2021-07-22
La morte di Giuliani pesa sulle coscienze di chi a Genova giocava alla guerra
Fu l'ostinazione con cui Cobas e Tute bianche volevano la zona rossa ad alimentare il terrore finito in tragedia in quella piazza.In questi giorni ho cercato di non scrivere niente sul G8 anche se sono genovese e 20 anni fa ero nella mia città per raccontare per Panorama quanto stesse accadendo. Non volevo essere accusato di reducismo, rievocando gesta giovanili persino incaute. Nel 2010 ho anche declinato l'offerta di un'importante casa editrice di vergare un libro sul decennale dell'evento. Ma lo scorso 20 luglio, giorno del ventennale della morte di Carlo Giuliani, ero nella mia città dove ho assistito alla sfilata di pseudo reduci, giornalisti e no global, e ho avuto la percezione che molti abbiano dimenticato o fatto finta di dimenticare quello che davvero è accaduto a Genova 20 anni fa.Davanti a Palazzo ducale, dove, nel 2001, si erano incontrati i grandi della Terra, mentre fuori succedeva il finimondo, sotto un tendone con striscione d'ordinanza («Voi siete la malattia, noi la cura»), ho ascoltato il solito bla bla stantio. Ma il peggio è accaduto in piazza Alimonda, dove decine di manifestanti hanno ricordato il loro martire, Carlo Giuliani appunto, sulle note del sempre verde Manu Chao.Ma io in piazza Alimonda alle 17 e 27 del 20 luglio del 2001 c'ero, quando il carabiniere di leva Mario Placanica sparò contro un ragazzo poco più grande che, con un passamontagna in testa e un estintore in mano, stava cercando di sfondare il vetro del Defender sul quale si trovava il militare. Seguivo gli scontri in prima linea. Ero infiltrato tra i black bloc, con casco, maschera antigas, occhiali da saldatore e bandiera dei Cobas sulle spalle. Per poter scrivere un articolo originale avevo deciso di non seguire le Tute bianche guidate dai capitan fracassa Luca Casarini e Vittorio Agnoletto come la maggior parte dei colleghi: mi ero diretto nella piazza dei Cobas. Da lì era partito tutto. Avevano iniziato la loro marcia i circa 300 anarcoinsurrezionalisti che dietro allo striscione «Smash», come una falange macedone avevano messo a ferro e fuoco la mia città. Ero con loro e il mio resoconto esclusivo finì su Panorama. Per questo sono stato sentito come testimone durante il processo contro i black bloc.«Erano apparsi come dal nulla in piazza Tommaseo, durante i primi scontri. Biondi, con in testa un casco a forma di conchiglia, mascherina bianca e protezioni da hockey. Battevano sui loro tamburi con ritmo ossessivo. Hanno marciato per ore con passo marziale, senza stancarsi. […] Con i loro strumenti hanno ritmato lo stupro alla città. Sbandieravano, circondati da sassaiole e fiamme. A Genova i black bloc, come in una macabra danza, hanno distrutto tutto a suon di musica», scrissi. Oggi del G8 rimane quasi solo la brutta storia dell'irruzione della Celere dentro alla scuola Diaz con successiva manomissione delle prove. Ma quella scorreria arrivò solo al terzo giorno di tensione e dopo che per due giorni i black bloc stranieri e i loro numerosi epigoni italiani avevano incendiato Genova e spedito in ospedale decine di uomini delle forze dell'ordine. Il 19 luglio, il corteo inaugurale, quello per i diritti degli extracomunitari che non registrò incidenti di rilievo, era stato accolti dai genovesi in modo festante. Ho visto i miei concittadini applaudire dai balconi, li ho sentiti far risuonare dalle finestre Bella ciao, mentre sventolavano bandiere rosse o col volto del Che. Il terzo giorno, dagli stessi palazzi, piombavano sui manifestanti vasi di basilico.I no global e il loro cupio dissolvi ridussero il lungomare di Genova, Corso Italia, a un tappeto di macerie degno di Beirut. Polizia e carabinieri furono costretti a un'inaspettata battaglia per le stradine della città, ma anche in campo aperto, vicino alla Fiera. Uno scontro che sfibrò anche chi, come me, era un semplice osservatore. Non è facile passare due giorni a evitare lacrimogeni, bombe molotov o pietre che sibilano nell'aria resa incandescente dai gas e dal sole. Il 20 luglio, dopo che gli anarcoinsurrezionalisti avevano devastato il centro del capoluogo ligure, le Tute bianche capitanate da Casarini e Agnoletto ritennero di non fermare la loro marcia verso le transenne che all'altezza della stazione Brignole delimitavano la zona rossa. Decine di migliaia di sedicenti ribelli iniziarono a pressare le forze dell'ordine già esasperate dalla Blitzkrieg messa in atto dal blocco nero. Casarini e i suoi, con armature di gomma piuma e caschi in testa, non davano l'impressione di essere giovani marmotte. Erano pronti a tutto pur di entrare nell'area off limits. Ma lo Stato non poteva permettere loro di forzare le griglie. E le Tute bianche lo sapevano bene. Ma, come apprendisti stregoni, giocavano con il fuoco consapevoli delle rischiosissime conseguenze dell'azzardo. Avanzarono sino in via Tolemaide, una specie di imbuto che immette nella piazza della stazione. Lì successe l'inevitabile. I blindati della polizia attivarono gli idranti e la confusione prese il sopravvento su tutto. I due fronti si aggrovigliarono in un inestricabile corpo a corpo. Assistetti a una scena che non dimenticherò mai: davanti a me un poliziotto si liberò di scudo e manganello e iniziò a scappare, intimandomi di togliermi dai piedi. Poche ore prima nello stesso punto avevo visto bruciare come un ceppo da caminetto un blindato dei carabinieri tra le grida dei manifestanti. Davanti al rogo c'era persino un prete, don Vitaliano Della Sala, uno dei più sovreccitati dalla scena.Su Panorama avevo raccontato che quel giorno non si scherzava. La mattina avevo sentito i primi colpi di pistola, «quando un gruppo di manifestanti guidati da un marsigliese di colore che brandiva un paletto con catena divelto dall'asfalto, ha assalito e trascinato giù dalla Vespa un cameraman della Scientifica che li stava riprendendo. Per salvarlo, un collega ha dovuto sparare alcuni colpi in aria». Poi arrivarono le cinque della sera, «quando venne il sudore di neve», per dirla con Federico Garcia Lorca e «il resto era morte e solo morte». Erano passate quattro ore dalle fine degli scontri mattutini. Ecco come riportai quello che accadde: «Altri due spari li ho uditi in piazza Alimonda, quando un carabiniere di 20 anni ha ucciso Carlo Giuliani, un anarchico solo di tre anni più grande. Stavo correndo in quella piazza perché un gruppo di manifestanti esultava come per un'arena per tori: avevano catturato una Land Rover dei carabinieri. Poi due botti e un ragazzo», riccioli castani e accento torinese, «ha urlato: “L'hanno ammazzato, stanno sparando". È iniziata una fuga confusa, nell'aria e nella testa quel grido: “L'hanno ammazzato". Quel dramma è stato il sipario su una giornata di scontri che ho seguito marciando dietro a nove tamburini tedeschi con le bandiere nere, paradossali eredi dei neri prussiani del generale Gebhard Von Blücher, il mattatore di Waterloo».Lo ammetto: pur essendo un cronista e anche se mi ero già trovato in altre situazioni a rischio, come la guerra del Kosovo, non ebbi il coraggio di continuare a correre verso il corpo di Giuliani. Ma non scappavo solo io, come ho già detto. Persino alcuni tutori della legge avevano perso il controllo. E tutto questo perché Casarini e Agnoletto non avevano voluto fermare il loro giocattolo diabolico nonostante quello che era accaduto al mattino. In quelle ore mi ricordarono David Patrick Kelly che, nel film I guerrieri della notte, chiedeva con quella voce un po' stridula: «Guerrieri, giochiamo a fare la guerra?». Anche Giuliani e i suoi compagni si erano mescolati alla folla che insieme alle Tute bianche era scesa dallo stadio Carlini verso la stazione. Avevano approfittato della confusione per attaccare un Defender, che, in quel caos, aveva prima provato a fuggire sgommando, ma poi era rimasto bloccato in mezzo a piazza Alimonda circondato da una folla inferocita. Sentii gli applausi e l'esultanza da stadio senza capire ciò che stava accadendo a pochi metri da me. E scappai. Per questo per me è stato facile immaginare il terrore di Placanica in quella jeep: deve essersi sentito come il toro nell'arena e come il toro ha provato a sfuggire al suo destino. Giuliani è morto a pochi metri da via Tolemaide dove Casarini & c. avevano portato il loro «esercito di straccioni». Su Panorama pubblicammo la foto cruenta del ventitreenne assalitore, in una pozza di sangue, colpito sotto lo zigomo sinistro. Uno scatto che più che a Placanica dovrebbe togliere il sonno a chi accese la miccia dell'inferno che scoppiò intorno alla stazione Brignole.
Bologna, i resti dell'Audi rubata sulla quale due ragazzi albanesi stavano fuggendo dalla Polizia (Ansa)
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)