2019-10-20
La Merkel ingrassa Erdogan con un miliardo
L'Europa strilla contro Erdogan ma intanto, spinta dalla Germania, cede ai suoi ricatti sull'immigrazione e gli dà un'altra tranche di finanziamenti. Lui minaccia i curdi: «Continuerò a rompervi la testa». Donald Trump conferma il disimpegno, nell'area si rafforza Vladimir Putin. La situazione in Siria continua a rivelarsi incerta. Nonostante la tregua di cinque giorni, negoziata giovedì scorso da Stati Uniti e Turchia, le fibrillazioni non mancano. Ankara è andata ieri all'attacco, sostenendo che i curdi avrebbero violato il cessate il fuoco. «In 36 ore di tregua nel Nordest della Siria le milizie curde del Pkk-Ypg hanno compiuto 14 violazioni». Ad affermarlo è stato il ministero della Difesa turco, secondo cui i maggiori problemi riguarderebbero l'area di Ras al Ayn. Dure le parole di Erdogan che - qualora i curdi non si ritirassero dalla zona concordata entro martedì pomeriggio - ha minacciato: «Cominceremo dove ci siamo fermati e continueremo a rompere la testa dei terroristi». Vladimir Putin - che incontrerà a Sochi il Sultano la prossima settimana - ne starebbe intanto approfittando per rafforzare la propria influenza sullo scacchiere siriano. Secondo quanto riportato da Al-Masdar News, l'aeronautica militare russa avrebbe lanciato ieri un massiccio attacco nell'area di Idlib.Anche sul fronte internazionale la situazione resta confusa. A partire dalla posizione di Bruxelles. Il Consiglio europeo ha infatti aperto a un ulteriore finanziamento da 1 miliardo di euro da elargire ad Ankara per arginare i flussi migratori. Nel dettaglio, questa nuova tranche dovrebbe essere consegnata entro l'inizio del prossimo anno. Sembrerebbe che a premere per la sua approvazione sia stata soprattutto la Germania: quella stessa Germania che - guarda caso - ospita una nutrita comunità turca con circa 3 milioni di persone. Un bel paradosso. Non solo Bruxelles aveva infatti pronunciato una condanna formale delle operazioni militari turche nel Nordest della Siria. Ma alcuni degli Stati membri avevano anche decretato un embargo sulla vendita di armi ad Ankara: un embargo dalla dubbia utilità ma che sembrava avrebbe dovuto preludere a misure punitive ben più concrete (come auspicato dal presidente dell'Europarlamento, David Sassoli). Invece, alla prova dei fatti, l'Ue - soprattutto per volontà di Berlino - continua a cedere ai ricatti del Sultano in materia d'immigrazione. Non a caso, nei giorni scorsi, Erdogan aveva minacciato di «aprire i cancelli» e lasciare così che gli oltre 3 milioni di profughi siriani attualmente in Turchia si dirigessero verso l'Europa occidentale. Del resto, per contrastare la linea turca, Bruxelles dovrebbe dotarsi di almeno due fondamentali strumenti: una strategia migratoria comune in grado di salvaguardare efficacemente i propri confini e una politica estera realmente organica. Due strumenti che l'Ue è ancora ben lungi dal possedere, anche a causa di Berlino. E questo non è soltanto grave per Bruxelles in sé stessa ma anche perché, se si fosse voluto veramente colpire il Sultano, l'immigrazione avrebbe rappresentato un ambito particolarmente efficace. Non dimentichiamo infatti che gli oltre 3 milioni di profughi siriani attualmente in Turchia costituiscono un significativo problema socioeconomico per Erdogan, visto che la loro presenza ha suscitato non poco malcontento tra le classi medio-basse della società turca. Quelle stesse classi che rappresentano il principale serbatoio elettorale del Sultano. La delicata tregua siriana continua frattanto a creare polemiche negli Stati Uniti. Se Donald Trump rivendica la propria linea di disimpegno militare dallo scacchiere mediorientale, svariati settori dell'establishment di Washington non digeriscono questa prospettiva. Venerdì il leader della maggioranza al Senato, il repubblicano Mitch McConnell, ha duramente criticato la decisione di ritirare le truppe statunitensi dalla Siria, definendola «un grave errore». Di avviso opposto è apparso invece il senatore repubblicano Rand Paul - notoriamente favorevole al ritiro americano dalla Siria - che ha attaccato le posizioni interventiste del Partito democratico, twittando: «Il mondo è ufficialmente sottosopra. I democratici ora sostengono la politica estera di Bush di guerra preventiva e occupazione in Siria. Qualcuno ricorda gli appassionati discorsi contro la guerra in Iraq?». Proseguono poi le polemiche della Casa Bianca con il Partito democratico. Il consigliere per la sicurezza nazionale di Barack Obama, Susan Rice, ha criticato la linea di Trump sulla Siria, affermando: «Abbiamo dato ad Assad, Putin e gli iraniani il via libera per conquistare quel territorio che desideravano da molto tempo conquistare. E l'Isis tornerà». La replica del presidente americano non si è fatta attendere. «Susan Rice, che è stata un disastro per il presidente Obama come consigliere per la sicurezza nazionale, ora ci sta dicendo la sua opinione su cosa fare in Siria. Ricordi la linea rossa sulla sabbia? Quello era Obama. Milioni di persone uccise! No grazie Susan, eri un disastro». Nonostante non escluda l'arma della pressione economica su Ankara, Trump è intenzionato a procedere con il disimpegno militare dalla Siria. E questo per due ragioni: allontanarsi da un'area che non ritiene strategica per Washington e mantenere la promessa elettorale di porre un freno alle cosiddette «guerre senza fine».
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)