
Gli esami genetici per la terapia oncologica mirata consentono di individuare le mutazioni del Dna presenti nelle cellule cancerogene. L'informazione così ottenuta è di cruciale importanza nella scelta dell'approccio per ciascun tipo di cancro.Oggi gli oncologi dispongono di informazioni limitate nel tentativo di individuare il farmaco anticancro giusto per il loro paziente, basandosi sulle caratteristiche biologiche del tumore. Esistono infatti circa 500 farmaci antitumorali, ma diverse centinaia di differenti patologie di cancro e ognuna di queste tipologie tumorali possiede differenti mutazioni genetiche che rispondono in modo diverso alle terapie. Pertanto, anche per un bravo oncologo, le probabilità di trovare il giusto mix farmacologico efficace sono molto basse e non superano il 20% dei casi. La promessa, pertanto, utilizzando i test genetici è quella di offrire ai malati oncologici cure oncologiche e casomai poco tossiche che agiscono proprio su quelle alterazioni genetiche, per quel tumore, su quel singolo paziente. I test genetici sono in grado di aiutare l'oncologo nella giusta scelta, aumentando le probabilità di prescrivere un farmaco efficace fino all'80%. Anche se la direzione è giusta, la strada è ancora lunga, ma almeno vi sono già due compagnie, una la Foundation medicine, società fondata nel 2009 a Cambridge, Massachusetts (Stati Uniti), l'altra la Oncologica Uk, fondata qualche tempo prima a Cambridge, Gran Bretagna, che hanno messo a punto dei test che individuano le mutazioni su diverse centinaia di geni nei tumori solidi. Una volta c'era solo la chemioterapia, che uccide le cellule «cattive» ma distrugge anche quelle «buone» e l'efficacia era spesso sovrastata dagli effetti tossici. Poi, dopo la mappatura del genoma umano nel 2000, per alcuni tumori arrivarono farmaci mirati a mutazioni genetiche, per esempio l'imatinib, nome commerciale Glivec, che è stato una rivoluzione per la leucemia mieloide cronica causata dalla mutazione di un singolo gene, come una chiave che si infila nella serratura bloccando il gene alterato. Purtroppo questo avviene soltanto in pochi tumori e ancora molto resta da fare per arrivare a una soluzione, anche se la direzione sembra quella giusta. Per il cancro della mammella, una volta individuate le mutazioni del gene Her2, sono stati messi a punto farmaci che agiscono in maniera specifica su quella mutazione con grandi vantaggi per i pazienti che hanno un tumore della mammella con queste caratteristiche, cioè Her2-positive. I campi di applicazione che oggi è possibile affrontare con questi test genetici, sono i tumori di origine sconosciuta, i tumori rari, i tumori difficili da trattare e in stadio avanzato e i tumori che non rispondono alle terapie tradizionali. I test genetici, tra l'altro, possono essere utilizzati anche più volte nello stesso paziente per ritestare il tumore individuandone le nuove mutazioni genetiche e permettendo quindi l'assegnazione di un nuovo set di farmaci antitumorali, considerando che nel tempo il tumore può diventare resistente al trattamento e questo perché una parte delle cellule tumorali subisce ulteriori mutazioni che permettono loro di sfuggire agli effetti terapeutici del farmaco antitumorale che viene impiegato in quel periodo di tempo. Questo approccio può essere paragonato al trattamento delle patologie batteriche con antibiotici in cui - anche in questi casi - il trattamento viene modificato nel momento in cui si sviluppano le resistenze all'antibiotico. Personalmente sto impiegando nella Tirelli medical clinic di Pordenone, di cui sono direttore del centro tumori, stanchezza cronica, fibromialgia e ossigenoozonoterapia, i test genetici dell'Oncologica Uk, in particolare Oncofocus che indica la correlazione tra le mutazioni genetiche ed i farmaci approvati dalle maggiori organizzazioni mondiali, per esempio la Food and drug administration americana (Fda), l'European medicines agency (Ema), ma è anche in grado di individuare quelli che al momento si trovano in fase di sperimentazione clinica. A differenza di molti altri test genetici che richiedono trattamenti particolari e spedizioni speciali, il test Oncofocus viene eseguito sui classici tasselli istologici conservati nell'ospedale dove al paziente è stata fatta la diagnosi di tumore ed è stata fatta la biopsia, e tali tasselli possono essere spediti al laboratorio di Cambridge tramite la normale spedizione espressa. Dopo aver eseguito una profilazione esatta del tumore, e tutti i tumori possono essere valutati in questa maniera, si fa una rilevazione precisa delle mutazioni genetiche nelle cellule tumorali e si associano queste mutazioni alla terapia più efficace disponibile, a prescindere dal tumore del quale è affetto il paziente. Evidentemente si fanno anche i test sulle alterazioni immunologiche che predispongono ad un eventuale trattamento con farmaci immunologici, tipo pembrolizumab, nivolumab, eccetera, che agiscono cioè sul freno che il tumore ha apportato al sistema immunitario, sbloccandolo e permettendo allo stesso di reagire in maniera significativa contro il tumore stesso. La rimborsabilità del test non è ancora stata approvata dai nostri governanti ma l'oncologo, ed è quello che faccio nella Tirelli medical clinic di Pordenone, può richiederlo per il paziente anche se non è a carico del servizio sanitario nazionale. Il campione di tessuto viene inviato a Cambridge (Uk), oppure se uno utilizza Foundation medicine negli Stati Uniti, dove eseguono il test e danno il risultato. Recentemente la Fda ha approvato un approccio terapeutico che va in questa direzione, cioè i pazienti, a prescindere dalla patologia che hanno (mammella, polmone, colon, eccetera), vengono sottoposti alla valutazione delle mutazioni genetiche e alla conseguente terapia sulla base di queste alterazioni.www.umbertotirelli.it
Lucetta Scaraffia (Ansa)
In questo clima di violenza a cui la sinistra si ispira, le studiose Concia e Scaraffia scrivono un libro ostile al pensiero dominante. Nel paradosso woke, il movimento, nato per difendere i diritti delle donne finisce per teorizzare la scomparsa delle medesime.
A uno sguardo superficiale, viene da pensare che il bilancio non sia positivo, anzi. Le lotte femministe per la dignità e l’eguaglianza tramontano nei patetici casi delle attiviste da social pronte a ribadire luoghi comuni in video salvo poi dedicarsi a offendere e minacciare a telecamere spente. Si spengono, queste lotte antiche, nella sottomissione all’ideologia trans, con riviste patinate che sbattono in copertina maschi biologici appellandoli «donne dell’anno». Il femminismo sembra divenuto una caricatura, nella migliore delle ipotesi, o una forma di intolleranza particolarmente violenta nella peggiore. Ecco perché sul tema era necessaria una riflessione profonda come quella portata avanti nel volume Quel che resta del femminismo, curato per Liberilibri da Anna Paola Concia e Lucetta Scaraffia. È un libro ostile alla corrente e al pensiero dominante, che scardina i concetti preconfezionati e procede tetragono, armato del coraggio della verità. Che cosa resta, oggi, delle lotte femministe?
Federica Picchi (Ansa)
Il sottosegretario di Fratelli d’Italia è stato sfiduciato per aver condiviso un post della Casa Bianca sull’eccesso di vaccinazioni nei bimbi. Più che la reazione dei compagni, stupiscono i 20 voti a favore tra azzurri e leghisti.
Al Pirellone martedì pomeriggio è andata in scena una vergognosa farsa. Per aver condiviso a settembre, nelle storie di Instagram (che dopo 24 ore spariscono), un video della Casa Bianca di pochi minuti, è stata sfiduciata la sottosegretaria allo Sport Federica Picchi, in quota Fratelli d’Italia. A far sobbalzare lorsignori consiglieri non è stato il proclama terroristico di un lupo solitario o una sequela di insulti al governo della Lombardia, bensì una riflessione del presidente americano Donald Trump sull’eccessiva somministrazione di vaccini ai bambini piccoli. Nessuno, peraltro, ha visto quel video ripostato da Picchi, come hanno confermato gli stessi eletti al Pirellone, eppure è stata montata ad arte la storia grottesca di un Consiglio regionale vilipeso e infangato.
Jannik Sinner (Ansa)
Alle Atp Finals di Torino, in programma dal 9 al 16 novembre, il campione in carica Jannik Sinner trova Zverev, Shelton e uno tra Musetti e Auger-Aliassime. Nel gruppo opposto Alcaraz e Djokovic: il duello per il numero 1 mondiale passa dall'Inalpi Arena.
Il 24enne di Sesto Pusteria, campione in carica e in corsa per chiudere l’anno da numero 1 al mondo, è stato inserito nel gruppo Bjorn Borg insieme ad Alexander Zverev, Ben Shelton e uno tra Felix Auger-Aliassime e Lorenzo Musetti. Il toscano, infatti, saprà soltanto dopo l’Atp 250 di Atene - in corso in questi giorni in Grecia - se riuscirà a strappare l’ultimo pass utile per entrare nel tabellone principale o se resterà la prima riserva.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Negli anni Dieci del secolo XX il fisiologo triestino Amedeo Herlitzka sperimentò a Torino le prime apparecchiature per l'addestramento dei piloti, simulando da terra le condizioni del volo.
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Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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