
Lettera del premier britannico a Donald Tusk: mercoledì arriverà la risposta del Consiglio europeo. Il nodo è rappresentato dalle elezioni del 23 maggio. Senza l'uscita, l'Inghilterra dovrebbe partecipare.I divorzi non sono mai una passeggiata, ma l'addio inglese dall'Europa li batte tutti. Adesso la Gran Bretagna chiede una proroga della Brexit fino al 30 giugno, sperando di riuscire a trovare una soluzione. C'è un problema non da poco: il 23 maggio si vota per le europee che, senza un accordo di uscita, si dovranno tenere anche nel Regno Unito.Quindi che fare? Questa la scappatoia escogitata da Downing Street: in una lettera spedita al presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, la premier Theresa May annuncia che Londra è pronta a partecipare alle consultazioni, tuttavia aggiunge che spera ancora di far approvare un accordo sulla Brexit prima dell'apertura delle urne, in modo da uscire subito dall'Ue e non far svolgere il voto. In altre parole, il governo d'Oltremanica vuole un'estensione fino a fine giugno, ma con una clausola di revoca immediata. Una flextension dicono a Londra, ovvero un'estensione flessibile.Uno scenario che più ingarbugliato è difficile immaginare. Il Regno Unito potrebbe entrare in una controversa campagna elettorale per poi cancellare le elezioni poche ore prima del voto. Basta pensare al pasticcio che si creerebbe nella ripartizione dei seggi. Inoltre, senza una data certa di uscita, l'Ue rischierebbe di subire le conseguenze dell'instabilità della politica interna britannica.Come reagirà quindi l'Ue? Margaritis Schinas, portavoce della Commissione, si è limitata a dire che la responsabilità di rispondere è del Consiglio europeo: «L'unica cosa che fa testo è il Consiglio europeo che inizierà mercoledì alle 18. Non dirò niente altro, non interpreterò nulla, non farò alcuna previsione né commenti o altro, non sta a noi farlo ora e qui. Sappiamo della lettera del primo ministro May a Tusk di questa mattina, questo è qualcosa a cui risponderà il Consiglio europeo e i leader europei decideranno». La richiesta quindi verrà esaminata al vertice del 10 aprile, ma è molto probabile che incontri forti resistenze. Gli europei infatti sono sì propensi a offrire una proroga della Brexit, ma a patto che sia di almeno di 12 mesi, in modo che la situazione a Londra abbia il tempo di sbrogliarsi. Non solo: ci sono Paesi che insistono affinché Downing Street, in cambio della proroga lunga, si impegni ad astenersi sulle decisioni chiave della prossima legislatura come la nomina del presidente della Commissione o l'accordo sul bilancio 2021-2027. E ancora, l'Ue intende aggiungere altre clausole, a partire dalla continuazione dei contributi britannici al budget comunitario. Quindi Londra dovrebbero pagare senza però poter decidere. Tutte condizioni giudicate inaccettabili non solo dall'opposizione, ma anche da buon parte del governo e del Partito conservatore.Si profila quindi uno scontro sulla durata del rinvio e sarà una contesa fondamentale perché, qualora non si stringesse un patto tra Londra e Bruxelles, allora il Regno Unito uscirebbe dall'Ue con il no deal, ovvero senza accordo e con conseguenze potenzialmente pesantissime per l'economia interna ed esterna. Quali? I danni variano in tutta Europa a seconda di zona e segmento economico. Il New York Times ha provato a ricostruire le aree più vulnerabili: la prima vittima di un divorzio non consensuale sarebbe proprio il Regno Unito, con perdite fino a 9,3% del Pil. Ma soffrirebbero anche i partner Ue: tra i più colpiti l'Irlanda con a rischio il 4% dell'export, seguita da vicino da Slovacchia, Belgio e Germania. Anche l'Italia rischierebbe di perdere l'1,65% delle esportazioni, oltre a vedere penalizzati migliaia di connazionali che studiano e lavorano nell'isola. Il no deal sarebbe, secondo gli analisti, una catastrofe che per primi i britannici vogliono scongiurare, come dimostra la legge approvata l'altra notte a Westminster che, per un solo voto, ha imposto a Theresa May di evitarlo con ogni mezzo. Ma se l'Unione europea si impuntasse, oppure se non ci fosse l'unanimità dei 27 membri che è richiesta per un'intesa, anche quella legge non avrebbe più la forza per scansare la rottura.Non sembra proprio trovare pace il lungo percorso per l'addio della Gran Bretagna all'Unione europea, cominciato con il voto al referendum del 23 giugno 2016. Uno psicodramma nazionale che dura da quasi tre anni. Intanto proseguono i colloqui bipartisan tra la May e il leader dell'opposizione laburista, Jeremy Corbyn, per provare a smuovere lo stallo della Brexit. La prima ministra sta preparando in queste ore una lettera pubblica a Corbyn, che dovrebbe contenere anche l'ipotesi di un secondo referendum confermativo su qualsiasi accordo verrà approvato dal Parlamento. Probabilmente proporrà agli avversari una gestione condivisa che comprenda anche l'assetto post Brexit. Ma sia i tories sia i laburisti sono divisi al loro interno su questo tema, come su un possibile referendum di conferma. C'è chi lo vuole a tutti i costi e chi, come Jeremy Corbyn, pensa vi si debba ricorrere solo come extrema ratio. E a complicare ulteriormente il panorama ci sono altre divisioni con gli scozzesi e gli irlandesi. Ma, mentre si tratta e si litiga, alcuni milioni di europei residenti in Gran Bretagna e di inglesi residenti nell'Ue non sanno quale sarà il loro futuro.
Gianrico Carofiglio (Ansa)
Magistrato, politico in quota Pd per un breve periodo e romanziere. Si fa predicatore del «potere della gentilezza» a colpi di karate. Dai banchi del liceo insieme con Michele Emiliano, l’ex pm barese si è intrufolato nella cricca degli intellò scopiazzando Sciascia.
(IStock)
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Con la Cop 30 in partenza domani in Brasile, pare che alcuni Paesi europei si stiano svegliando dall’illusione green, realizzando che l’ambizioso taglio delle emissioni in Europa non avrà alcun impatto rilevante sullo stato di salute del pianeta visto che il resto del mondo continua a inquinare. Ciò emerge dalle oltre 24 ore di trattative a Bruxelles per accordarsi sui target dell’Ue per il clima, con alcune dichiarazioni che parlano chiaro.
Ranieri Guerra (Imagoeconomica). Nel riquadro, Cristiana Salvi
Nelle carte di Zambon alla Procura gli scambi di opinioni tra i funzionari Cristiana Salvi e Ranieri Guerra: «Mitighiamo le critiche, Roma deve rifinanziare il nostro centro a Venezia e non vogliamo contrattacchi».
Un rapporto tecnico, destinato a spiegare al mondo come l’Italia aveva reagito alla pandemia da Covid 19, si è trasformato in un dossier da riscrivere per «mitigare le parti più problematiche». Le correzioni da apportare misurano la distanza tra ciò che l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe essere e ciò che era diventata: un organismo che, di fronte a una crisi globale, ha scelto la prudenza diplomatica invece della verità. A leggere i documenti depositati alla Procura di Bergamo da Francesco Zambon, funzionario senior per le emergenze sanitarie dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms, il confine tra verità scientifica e volontà politica è stato superato.






