La nonna liberata: «Visto l’inferno». Rallenta il dialogo su altri 50 ostaggi

Due donne anziane sequestrate sono state liberate da Hamas, che però frena sul rilascio di altri 50 ostaggi, ipotizzato l’altro ieri, se a Gaza non verranno lasciati entrare carburante e medicine. La giornata di ieri è stata caratterizzata dalla conferenza stampa di Yocheved Lifshitz, 85 anni, pacifista e attivista per i diritti umani, liberata da Hamas insieme alla sua amica e vicina di casa, Nurit Cooper, 79 anni. Le due anziane erano state rapite da Hamas lo scorso 7 ottobre insieme ai loro mariti, ancora nelle mani dei terroristi, nel kibbutz di Nir Oz, al confine con Gaza.
Gli uomini di Hamas le hanno consegnate alla Croce rossa presso il valico egiziano di Rafah. Il momento del rilascio è stato ripreso dalle telecamere: si vede la Lifshitz stringere la mano a uno dei due rapitori e dirgli «shalom». Le due donne sono state caricate su ambulanze e portate all’ospedale Ichilov di Tel Aviv. Ieri, davanti alla struttura, la Lifshitz ha raccontato alle telecamere di tutto il mondo il suo incubo durato 16 giorni, che è poi quello che stanno ancora vivendo i circa 220 ostaggi ancora nelle mani di Hamas. «Ho attraversato un inferno», ha detto la Lifshitz, «al quale non pensavo che sarei sopravvissuta. Non pensavo che saremmo arrivati fin qui». La donna ha raccontato il momento del sequestro: «All’improvviso», ha spiegato, «l’insediamento è stato duramente colpito». I terroristi di Hamas «hanno fatto saltare in aria la recinzione elettronica, la cui costruzione è costata 2,5 miliardi di dollari ma non è servita a nulla. Hanno assalito le nostre case, picchiato la gente, preso ostaggi, non facevano distinzione tra giovani e anziani. Sono stata caricata su una motocicletta», ha aggiunto Yocheved Lifshitz, «e colpita con dei bastoni durante il trasferimento verso la Striscia. Non mi hanno rotto le costole ma mi hanno ferita gravemente, rendendomi difficile respirare. Ci hanno portato fino all’ingresso dei tunnel e abbiamo camminato per chilometri, c’è un gigantesco sistema di tunnel, come ragnatele. Quando siamo arrivati lì ci hanno detto che credono nel Corano, che non ci avrebbero fatto del male e che avremmo vissuto come loro nei tunnel. Ci sorvegliavano da vicino», ha detto ancora la Lifshitz, «è arrivato un medico e gli ostaggi sono stati messi su dei materassi. Il trattamento riservato a noi è stato buono, eravamo sdraiati su materassi, si assicuravano che tutto fosse pulito, che non ci ammalassimo. Si assicuravano che mangiassimo, lo stesso cibo che mangiavano loro: pita con formaggio bianco e cetrioli. Erano pronti, si stavano preparando da un po’, avevano tutto ciò di cui donne e uomini avrebbero avuto bisogno. Anche shampoo e balsamo». La Lifshitz ha criticato il governo israeliano che, a suo dire, ha «abbandonato le comunità intorno a Gaza», e le forze di sicurezza: «Tre settimane fa», ha raccontato, «masse di persone sono arrivate alla recinzione» che separa la Striscia da Israele, ma «le forze armate non hanno preso la cosa sul serio. Siamo stati lasciati a noi stessi. Eravamo il capro espiatorio», ha affermato la donna, che secondo i medici dell’ospedale è in buone condizioni, come la sua amica Nurit.
Si complica invece la trattativa per il rilascio degli altri ostaggi: «Per motivi umanitari abbiamo rilasciato quattro ostaggi senza condizioni», ha detto Osama Hamdan, esponente del politburo di Hamas e suo rappresentante in Libano, all’agenzia Dpa, «ma se qualcuno vuole arrivare ad altre liberazioni, dobbiamo insistere affinché la comunità internazionale eserciti maggiori pressioni su Israele per l’apertura del valico di Rafah per consentire l’arrivo di carburante e forniture sanitarie». «Se Israele dovesse cessare gli attacchi sulla Striscia di Gaza», ha dichiarato l’ex leader politico di Hamas, Khaled Meshaal, intervistato dalla televisione britannica Sky News, riporta Askanews, «i Paesi mediatori come il Qatar, l’Egitto e gli altri Paesi arabi troverebbero il modo per far liberare gli ostaggi e farli ritornare a casa». Secondo Meshaal occorre fermare i bombardamenti e «lo sgombero forzato di Gaza settentrionale».
Ieri aerei israeliani hanno lanciato su Gaza migliaia di volantini promettendo «la massima discrezione, protezione e anche un premio pecuniario» a chi fornirà informazioni utili al ritrovamento degli ostaggi. Ieri i servizi di sicurezza israeliani hanno diffuso i video degli interrogatori di sette terroristi di Hamas catturati durante l’attacco del 7 ottobre. In uno di questi filmati, riferisce Times of Israel, uno dei terroristi dichiara che «a Gaza quelli che portano ostaggi ricevono una ricompensa: un appartamento e 10.000 dollari».
Ieri il premier, Giorgia Meloni, ha incontrato a Palazzo Chigi una delegazione dei familiari delle vittime e degli ostaggi. Nel corso del’'incontro, la Meloni ha ascoltato le storie dei familiari e ha espresso il profondo sgomento per la ferocia con la quale Hamas si è accanito contro civili inermi, casa per casa, non risparmiando neppure donne, bambini e anziani. La Meloni ha rinnovato la solidarietà e la vicinanza del governo allo Stato d’Israele, ha ribadito la forte preoccupazione per gli ostaggi e ha confermato il suo impegno per la loro liberazione immediata.






