
Il pressing di Berlino costringe il Parlamento greco a cedere: Skopje potrà aggiungere «del Nord» ed entrare così nella Nato. Alexis Tsipras e soci raggiungono il risultato voluto da George Soros, che investirà più fondi nei Balcani. Ma resta il veto sull'ingresso nell'Ue.Con un crescendo drammatico tipico dei Balcani il premier greco, Alexis Tsipras, è riuscito ieri a far passare in Parlamento la ratifica dell'accordo di Prespa con cui Atene e Skopje, l'estate scorsa, hanno trovato la quadra sul cambio di nome della Macedonia, che da oggi, dopo che anche il locale Parlamento aveva approvato la riforma nei giorni passati, si chiama formalmente Macedonia del Nord. Con la risicata maggioranza di soli tre voti, Tsipras ha chiuso, almeno temporaneamente, una disputa che durava dal 1991. È infatti dalla dissoluzione della Jugoslavia che tutti i governi greci, succedutisi fino a oggi, si sono opposti al fatto che Skopje usasse il nome di Macedonia. Atene rivendica per sé il diritto sulla storia e sulla continuazione di quello che fu il regno di Alessando Magno. Per ben 27 anni la Grecia ha bloccato l'accesso alla Nato e all'Unione europea dei vicini settentrionali nonostante questi siano divenuti con il tempo soggetti a pieno titolo della comunità internazionale e accettati nelle organizzazioni multilaterali. C'è voluta tutta la pressione possibile della Germania, guidata dalla cancelliera Angela Merkel, dei servizi segreti tedeschi, delle strutture di comunicazione della Deutsche Telekom e dell'appoggio delle organizzazioni non governative finanziate da George Soros per far cadere nel 2016, con un'azione orchestrata di intercettazioni telefoniche e pressioni di piazza, l'allora governo conservatore macedone, contrario a qualsiasi cessione di sovranità costituzionale, e a far nominare primo ministro il socialista Zoran Zaev. A quest'ultimo sono serviti meno di due anni per sconvolgere, grazie all'uso sapiente della macchina giudiziaria, gli equilibri politici e garantirsi una risicata maggioranza costituzionale per far approvare - caso unico nella storia - a un Parlamento democratico il cambio del nome del proprio Paese, in modo da soddisfare le richieste di uno Stato straniero. Non a caso, per consolidare la volontà tedesca, Angela Merkel si trovava in Grecia a colloquio con Tsipras nelle ore in cui a Skopje l'Assemblea nazionale approvava la nuova costituzione a sovranità limitata. Esattamente come Zaev si trovava a colloquio in quel di Davos con l'altro grande sostenitore della denazionalizzazione macedone, George Soros, giovedì, ovvero nel giorno in cui ci si attendeva che il Parlamento ateniese ratificasse l'accordo bilaterale. Soros ha promesso a Zaev un aumento del già sostanzioso sostegno finanziario da parte del suo fondo Open society, ma la festa è stata rovinata dalla notizia del voto rinviato a venerdì a causa dei numerosi deputati iscritti a prendere la parola.Come al collega macedone anche a Tsipras, per sopravvivere e per far passare l'accordo di Prespa, sono serviti i voti dell'opposizione. Nonostante la Merkel e Tsipras interpretino la cessione di sovranità di Skopje come un regalo politico per le pene fatte soffrire alla Grecia durante la crisi finanziaria, e da cui proprio le banche tedesche hanno potuto trarre i maggiori vantaggi, la maggioranza della popolazione greca rimane comunque contraria all'uso del nome Macedonia in qualsiasi accezione da parte dei vicini settentrionali. Per tale motivo quasi tutti i partiti d'opposizione, tra cui Nova democrazia, che a Bruxelles fa parte dello stesso gruppo popolare della Merkel, hanno organizzato questa settimana imponenti proteste di piazza. A sostenerli è intervenuto apertamente perfino il commissario europeo Dimitris Avramopoulos.La continua ostruzione di Atene all'ingresso della Macedonia nella Nato e nell'Unione europea ha talmente radicalizzato lo scontro nazionalista nel corso degli ultimi decenni al punto che è difficile ipotizzare una reale diminuzione del livello di tensione tra i due Paesi, anche dopo l'approvazione formale della soluzione imposta da una parte della comunità internazionale. È molto probabile che gli Stati Uniti colgano nei prossimi mesi la palla al balzo e costringano la Grecia a tener fede alla parola data invitando la nuova Macedonia del Nord nell'alleanza transatlantica, ma è altamente improbabile un futuro europeo per Skopje, a meno di ulteriori, pesanti, concessioni a favore di Atene. A confermarlo senza tanti giri di parole è stato ieri il leader di Nova democrazia, prossimo probabile primo ministro ellenico, Kyriakos Mitsotakis, per il quale l'accordo di Prespa non ha alcuna relazione con l'integrazione della Macedonia nelle strutture dell'Ue, come invece propagandato da mesi da Zaev e Soros ai macedoni, pur di far loro accettare il cambio di costituzione.Tra gli sconfitti della partita c'è anche la Russia di Putin che sperava di poter mantenere la Macedonia ancora nel limbo geopolitico, evitandole il destino nordatlantico. Putin contava sul fatto che l'uscita dal governo di Tsipras del ministro della Difesa, Panos Kammenos, il cui istituto di studi geopolitici collabora apertamente con i servizi segreti di Mosca, potesse impedire la ratifica degli accordi bilaterali. Ciò non è accaduto. Tsipras è riuscito a ottenere una nuova fiducia grazie al sostegno dell'opposizione e ieri anche a far passare gli accordi in oggetto. All'orizzonte, nonostante l'apparente soddisfazione di alcuni, già si delineano nuove tempeste balcaniche a causa di un compromesso forzato che apre più problemi di quanti ne risolva.
Donald Trump (Ansa)
L’emittente britannica insulta l’intelligenza del pubblico sostenendo che ha taroccato il discorso di Donald «senza malizia». Infatti si scusa ma respinge la richiesta di risarcimento per diffamazione. Nigel Farage: «Ora saremo noi a dover controllare loro».
«Involontariamente». Il numero uno della centenaria Bbc si aggrappa a un avverbio per non precipitare dall’ottavo piano della Broadcasting House di Londra con il peso di un miliardo di dollari sulle spalle, come da richiesta di risarcimento da parte di Donald Trump. «Unintentionally» è la parolina-paracadute consigliata dalla batteria di legali al presidente Samir Shah, 73 anni di origine indiana, nel tentativo di aiutarlo a ritrovare il sonno e a togliersi dall’angolo dopo lo scandalo del «taglia-e-cuce». Un crollo di credibilità per la storica emittente pubblica, piazzata nel quartiere di Westminster per controllare il potere ma finita nella battutaccia di Nigel Farage: «Ora saremo noi a dover controllare loro».
Sanae Takaichi (Ansa)
Scintille per Taiwan. Il premier giapponese rivendica pace e stabilità nell’isola: «In caso di attacco, reagiremo». Ira del governo cinese: convocato l’ambasciatore.
La tensione tra Cina e Giappone è tornata a livelli di allerta dopo una settimana segnata da scambi durissimi, affondi retorici e richiami diplomatici incrociati. Pechino ha infatti avvertito Tokyo del rischio di una «sconfitta militare devastante» qualora il governo giapponese decidesse di intervenire con la forza nella crisi di Taiwan, accompagnando il monito con un invito ufficiale ai cittadini cinesi a evitare viaggi in Giappone «nel prossimo futuro».
Donald Trump (Getty Images)
Washington avvia l’operazione «Lancia del Sud» contro i traffici di droga: portaerei nel mar dei Caraibi. Maduro: «No ad altre guerre». Trump insiste per riaffermare il dominio nella regione scacciando Pechino.
Donald Trump è sempre più intenzionato a rilanciare la Dottrina Monroe: il presidente americano punta infatti ad arginare l’influenza della Cina sull’Emisfero occidentale. È dunque anche in quest’ottica che, l’altro ieri, il capo del Pentagono, Pete Hegseth, ha annunciato un’operazione militare che riguarderà l’America Latina. «Il presidente Trump ha ordinato l’azione e il Dipartimento della Guerra sta dando seguito alle sue richieste. Oggi annuncio l’operazione Lancia del Sud», ha dichiarato.
Giuseppe Culicchia (Getty Images). Nel riquadro il suo libro Uccidere un fascista. Sergio Ramelli, una vita spezzata dall’odio pubblicato da Mondadori
Comunicati fotocopia contro la presentazione del saggio di Culicchia. E il ragazzo ucciso? «Strumentalizzazioni».
Passano gli anni ma l’odio sembra non passare mai. Un tempo ragazzi come Sergio Ramelli venivano ammazzati sotto casa a colpi di chiave inglese. Oggi invece la violenza si rivolge contro chi di Sergio osa parlare. È una violenza meno palese, se volete meno brutale. Non uccide però infama, disumanizza, minaccia e punta a intimidire. E gode, proprio come quella antica, di sponde politiche e «presentabili». Lunedì 24 novembre nella Biblioteca Comunale di Susa è programmata la presentazione di un bellissimo libro di Giuseppe Culicchia, scrittore italiano che negli ultimi anni ha intrapreso una strada davvero coraggiosa e suggestiva.






