2023-01-29
«La montagna è piena di sentieri nascosti che narrano storie»
Franco Faggiani (Raicultura)
Lo scrittore Franco Faggiani: «Cammino piano, in silenzio e attendo rivelazioni A salvare l’Appennino ci pensa gente che fa mestieri antichi».Franco Faggiani, romano di nascita e milanese di adozione, è noto al pubblico grazie ai suoi romanzi delicati e incentrati su intense figure e vicende umane, spesso proiettate in ambienti naturali, come ad esempio La manutenzione dei sensi e Il guardiano della collina dei ciliegi, pubblicati con successo dall’editore Fazi. In verità Faggiani ha vissuto l’editoria e la cultura in varie vesti: ad esempio in qualità di giornalista, correttore di bozze e fotografo, autore di guide, esperto di enogastronomia. Come molti autori appassionati alla natura si immerge spesso nei paesaggi e percorre lunghi cammini a piedi. L’ultimo suo libro nasce proprio da questa serie di esperienze, si intitola Le meraviglie delle Alpi ed è edito da Rizzoli.Quali sono i criteri che l’hanno portata a individuare i dieci sentieri che propone ai lettori?«Ho scelto itinerari fuori mano, anche se, al contempo, sono spesso vicini alle città o facili da raggiungere; dunque non sentieri estremi, da escursionisti del limite, ma percorribili da chiunque. Ho unito tracciati un tempo frequentati dagli abitanti delle montagne, poi dimenticati o tenuti in vita solo in parte. Ho dunque provato a ricongiungere i pezzi. Questi itinerari non dovevano solo offrire bei paesaggi ma anche storie. Di persone, di usanze, mestieri antichi, ambienti, borghi. In ogni itinerario sono riuscito a farmi accompagnare da una persona del posto, così, strada facendo, sono saltati fuori aneddoti, episodi e curiosità che non avrei mai trovato in un libro».Quando si immerge in un bosco o in una riserva, il suo occhio, la sua attenzione, ricerca maggiormente i segni delle attività umane o si adatta allo spirito della natura che ragiona senza di noi?«Mi interessano le tracce delle attività umane. Attraverso di loro cerco di immaginare la vita delle persone in quei luoghi e quanto potessero vivere in sintonia o meno con la natura, con il territorio, con le mutazioni stagionali. Ma poi mi lascio del tutto andare all’ambiente che mi circonda, con il sogno di entrare a farne parte totalmente, come fossi un albero che è lì da secoli, o un arbusto che ha trovato finalmente il posto giusto per vivere, o un animale che si muove con disinvoltura e non ha paura della notte. Cammino piano, cerco perfino di far meno rumore possibile, mi fermo, ascolto, osservo - che è la cosa più importante - aspetto rivelazioni. A volte penso che la natura sia del tutto indifferente al mio passaggio, altre volte invece sono io a sentirmi osservato. Il pittore fiammingo Hieronymus Bosch, vissuto nel 1500, autore di opere fantastiche con la natura al centro, diceva: “il bosco ha orecchio, il campo ha gli occhi”».Che gente abita questi territori marginali, disegnati tra boschi e paesi nido arroccati nella caparbietà da generazioni? Che Italia esiste qui, rispetto a quella che conosciamo nelle città?«È come essere al cambio della guardia, c’è chi va e chi viene. C’è chi ambisce a lasciare le valli e andare in città e ci sono quelli che dalla città vorrebbero andare a vivere in montagna. Alcuni di questi ultimi a volte ci riescono, purché esistano delle condizioni di base: una connessione che funzioni per poter lavorare, le strade pulite dalla neve per non restare isolati, un medico raggiungibile in caso di necessità. Altrimenti si diventa eremiti, con tutti i privilegi ma anche i rischi del caso. Entrambi poi subiscono crisi di rigetto, e i montanari urbanizzati dopo un po’ tornano nelle valli, i cittadini difficilmente sanno affrontare il silenzio e la solitudine dell’inverno e ritornano da dove sono arrivati. Chi resiste impiega molto tempo per poter entrare a far parte di una comunità montana, anche perché questa tende tradizionalmente a tenere le sue porte chiuse. Alla gente di montagna il cittadino sta bene se viene a fare il villeggiante, come si diceva un tempo. Se però quest’ultimo manifesta l’intenzione di fermarsi, di vivere e lavorare nella piccola comunità locale, il sospetto aumenta e la distanza si allarga. Insomma, la convivenza vera non è facile, anche se magari la cosa vista dal bar del paese può fare un altro effetto».Dovesse scegliere per forza uno soltanto di questi sentieri, quale sceglierebbe? E per quali ragioni?«L’itinerario sull’altopiano del Cansiglio, tra le montagne venete. È facile arrivarci, è facile esplorarlo ed è ricco di sorprese paesaggistiche, naturalistiche e antropologiche. Vi si svolgono ancora attività arcaiche come la pastorizia transumante, è viva la cultura del bosco, ci sono foreste bellissime e ben conservate soggette all’inversione termica, con gli abeti che crescono sui fondivalle, dove la temperatura scende anche a 20 gradi sottozero e i faggi che crescono in alto, dove il sole si sofferma più a lungo e la temperatura è meno rigida, nonostante la quota. I faggi svettano dritti come lance, tanto che per secoli sono stati appannaggio esclusivo della Repubblica di Venezia, che li trasformava in remi per le sue flotte di galee. Inoltre nelle piccole borgate del Cansiglio vivono ancora piccole comunità di Cimbri, eredi di un’antica popolazione germanica, oggi minoranza etnica e linguistica tutelata da Consiglio d’Europa. Si possono visitare gli antichi insediamenti, particolari per lo stile architettonico e le ambientazioni, attraverso un sentiero che li congiunge tutti, attraversando boschi magici, dall’aspetto arcaico, con gli alberi che avvolgono con le loro radici grandi rocce carsiche. Sono stato in Cansiglio più di quanto richiesto dall’itinerario, a casa s’erano pure preoccupati, non riuscivo a venir via. Il tutto a pochi chilometri da Belluno».Un prossimo libro sarà dedicato ai suoi sentieri del cuore in Appennino?«Ho in testa due libri sull’Appennino. Uno, anzi, è già in cantiere: Gente d’Appennino, e riguarderà le persone che vivono nei paesi sparsi lungo tutta la dorsale. Persone che fanno mestieri antichi e strani, almeno per noi cittadini, e che vivono tenacemente nelle loro vallate non tanto perché lì hanno radici ma perché vogliono salvarle dal degrado e dall’abbandono, che nel fragile Appennino è più evidente che nelle Alpi. Saranno dunque storie di pastori, contadini, preti nomadi, carbonai, cantastorie, mulattieri, musici, artigiani e via di seguito. L’altro, quello sugli itinerari, dipenderà un po’ dalle scelte editoriali, dallo sviluppo della collana. In ogni caso, per portarmi avanti, ho già iniziato le mie esplorazioni. C’è da camminare per 1.350 chilometri».