2018-11-29
La notte in cui il presidente del Coni investì una promessa del tennis
Quando aveva 26 anni, Giovanni Malagò travolse in auto due motociclisti rimasti a piedi. Uno morì: era Marco Bazzi, brillante atleta del circolo Parioli. L'accusa dei familiari della vittima: «Al processo non mostrò pentimento». La biografia non autorizzata del presidente del Coni Giovanni Malagò, pubblicata da Panorama e rilanciata sulla Verità non deve essere piaciuta al Foro Italico, tanto che ieri nella rassegna stampa del Coni non ve ne era traccia, come hanno notato alcuni tesserati eccellenti. Comunque, ieri, nei corridoi del comitato olimpico nazionale non si parlava d'altro, anche perché Malagò non era in sede ma in viaggio di lavoro a Tokyo per la presentazione della candidatura olimpica Milano-Cortina 2026. Una delle vicende più controverse citate nell'inchiesta è quella riguardante l'omicidio colposo di cui si rese protagonista l'allora ventiseienne Malagò. La notizia apparve sul Messaggero del 17 luglio 1985, tra le brevi di pagina 8. Titolo: «Ucciso da un'auto». Testo: «Erano in due: stavano spingendo la moto, una Honda 500, rimasta senza benzina. Arriva alle loro spalle una Bmw e li investe. Marco Bazzi, 24 anni, arriva morto al San Giacomo, mentre l'amico Valerio Masciolini, 27 anni, guarirà in 15 giorni. È successo l'altra notte verso le tre in corso Francia. Alla guida della Bmw c'era Giovanni Malagò di 26 anni». L'auto era intestata a una concessionaria Bmw della famiglia del presidente del Coni. Marco Bazzi era un ottimo tennista e sui giornali il necrologio più corposo - firmato da 33 persone - fu quello del Tennis club Parioli. Ennio Proietti, ex bidello della facoltà di Economia, condannato per una brutta storia di esami venduti agli studenti della Sapienza, ha ipotizzato con La Verità che il giovane Malagò in quei giorni fosse turbato per l'inchiesta sulle false lauree. Proietti era stato arrestato l'11 luglio 1985 e i giornali stavano seguendo con attenzione gli sviluppi dello scandalo. Malagò, secondo l'ex bidello, poteva essere agitato per quelle rivelazioni. «Forse voleva andare ad acquistare una copia del Tempo, del Messaggero... sapeva di questi fatti, delle false lauree» è stato il ragionamento di Proietti. Infatti, da lì a poco, il giovanotto sarebbe stato coinvolto nell'indagine e, 15 anni dopo, la sua laurea sarebbe stata annullata. Il superstite dell'incidente, Valerio Masciolini, contattato dalla Verità preferisce spendere poche parole: «È stato un episodio per me molto brutto. Io e Marco giocavamo al circolo Parioli e ci siamo trovati in una serata un po' così… sfortunata. È stata una sciagura. Calcoli che io sono stato male, quindi non è che abbia grandi ricordi. Mi svegliai in ospedale e solo riparlarne mi dà sinceramente fastidio». All'epoca la notizia scosse Roma Nord e, in particolare, il quartiere dei Parioli, uno dei più esclusivi. Vivevano lì le famiglie Bazzi e Masciolini. All'epoca Piero Bazzi, il padre di Marco, era presidente dell'Avir (lo è stato dal 1975 al 1994) un'importante vetreria con base ad Asti. Bazzi senior nell'aprile 2018 è stato assolto in un'inchiesta per omicidio colposo legata all'amianto. Abbiamo provato a cercarlo nella sua casa a due passi dalla splendida Villa Ada. La badante sudamericana ha respinto il nostro tentativo di intervista. Così abbiamo ricostruito la vicenda attraverso le carte processuali e la voce di uno degli avvocati di famiglia, Giuseppe Bozzi, che seguirono l'iter processuale in sede civile. «La solidarietà alla famiglia della vittima è mancata. Malagò non lo può negare. Il procedimento non sarebbe andato avanti se ci fosse stato un atteggiamento collaborativo, conciliativo. C'è stata resistenza fino alla Cassazione. Era nel suo (di Malagò, ndr) diritto difendersi, per carità. Ma spesso queste cose si conciliano sul piano risarcitorio».Nel 1995 il giudice di primo grado condannò la compagnia assicurativa Ras a versare 60.000.000 di lire alla sorella di Marco Bazzi, Simona, e 266.447.000 euro ai genitori Piero e Renata. I famigliari non ritennero la cifra adeguata e fecero ricorso. Anche Malagò e la compagnia assicurativa presentarono a loro volta «appello incidentale». Nel 1997 il giudice di secondo grado aumentò le quote del risarcimento: 100.000.000 alla sorella e 414.599.073 ai genitori. Ma pure dopo questa decisione partirono altri ricorsi e controricorsi. Malagò e la Ras sostennero che i giudici di secondo grado non avevano tenuto conto «delle somme erogate in favore del soggetto rimasto gravemente infortunato nell'incidente e di quelle offerte ai Bazzi per la riparazione del danno morale e da questi rifiutate». Ma la Cassazione respinse il loro ricorso: «La Corte territoriale nel procedere alla liquidazione del danno in favore degli odierni resistenti in misura eccedente il residuo massimale di polizza ha fornito ampia e adeguata motivazione delle ragioni alle quali si è ispirata ponendo principalmente l'accento sull'accertato inadempimento della società assicuratrice che pur in presenza dell'evidente responsabilità dell'assicurato non aveva posto immediatamente a disposizione dei danneggiati l'importo del massimale, limitandosi a una insufficiente e tardiva offerta (dopo ben 4 anni dall'incidente)». L'unico motivo di doglianza di Malagò e della Ras che venne accolto fu quello sul calcolo degli interessi e della rivalutazione monetaria. Ma anche i Bazzi ebbero da recriminare: a loro giudizio, la Corte d'Appello «non avrebbe considerato, o quanto meno non l'avrebbe sottoposto a un'unitaria valutazione, la condotta tenuta dal Malagò in occasione del sinistro, negli anni successivi e durante il processo civile. Non avrebbe fatto nessun cenno al disvalore della stessa né alla personalità del uso autore. Non avrebbe rilevato che la liquidazione del danno morale non assolve solo a una funzione satisfattiva, ma anche punitiva per il colpevole». Ma per gli ermellini, se era pacifica l'«evidente responsabilità dell'assicurato», non lo era altrettanto la valutazione della «misura del pentimento dell'autore del fatto criminoso e la sua partecipazione al dolore della famiglia della vittima, rilevano correttamente che trattavasi di profili di difficile accertamento non valutabili con criteri oggettivi». La famiglia Bazzi asserì anche che nella valutazione del risarcimento del danno morale era stato dato scarso peso «alle condizioni economiche del responsabile del sinistro ai fini del riconoscimento di un maggior danno morale che incidendo sul suo patrimonio finisse con l'assolvere anche a una funzione punitiva». Ma i giudici di secondo grado preferirono considerare il «reddito dell'investitore un ruolo complementare e non prevalente». E la Cassazione diede loro ragione perché «l'indennizzo non ha e non può avere funzione reintegrativa delle sofferenze morali e dei torti giuridici subiti». I parenti di Marco Bazzi protestarono anche perché la Corte d'appello non aveva accolto la loro richiesta di pubblicazione della sentenza di condanna di Malagò e della Ras sui giornali e perché lo stesso futuro presidente del Coni aveva ottenuto la cancellazione di alcuni giudizi poco lusinghieri nei suoi confronti, presenti nella citazione in giudizio. Dove per esempio si denunciava la presunta scarsa empatia dello stesso Malagò per le sofferenze della famiglia. Le toghe del Palazzaccio precisarono che «la divulgazione della sentenza civile attraverso la pubblicità della decisione inerisce indubbiamente a un potere discrezionale del giudice» e, per lo stesso motivo, non biasimarono la «cancellazione di alcune frasi contenute nella citazione introduttiva (ritenute ingiustificate e travalicanti i limiti della difesa e della critica)», decisione che secondo gli ermellini non ledeva il diritto alla difesa garantito dalla Costituzione. «Indipendentemente dai motivi della censura, la sostanza rimane» conclude l'avvocato Bozzi. «È un fatto che il signor Malagò sul piano umano non si era mai interessato della vittima e dei parenti. Non aveva mai portato la sua solidarietà. Questo è un fatto accertato. Per questo il mio collega Carlo Silvetti (deceduto alcuni anni fa, ndr) si era molto risentito. Che poi questa lamentela sia stata espressa nella causa in termini giuridici sopra le righe è un altro discorso».
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