
Viviamo un paradosso: disponiamo di medicine sempre più sofisticate (e dai costi milionari) ma non dei respiratori a Bergamo né delle terapie intensive a Cremona. Sono storture figlie di un sistema comandato dai flussi di denaro. E da chi li sa orientare.«Mi sono trovato un dossier sul tavolo, me lo aveva lasciato il ministro per chiedere un parere». Su cosa? «Dovevamo pagare 20 milioni di euro a due aziende farmaceutiche». Venti milioni? «Sì». Per avere che? «Il diritto di prelazione su un vaccino in caso di pandemia». Cioè per l'acquisto? «No, non per l'acquisto. Solo per il diritto di prelazione». Cioè 20 milioni per il diritto ad avere vaccini nell'eventualità di una pandemia? «Esatto». Senza sapere di che pandemia stessimo parlando? «Esatto». Dunque senza sapere di che vaccino stessimo parlando? «Esatto». Solo per avere, nell'eventualità, il diritto di comprare? «Capisco il suo stupore». Quando il dottor Armando Bartolazzi, medico assai quotato ed ex sottosegretario alla Salute nel primo governo Conte, mi ha raccontato questo episodio, era l'autunno 2019 e il coronavirus non sapevo nemmeno che cosa fosse. Però mi aveva colpito scoprire che c'erano rappresentanti di aziende farmaceutiche che andavano in giro a offrire, al modico prezzo di 20 milioni di euro, una specie di prelazione per comprare il vaccino in caso di pandemia. Sia chiaro: non penso che sapessero qualcosa in anticipo. Niente complottismi, per carità. Ma mi domando: è giusto chiedere 20 milioni al buio per una prelazione sui vaccini in caso di pandemia? E questo vuol dire che in giro per il mondo c'è qualcuno che ha già pagato quella cifra? E quindi costui, quando finalmente il vaccino sarà pronto, passerà davanti agli altri? In virtù della prelazione? Dei 20 milioni sborsati? E che prezzo avrà quel vaccino? Se lo potranno permettere tutti? Domande lecite, mi auguro. Anzi, domande che dovremmo farci con una certa urgenza. Il rapporto tra soldi e salute, infatti, sarà il vero nodo cruciale dei prossimi anni. E non solo per i virus. «Per ogni malato di cancro ai polmoni» mi disse in quell'occasione il dottor Bartolazzi «oggi spendiamo, con le terapie innovative, l'equivalente di due Ferrari. Ma tra un po' le Ferrari diventeranno quattro. Fino a quando potremo permettercele? Arriveremo al punto di cui si dirà: tu hai 40 anni, ti possiamo curare. Tu ne hai 41, troppo vecchio, non ti cureremo più». Pensavo, allora, che stesse esagerando. Abbiamo capito, nelle ultime settimane, che non siamo troppo lontani da lì.La sanità ci salva la vita, ma poi chi salva la sanità dagli sciacalli? Per anni abbiamo trascurato questo tema. Sembrava irrilevante. Intanto lasciavamo che fossero dragati soldi al settore: non c'è stato Consiglio dei ministri degli ultimi decenni in cui non si discutesse di come risparmiare sulla salute dei cittadini. [...] Il prezzo dei farmaci deve essere trasparente: lo prevede una direttiva europea del 1989, che però non è mai stata applicata. Peccato perché su questo punto si gioca una partita fondamentale, come ha dimostrato anche l'emergenza coronavirus. Viviamo infatti in uno strano paradosso: abbiamo a disposizione medicine sempre più sofisticate, poi mancano i respiratori all'ospedale di Bergamo. Produciamo farmaci da due milioni di dollari, ma non ci sono posti in terapia intensiva a Cremona. I medici non hanno camici a norma e il prezzo di una pillola contro il cancro aumenta del 1.540 per cento in un giorno, solo perché l'azienda ha cambiato proprietà. Quello dei farmaci è l'unico settore dove il progresso ha fatto aumentare i costi. Pensate ai trasporti: nel 1953 per andare da Roma a New York ci volevano 10 giorni in nave e 5.300 dollari. Oggi 9 ore di aereo e 225 dollari. Migliora la tecnologia, si riduce il prezzo. Al contrario di quello che succede con i farmaci. Qualcuno dice: sì, ma questi ultimi spesso sono l'unica chance per sopravvivere. Perfetto: ma allora quanto dovrebbe costare un salvagente? Anche la ricerca: oggi scopriamo quanto sia importante. Non sarebbe giusto che gli Stati ci investissero di più? Perché l'abbiamo lasciata per anni nelle mani dei privati? [...] Questo bisogna chiedersi: è giusto il sistema che abbiamo costruito? Giovanni Battista Gaeta, infettivologo di fama e docente all'Università Luigi Vanvitelli, è stato incaricato di scrivere le linee guida della Regione Campania sull'uso dei farmaci. Abbiamo scoperto che lo stesso dottor Gaeta risulta aver ricevuto un contributo in denaro dalla multinazionale Merck. Sono pochi soldi, certo. Ma bastano per far venire il sospetto: non sarebbe meglio se chi dà indicazioni ufficiali sull'uso dei farmaci non prendesse soldi da chi i farmaci li produce? Glielo chiediamo. E lui risponde: «Il sistema è questo. Buono o cattivo che sia, nessuno ne ha trovato uno migliore». E poi aggiunge: «Se le linee guida dovesse scriverle chi non prende soldi dalle case farmaceutiche, le dovrebbe scrivere l'usciere». Con buona pace dell'usciere, dopo il ciclone coronavirus, forse possiamo chiederci se per caso non sia possibile trovare un sistema migliore. Perché forse non ci sarà niente di male, ma a noi non sembra normale che prendano soldi dalle multinazionali non solo i dottori, non solo le società mediche, non solo le associazioni dei malati, ma anche le istituzioni pubbliche, le Asl e persino l'Istituto superiore di sanità, che in tre anni ha incassato 323.000 euro dalla Glaxo. [...] Tutto ciò fa tornare in mente quel presidente di azienda farmaceutica che diceva: «Il nostro obiettivo? Vendere medicine alle persone sane». Obiettivo centrato, si direbbe: basti pensare all'eccesso nell'uso di antibiotici (vera emergenza mondiale), allo spreco della vitamina D (320 milioni di euro buttati ogni anno in Italia), per non dire del proliferare di esami inutili (10 miliardi di euro buttati ogni anno in Italia) che per lo più servono a creare malati anche quando non ci sono. Perché pure in quello siamo stati bravissimi: nel creare malattie che non esistono, salvo poi non avere i mezzi per contenere quelle che ci distruggono davvero…Se vogliamo ricostruire la sanità bisogna tenere presente tutto questo. Bisogna metterci più soldi, certo: ma bisogna anche metterli bene. Capire dove vanno a finire. Negli ultimi dieci anni, per dire, in Italia i consulenti della Kpmg hanno incassato 100 milioni di euro per fare un lavoro che poteva fare tranquillamente lo Stato. Una delle Regioni dove gli esperti sono stati più presenti è stata la Calabria. I risultati? Debito esploso e ospedali fatiscenti. I dati, in ogni caso, sono impietosi: dal 2009 al 2017 la spesa pubblica sanitaria italiana è cresciuta meno che in qualsiasi Paese Ocse (esclusi Grecia, Portogallo e Lussemburgo). Il nostro Stato investe per la salute di ogni cittadino 2.545 dollari, cioè 500 in meno della media Ocse (3.038). In compenso i cittadini italiani spendono di tasca loro 791 dollari, cioè più della media Ocse (716). Un italiano su tre ormai paga le cure sanitarie essenziali di tasca sua, facendo così esplodere i guadagni della Salute Spa le aziende del settore hanno avuto negli ultimi anni crescite di fatturato fino al 40 per cento. Il motivo? Lo spiega uno studio Cergas Bocconi: «La domanda insoddisfatta del Servizio Sanitario Nazionale diviene area strategica». Perfetto, no? L'insoddisfazione dei malati è strategica per i bilanci aziendali. [...] Ecco: è l'insoddisfazione che diventa strategica. E di strategia in strategia sulla sanità si stanno già avventando anche altri soggetti interessati al grande business del presente e del futuro, dalle assicurazioni, che s'inventano nuove formule sempre più aggressive, ai giganti del web, disposti a investire montagne di dollari anche per acquisire i dati dei malati. [...]
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