2020-09-20
La mano viva di Titano che spunta dalla terra
Il faggio di Maso Monte Calvo in Trentino (Tiziano Fratus)
Il faggio del Mas dei Boci, nella trentina Valle dei Mocheni, è un esemplare tra i più belli del Nord Italia. È un principe ereditario: forse fra una o due generazioni di umani potrà essere il più importante del nostro Paese. La chioma supera i 25 metri di diametro.L'ondata di furia che ha saccheggiato i boschi del nord est d'Italia, quasi due anni orsono, la malnota tempesta Vaia, ha risparmiato uno splendido faggio (Fagus sylvatica) che si trova in Trentino. Lo vidi per la prima volta in un film italiano, La prima Neve, opera del 2013 di Andrea Segre. Storia dell'adattamento non facile di un immigrato del Togo in una comunità di montagna, e della comunità a questa nuova presenza. Uno dei protagonisti è un bambino che sale e risale sul grande albero, lo ammira e si fa accogliere come se fosse una persona ferma, rassicurante, protettrice. Un tempo, non a caso, questo signore del bosco, anzi questa signora, era chiamata la Grande madre del bosco, o anche faggio del Mas dei Boci. Si tratta di un esemplare fra i più belli del Nord Italia. Le indicazioni per chi intendesse andarlo a visitare sono abbastanza semplici: in autostrada si esce a Trento sud, si segue per Pergine Valsugana e si entra in una valle che è detta dei Mocheni, una parola che forse non avete mai sentito, è il nome del popolo germanico che qui ha messo radici nel cuore del Medioevo, trovando riparo in una valle ricoperta di foreste di conifera. Otto chilometri e si approda a Sant'Orsola Terme. Mala è la prima frazione. Prima del ponte si svolta a sinistra e si seguono le indicazioni per il ristorante Il Capriolo. Dopo quattro chilometri di tornanti in salita, passando dagli ottocento ai mille metri, fra boschi di frassino, di abete e faggio, raggiungete il passo dove la strada si biforca: a destra c'è il ristorante, a sinistra la strada che va imboccata, scendendo per circa un chilometro fino a incontrare sulla destra una piccola abitazione, Maso Monte Calvo. Posteggiate a lato strada. Dalla parte opposta dell'edificio c'è un sentiero, si supera un primo prato e si arriva a un secondo, più grande, in discesa, al cui fondo incontrerete il grande albero d'Italia di questa tappa. Ondeggia, in tutta la sua magnificenza. Accanto c'è una casa in pietra, forse abitata occasionalmente, ma non abbandonata. L'albero ha una chioma vasta, sostenuta da possenti branche primarie e secondarie, una specie di mano di Titano che spunta prepotente dalla terra e brulica di vita. Vive riparato, intorno ha boschi e terra, nonostante stia qui solo e ignaro, gli uomini si sono presi cura della sua esistenza. Tre i tronchi principali che si aprono in decine di ramificazioni ondulate. L'altezza stimata si aggira fra i 25 e i 30 metri. Lo disegno sul mio taccuino. La prima branca misura 330 cm, a petto d'uomo, le altre due, alla base, sono fuse insieme, quasi fino ai due metri, punto nel quale registro 520 cm. A due spanne dal terreno, tenendo buono come punto di partenza quel pezzo di terra compatta fra l'albero e l'edificio, raccolgo 650 cm. Non è di certo il più vecchio dei nostri faggi, e nemmeno il più vasto, ma è un principe ereditario, forse fra una o due generazioni di umani potrebbe diventare il faggio dei faggi del nostro Paese.Quando mi immergo nello sguardo sinfonico di queste chiome sparate e ondeggianti li percepisco come dei vasti spartiti musicali, il vento li attraversa e li suona, e noi siamo qui anche per ascoltarli, per non far sì che siano soltanto un suono come altri, scoccati in un cosmo che vive e banchetta, che si nutre e si estingue, ma senza nessuno che li accolga, che ne goda, che trasformi questo segno di esistenza in qualcosa di profondo e ristoratore. Noi umani, qui, in questo angolo d'universo. Intorno una compagine di grilli è assopita e invecchia. Di tanto in tanto si fanno udire ma con discrezione.Gli giro intorno, provo, nei passi, a misurarne l'ampiezza della chioma: superiamo i venticinque metri di diametro. Ma lo sguardo mi riporta a concentrami sulla compattezza dei legni, a questi arti legnosi così scolpiti, torniti, dall'aspetto arcaico e preistorico. Una forza imprigionata, una catena di secoli inlignita in qualcosa studiato per non stare fermo, non nella percezione generale che noi abbiamo degli alberi, ma per crescere nel movimento ciclopico della terra che ruota attorno al proprio asse, sotto un sole che ogni giorno lo accarezza e vorrebbe schiantarlo, o quasi. Per non parlare del peso delle mille mani di neve che d'inverno, soprattutto in passato, hanno pressato per farlo cedere, senza successo. Maestoso transitare delle stagioni attorno alle sue cortecce. E lui, o lei, la Gran madre, lì, a concrescere, a fogliare, a spogliarsi di ogni avere. Mi piacerebbe vivere in quella casa rustica, a fianco del gigante. Alzarmi la mattina e salutarlo, vederlo ingiallire e poi spogliarsi, alzarmi in pieno inverno e ritrovarlo coperto di neve mentre il ghiaccio si è ispessito sui vetri delle finestrelle. Un compagno di silenzi, ma anche un maestro di musica, durante le giornate di piena estate. Non sarebbe un incanto desiderabile? Scelta musicale: nel 1998 il gran premio della giuria al festival di Cannes viene attribuito a un film di Theo Angelopoulos, L'Eternità è un Giorno. Protagonista di quella pellicola era il magnifico Bruno Ganz, anche lui, a distanza di vent'anni, scomparso come il regista. Quel film poetico e nostalgico, girato dopo capolavori quali Lo Sguardo di Ulisse e i tre film della Trilogia del Silenzio, era musicato da Eleni Karaindrou, classe 1941, celebre compositrice greca fra le più note della propria generazione, al pari credo del suo conterraneo Vangelis. La Karaindrou ha collaborato con diversi registi, del teatro e del cinema, fra i quali Margarethe von Trotta e Angeloupolus. Era amica del nostro Marcello Mastroianni, che l'adorava. Le musiche vibranti di L'Eternità è un Giorno sono fra le più amate e rappresentano, senza alcun dubbio, un ottimo accompagnamento al nostro incontro con un grande albero. Circola una splendida edizione, curata con la consueta maestria dalla Ecm. Ricordo ancora quando ne acquistai una prima copia, alla Feltrinelli di Piazza Cln, a Torino, ero più giovane - dimezzavo la mia attuale età - ma la magia di quella musica mi colpiva, sia nei movimenti orchestrali che nei refoli minimi di note, allora quanto adesso.