2023-11-07
La missione Libano blocca la nostra diplomazia
Il contingente Unifil ci espone agli attacchi dell’Iran, via Hezbollah, o a un’escalation guidata da Benjamin Netanyahu.La domanda che in molti, compreso il sottoscritto, si pongono è quale effetto potrà avere sulla politica italiana, sulla nostra economia e soprattutto sulla presenza militare tricolore in Libano il nuovo assetto del Medio Oriente. Quello che si comincerà a formare a partire da Natale. Stiamo infatti assistendo a un lavorio, nemmeno troppo dietro le quinte, degli Usa con l’obiettivo di avviare un cambio di regime a Gaza. Stop ai fondi per Hamas e revitalizzazione dell’Anp. In pratica l’idea sarebbe quella di sostenere un governo fantoccio a Gaza o nella metà meridionale della Striscia con l’obiettivo di espellere i terroristi sostenuti dall’Iran. L’obiettivo passerebbe attraverso la formazione di un triangolo. Stati Uniti, Turchia e Qatar. Lo dimostra il tour diplomatico di Antony Blinken, segretario di Stato Usa, prima a Ramallah, poi in Turchia. Lo dimostrano anche i viaggi di due importanti esponenti del Mossad in Qatar e la visita del numero uno della Cia sia in Israele che in Qatar. Quasi in contemporanea. L’esito di questa partita a scacchi può fortemente cambiare il ruolo dell’Italia nell’area. Per comprenderlo la cosa più semplice è valutare la nostra storica presenza militare in Libano. L’attuale missione Unifil II, che impiega circa 1.200 militari e quasi 400 mezzi, affonda le sue origini negli interventi militari degli anni Ottanti. Nel 1982, per la precisione, partì per il Sud del Libano un contingente di oltre 2.000 soldati di leva. L’operazione, in concorso con Francia, Regno Unito e Stati Uniti, non poteva avere il cappello dell’Onu per via del veto sovietico al Consiglio di sicurezza. Si rese però necessaria sull’onda emotiva del massacro nei campi di Sabra e Chatila. Quella missione, Multi National Forces, finì bruscamente la notte del 23 ottobre 1983, quando due camion bomba fatti esplodere dalla neonata Hezbollah uccisero oltre 200 militari Usa e 58 francesi. Gli italiani furono risparmiati. Perché? Perché non avendo la bandiera Onu, ciascun governo si mosse in autonomia. Il nostro avviò lo schema della cooperazione economica e della mediazione attiva tra fazioni. Una peculiarità che si rese possibile grazie alla postura specifica di Roma in Medio Oriente. In quell’anno e nei tre successivi la maggioranza espresse come presidente del Consiglio Bettino Craxi. Questa peculiarità ha condizionato di riflesso l’impostazione anche di tutte le missioni successive. Anche se col passare degli anni i militari presenti in Libano hanno indossato i caschi blu tipici dell’Onu. Unifil I e poi a seguire Untso fino alla attuale Unifil II. Il successo di questa presenza militari riflette dunque sia la situazione geopolitica dell’area sia la posizione dell’Italia in quello scacchiere. I nostri caschi blu per anni hanno avuto la funzione di ufficiali di collegamento tra le varie parti in causa. Hezbollah, Israele, ma anche le altre fazioni presenti in Libano. Il tutto reso possibile dal fatto che le tensioni sono rimaste distanti dal confine tra Israele e il Libano. Con l’avio della guerra in Siria nel 2013 l’efficacia del contingente ha visto progressivamente perdere mordente. Ma è solo l’attuale conflitto che rischia di scardinare il modello e di conseguenza la percezione diplomatica dell’Italia nel Medio Oriente. Roma - non poteva fare diversamente - ha preso una posizione netta. Con Israele. Punto. L’Unione europea non è reperibile e quindi l’Italia sta con Francia, Germania, Gran Bretagna e Usa. Diciamo, quindi, che se si riproponesse la notte del 23 ottobre 1983 non è detto che il contingente italiano possa essere risparmiato. Hezbollah non ci vedrebbe più come una alternativa al contingente americano, inglese e francese. Sono passati 40 anni, ma le dinamiche nel Dna dell’area non sono cambiate. Per cui, ritornando al progetto diplomatico del triangolo tra Usa, Turchia e Qatar, dovremmo temere alcune ripercussioni dirette. Se lo schema americano funziona, il rischio è che l’Iran possa imporre a Hezbollah un intervento militare. L’Italia si troverebbe nel mezzo. Al contrario, se il progetto di cambiare il regime a Gaza non andasse in porto per nulla, il rischio potrebbe provenire da Gerusalemme. Almeno fino a quando Benjamin Netanyahu resta primo ministro di Israele non si può escludere che per spostare l’attenzione lontano da Gaza Bibi voglia spingere per l’escalation. Coinvolgere Hezbollah potrebbe essere il modo per costringere gli attori internazionali a creare un tavolo più ampio e prendere atto di una guerra di scala regionale. Anche in questo caso, i nostri militari in Libano si troverebbero esposti. In pratica, come ha scritto Germano Dottori, esperto di geopolitica, su X la presenza del contingente lega le mani al Paese o meglio al rinnovo della nostra postura. «Da anni penso», ha scritto, «che il nostro contingente militare in Libano sia una passività strategica». Inoltre, aggiungiamo noi, cristallizza la situazione a uno schema valido fino nel 1983 e fino al 2013. Il mondo cambia e noi dobbiamo stare al passo con i ruoli e le opportunità.
Nel riquadro: Ferdinando Ametrano, ad di CheckSig (IStock)
Francesca Albanese (Ansa)