2019-06-26
La monnezza fermenta sotto il sole. In città adesso si rischia la salute
Dai cumuli di spazzatura non raccolta filtrano liquami con alta carica batterica, l'ordine dei medici dichiara «preallarme». Comune e Regione non hanno soluzioni e spunta l'idea di commissariare entrambi. No, a Roma il disastro rifiuti non è più solo una questione estetica e di decoro urbano. Non c'è quartiere dove non si trovino (quasi fossero inquietanti installazioni d'arte contemporanea) cassonetti stracolmi, altre cataste di immondizia scaricate sui marciapiedi, sacchi della spazzatura squarciati dagli animali, battaglie epiche tra enormi gabbiani e più modesti piccioni e cornacchie, per non dire dei topi (che alla Magliana, in cerca di cibo, sono direttamente entrati in alcuni negozi). In qualche periferia sono comparsi perfino i cinghiali. Ma fin qui siamo - appunto - solo alla descrizione di un declino che si è visibilmente fatto degrado. La novità è che l'innalzamento delle temperature (si esce dai primi giorni di caldo asfissiante) ha portato la città alle soglie dell'emergenza sanitaria. Il presidente dell'ordine dei medici di Roma, Antonio Magi, è stato esplicito: «Siamo in una situazione di preallarme. Complice il caldo e la mancata raccolta per più giorni, si sono formati dei liquami: questi e il forte odore emanato dai cumuli sono spia della vitalità dei batteri». Concetto ribadito dal vicepresidente dell'ordine, Luigi Bartoletti: «Contaminazione batterica». E non serve uno scienziato per capire cosa può succedere se un bimbo tocca con le mani quella spazzatura rovente, o se (è quasi impossibile che la cosa non accada) un cane portato a passeggio si sporca il muso e le zampe, con inevitabile arrivo di potenti batteri nelle case dei romani. La triste realtà è che tutta la filiera ha fallito. Con due responsabili politici che finora l'hanno passata liscia: il sindaco di Roma, la grillina Virginia Raggi, e il presidente della Regione Lazio, il segretario del Pd Nicola Zingaretti. Eppure, come vedremo, al governo basterebbe un Consiglio dei ministri di pochi minuti per commissariarli. Ipotesi su cui la resistenza grillina è totale. Ma prima mettiamo in fila le quattro emergenze. Primo: l'Ama (la municipalizzata dei rifiuti) non provvede adeguatamente e tempestivamente allo svuotamento dei cassonetti né alla raccolta dell'altra spazzatura buttata sui marciapiedi. Inutile girarci intorno: la Raggi ha ricevuto un'eredità avvelenata: un'azienda in rosso, inefficiente, ipersindacalizzata, con assenze superiori al 15% medio. Ma in tre anni di Campidoglio grillinizzato, la girandola di sette manager, le contese anche giudiziarie, la mancanza di una strategia, hanno peggiorato le cose. È di questi giorni la nomina dei nuovi vertici (la presidente è Luisa Melara, l'amministratore delegato Paolo Longoni). Nel frattempo, sono saltati due assessori all'Ambiente (l'ultima non ancora rimpiazzata dalla Raggi). Secondo. Quand'anche la raccolta tornasse magicamente normale, non si saprebbe bene dove collocare i rifiuti e come trattarli. E infatti, i neonominati dirigenti Ama hanno subito messo le mani avanti, denunciando la totale mancanza di impianti. Terzo. Questa mancanza di impianti non è colpa del caso: è una precisa responsabilità di Comune e Regione. Non vogliono il termovalorizzatore, traccheggiano, parlano d'altro. Il sindaco straparla di differenziata (è vero che il Lazio è una delle ultime regioni in questa classifica), ma l'emergenza è adesso, e non può attendere anni. Quanto al presidente della Regione, ha chiuso il termovalorizzatore di Colleferro. Morale: la discarica più importante (Malagrotta) è stata chiusa nel 2013 senza che fosse stata predisposta - nei 10 anni precedenti - una seria alternativa, e in più (danno oltre la beffa) il piano regionale rifiuti è fermo al 2012, quando ancora Malagrotta c'era. Gli altri impianti sono vecchi, sovraccarichi, utilizzati al massimo della potenza ma con manutenzione al minimo. Quarto. Pullulano ovunque comitati per il «no» a tutto: alla discarica, al termovalorizzatore, a nuovi impianti Tmb (cioè per il trattamento meccanico-biologico dei rifiuti indifferenziati: cosa essenziale, vista la situazione). O per paura o per calcolo, Comune e Regione si piegano regolarmente a queste proteste, e tutto si ferma. Inutile dire che, in questo disastro, i romani pagano la Tari più alta d'Italia. La Raggi, dal canto suo, denuncia sabotaggi, nella forma di incendi che hanno colpito impianti Tmb. Ma sulla natura dolosa di quei roghi è lecito per lo meno dubitare: purtroppo spesso enormi quantità di rifiuti giacciono (in attesa di essere portate altrove: secondo dati del 2017, il Lazio smaltisce nel proprio territorio solo il 35% dei suoi rifiuti organici, e il resto va in altre Regioni o all'estero), fermentano, e, in condizioni atmosferiche particolari, il rischio di un incendio anche non doloso è dietro l'angolo. Dinanzi a questo sfacelo, una strada maestra ci sarebbe, e il primo a indicarla lucidamente è stato Donato Robilotta, già assessore regionale: commissariare Regione e Comune. Saremmo davanti a un caso classico: se due amministrazioni non sono in grado di svolgere le loro funzioni, il governo le commissaria. Solo un commissario può, in 6-7 mesi, prendere le decisioni del caso, aprire gli impianti, resistere alle proteste locali, ricondurre la situazione a un minimo di normalità.Naturalmente i grillini vedono una soluzione del genere come la morte (politica) della Raggi e della loro stessa credibilità di governo, e quindi si oppongono strenuamente. La Lega sta dunque vagliando un piano b, ancora misterioso: fonti governative leghiste fanno trapelare il possibile impegno di un gigante a partecipazione pubblica per un'azione straordinaria. Ne capiremo presto di più. Ma c'è una sola cosa che nessuno può permettersi: attendere ancora.