2023-10-25
La nonna liberata: «Visto l’inferno». Rallenta il dialogo su altri 50 ostaggi
Yocheved Lifshitz, 85 anni, racconta il suo calvario: «Presi a bastonate, poi portati nei tunnel. Il governo ci ha abbandonato». I terroristi: «Per lasciarne andare ancora ci serve il carburante e lo stop ai raid».Due donne anziane sequestrate sono state liberate da Hamas, che però frena sul rilascio di altri 50 ostaggi, ipotizzato l’altro ieri, se a Gaza non verranno lasciati entrare carburante e medicine. La giornata di ieri è stata caratterizzata dalla conferenza stampa di Yocheved Lifshitz, 85 anni, pacifista e attivista per i diritti umani, liberata da Hamas insieme alla sua amica e vicina di casa, Nurit Cooper, 79 anni. Le due anziane erano state rapite da Hamas lo scorso 7 ottobre insieme ai loro mariti, ancora nelle mani dei terroristi, nel kibbutz di Nir Oz, al confine con Gaza.Gli uomini di Hamas le hanno consegnate alla Croce rossa presso il valico egiziano di Rafah. Il momento del rilascio è stato ripreso dalle telecamere: si vede la Lifshitz stringere la mano a uno dei due rapitori e dirgli «shalom». Le due donne sono state caricate su ambulanze e portate all’ospedale Ichilov di Tel Aviv. Ieri, davanti alla struttura, la Lifshitz ha raccontato alle telecamere di tutto il mondo il suo incubo durato 16 giorni, che è poi quello che stanno ancora vivendo i circa 220 ostaggi ancora nelle mani di Hamas. «Ho attraversato un inferno», ha detto la Lifshitz, «al quale non pensavo che sarei sopravvissuta. Non pensavo che saremmo arrivati fin qui». La donna ha raccontato il momento del sequestro: «All’improvviso», ha spiegato, «l’insediamento è stato duramente colpito». I terroristi di Hamas «hanno fatto saltare in aria la recinzione elettronica, la cui costruzione è costata 2,5 miliardi di dollari ma non è servita a nulla. Hanno assalito le nostre case, picchiato la gente, preso ostaggi, non facevano distinzione tra giovani e anziani. Sono stata caricata su una motocicletta», ha aggiunto Yocheved Lifshitz, «e colpita con dei bastoni durante il trasferimento verso la Striscia. Non mi hanno rotto le costole ma mi hanno ferita gravemente, rendendomi difficile respirare. Ci hanno portato fino all’ingresso dei tunnel e abbiamo camminato per chilometri, c’è un gigantesco sistema di tunnel, come ragnatele. Quando siamo arrivati lì ci hanno detto che credono nel Corano, che non ci avrebbero fatto del male e che avremmo vissuto come loro nei tunnel. Ci sorvegliavano da vicino», ha detto ancora la Lifshitz, «è arrivato un medico e gli ostaggi sono stati messi su dei materassi. Il trattamento riservato a noi è stato buono, eravamo sdraiati su materassi, si assicuravano che tutto fosse pulito, che non ci ammalassimo. Si assicuravano che mangiassimo, lo stesso cibo che mangiavano loro: pita con formaggio bianco e cetrioli. Erano pronti, si stavano preparando da un po’, avevano tutto ciò di cui donne e uomini avrebbero avuto bisogno. Anche shampoo e balsamo». La Lifshitz ha criticato il governo israeliano che, a suo dire, ha «abbandonato le comunità intorno a Gaza», e le forze di sicurezza: «Tre settimane fa», ha raccontato, «masse di persone sono arrivate alla recinzione» che separa la Striscia da Israele, ma «le forze armate non hanno preso la cosa sul serio. Siamo stati lasciati a noi stessi. Eravamo il capro espiatorio», ha affermato la donna, che secondo i medici dell’ospedale è in buone condizioni, come la sua amica Nurit. Si complica invece la trattativa per il rilascio degli altri ostaggi: «Per motivi umanitari abbiamo rilasciato quattro ostaggi senza condizioni», ha detto Osama Hamdan, esponente del politburo di Hamas e suo rappresentante in Libano, all’agenzia Dpa, «ma se qualcuno vuole arrivare ad altre liberazioni, dobbiamo insistere affinché la comunità internazionale eserciti maggiori pressioni su Israele per l’apertura del valico di Rafah per consentire l’arrivo di carburante e forniture sanitarie». «Se Israele dovesse cessare gli attacchi sulla Striscia di Gaza», ha dichiarato l’ex leader politico di Hamas, Khaled Meshaal, intervistato dalla televisione britannica Sky News, riporta Askanews, «i Paesi mediatori come il Qatar, l’Egitto e gli altri Paesi arabi troverebbero il modo per far liberare gli ostaggi e farli ritornare a casa». Secondo Meshaal occorre fermare i bombardamenti e «lo sgombero forzato di Gaza settentrionale». Ieri aerei israeliani hanno lanciato su Gaza migliaia di volantini promettendo «la massima discrezione, protezione e anche un premio pecuniario» a chi fornirà informazioni utili al ritrovamento degli ostaggi. Ieri i servizi di sicurezza israeliani hanno diffuso i video degli interrogatori di sette terroristi di Hamas catturati durante l’attacco del 7 ottobre. In uno di questi filmati, riferisce Times of Israel, uno dei terroristi dichiara che «a Gaza quelli che portano ostaggi ricevono una ricompensa: un appartamento e 10.000 dollari». Ieri il premier, Giorgia Meloni, ha incontrato a Palazzo Chigi una delegazione dei familiari delle vittime e degli ostaggi. Nel corso del’'incontro, la Meloni ha ascoltato le storie dei familiari e ha espresso il profondo sgomento per la ferocia con la quale Hamas si è accanito contro civili inermi, casa per casa, non risparmiando neppure donne, bambini e anziani. La Meloni ha rinnovato la solidarietà e la vicinanza del governo allo Stato d’Israele, ha ribadito la forte preoccupazione per gli ostaggi e ha confermato il suo impegno per la loro liberazione immediata.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)