eventuale, futuro, accordo con il governo kosovaro, ha disperatamente bisogno di rinforzare la pressione internazionale su Pristina, affinché questa ritiri il decreto sull'innalzamento del 100% dei dazi doganali sui beni d'origine serba approvato a novembre dello scorso anno. Riconoscere al Kosovo la facoltà di tassare i beni in entrata, al confine settentrionale, significherebbe approvare implicitamente la sovranità del Kosovo quando, per il momento, i cittadini serbi impiegati nelle strutture pubbliche del Kosovo settentrionale sono ancora pagati in dinari serbi direttamente da Belgrado. Da novembre il dialogo è congelato. Vučić non desidera l'innalzamento dello scontro. Egli si rende conto che saltata, per ora, l'ipotesi di un eventuale scambio di territori, l'unica soluzione possibile per il mantenimento della pace nella regione è il vacuo dialogo a oltranza, ma per poter tornare al tavolo delle trattative ha urgenza di una vittoria tattica, che lo renda credibile in politica interna. Qualora il Kosovo volesse ulteriormente inasprire lo scenario, gli rimarrebbe la possibilità di richiedere che gli stipendi dei dipendenti pagati in dinari vengano previamente dirottati sulla banca centrale kosovara e convertiti in valuta locale.
Roberto Vannacci (Ansa)
- Il Carroccio cinque anni fa si era attestato al 22% mentre in questa tornata, pur schierando il generale, il passo indietro è stato molto evidente. Nel centrodestra serpeggiano critiche: «Qui, se ti presenti con retoriche estreme, non ti ascoltano».
- Zaia avvisa FdI: «Sono un problema? Allora vedrò di renderlo reale».
Lo speciale contiene due articoli.
Elly Schlein con Eugenio Giani (Ansa)
Povera matematica: per superare il centrodestra, la segretaria Pd, che non voleva nemmeno Giani, s’inventa le preferenze cumulative. E spara: «Se sommiamo Toscana, Marche e Calabria prendiamo più del governo».
(Ansa)
Bombole di gas e quel che resta di molotov sono state rinvenute nella casa colonica esplosa a Castel d'Azzano, nel veronese. I Vigili del fuoco hanno recuperato 5 bombole che erano state collocate in più stanze della casa e ora si trovano accatastate nel cortile.
La casa era satura di gas fatto uscire, si presume, da più bombole vista la potente deflagrazione che ha fatto crollare lo stabile. Ad innescare la miccia sarebbe stata la donna, mentre i due fratelli si sarebbero trovati in una sorta di cantina e non in una stalla come si era appreso in un primo momento. Tutti e tre si erano barricati in casa. Nell'esplosione hanno perso la vita 3 carabinieri e sono risultate ferite 15 persone tra forze dell'ordine e vigili del fuoco. (NPK) CC
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Mario Venditti. Nel riquadro, Silvio Sapone in una foto agli atti dell’inchiesta di Brescia (Ansa)
Gli ex carabinieri della Procura Spoto e Sapone si contraddicono su ordini ricevuti e attività di indagine nell’inchiesta su Sempio del 2017. I due erano alle dipendenze dell’ex magistrato indagato per corruzione.