
L'Eurogruppo del 16 marzo, in origine interlocutorio, anticiperà invece la firma definitiva sull'«europacco». Il pericolo più grave è che il peggiorare dell'economia, già in crisi, metta seriamente a rischio il nostro debito.Un lancio Ansa da Bruxelles apparentemente neutro, fattuale, anodino, nasconde invece una notizia politica di rilievo primario, ad altissimo rischio per l'Italia. Leggiamolo: «La riforma del Meccanismo europeo di stabilità torna sul tavolo dei ministri dell'economia e delle finanze della zona euro. Nella prossima riunione, il 16 marzo, l'Eurogruppo è chiamato a dare l'approvazione finale del testo su cui c'è già un accordo politico da diversi mesi. Nelle scorse settimane, è proseguito il lavoro tecnico che deve chiudere tutte le questioni legali ancora aperte. L'Eurogruppo dovrà decidere, all'unanimità, se il lavoro è terminato oppure se rinviare ancora. Se i ministri daranno l'ok, saranno poi i rappresentanti dei governi a firmare il nuovo trattato in una riunione successiva, e poi potrà partire il processo di ratifica dei parlamenti nazionali che dovrebbe prendere circa un anno».Ad una lettura più attenta, siamo davanti a un fatto politico di assoluta gravità: nel pieno di una crisi sanitaria che sta devastando l'Italia, e che sta cominciando a colpire in modo importante molti altri Paesi europei (anche quelli che all'inizio pensavano di potersi tenere fuori da un'epidemia che sta assumendo i contorni della pandemia); a Parlamenti semichiusi; con le opinioni pubbliche distratte e preoccupate per l'emergenza; nella totale disattenzione dei media maggiori, concentrati sul Coronavirus, si cerca di dare via libera - velocemente e di nascosto - alla temuta e discussa riforma del Meccanismo europeo di stabilità. In modo ufficioso e off the record, la conferma c'è. Anche se la pagina Internet dell'Eurogruppo ancora non rende pubblico in chiaro l'ordine del giorno definitivo della seduta di lunedì 16 (in genere, accade una settimana prima, quindi domani, lunedì 9). Insomma, siamo davanti a una scelta clamorosa. Anziché discutere di un piano immediato di sostegno ai Paesi travolti dall'emergenza Coronavirus, e di uno choc economico per aiutare - speriamo presto - la ripartenza delle imprese, si lavora a una clamorosa accelerazione.A sottolineare il cambio di passo, e a criticarlo duramente, ha provveduto Alberto Bagnai (Lega), presidente della Commissione Finanze del Senato: «L'approvazione definitiva del Mes era prevista ad aprile. Ora pare che, nel più puro stile europeo, sia stata anticipata a marzo». E ancora: «La pervicace volontà europea di escludere parlamenti e cittadini dal dibattito non potrà certo lasciarsi sfuggire questa occasione. La chiusura dei parlamenti per cause di forza maggiore è un'occasione troppo ghiotta. Noi stiamo prendendo le opportune contromisure perché chi volesse imprimere una simile torsione autoritaria si prenda le sue responsabilità». Sulla stessa linea, il suo collega di partito Claudio Borghi, presidente della Commissione Bilancio di Montecitorio: «All'Eurogruppo, invece degli aiuti per l'economia, hanno messo all'ordine del giorno l'approvazione del Mes». Borghi ha anche preannunciato in un tweet: «Convocheremo subito il ministro dell'Economia Gualtieri in Commissione e vi indicheremo tempestivamente ogni nome dei parlamentari che diranno di voler dire sì al Mes».Per l'Italia la prospettiva è pericolosissima. Primo, perché qualcuno potrebbe giocare cinicamente una sorta di ricatto politico: volete il via allo sforamento di 7,5 miliardi (per quanto assolutamente limitato e quasi certamente insufficiente)? E allora allineatevi all'accelerazione sul Mes. Secondo, perché siamo già dentro una crisi, che per molti mesi terrà bloccato il Pil italiano, e invece farà correre il nostro debito. Morale: con i fondamentali in peggioramento, e la prospettiva di ristrutturazione del debito resa più concreta e probabile dalla riforma del Mes, è scontato che gli acquirenti dei nostri titoli pretenderanno rendimenti più alti, determinando un effetto di soffocamento. La riforma rende infatti la ristrutturazione - per quanto non automatica - un attrezzo che è nel novero dei tools, ovvero degli strumenti, utilizzabili con maggiore facilità del passato. Il solo fatto che questa cosa sia prevista, e il solo fatto che gli investitori sappiano - adesso - che in caso di crisi ci saranno Paesi che potranno accedere al soccorso senza condizionalità, ed altri (come l'Italia) che invece potrebbero essere sottoposti a pesanti penalizzazioni, fino alla ristrutturazione, cambia radicalmente le aspettative degli investitori.Terzo, perché se anche nei prossimi mesi si scegliesse la strada di quelli che potremmo chiamare «Coronabond», e quindi di emissioni di debito per rilanciare l'economia, ci si troverebbe davanti a banche italiane (in teoria, le prime potenziali acquirenti) già chiamate ad alleggerirsi di nostri titoli, già sotto pressione, con margini di movimento sempre più ridotti.Dunque, non si capisce come Roberto Gualtieri e Giuseppe Conte possano invocare l'unità nazionale, se contemporaneamente accetteranno il percorso che l'Eurogruppo sembra determinato a imporre. Anzi, a questo punto sorge il dubbio che il governo giallorosso sia stato incoraggiato da settembre da Bruxelles proprio con l'obiettivo di incatenare l'Italia alla riforma del Mes. Ancora la scorsa settimana, il vicedirettore Martino Cervo era tornato a sollecitare, sulle colonne della Verità, per lo meno un rinvio, come male minore. Occorre rilanciare questa richiesta, e, se altri vorranno procedere, chiedere che l'Italia giochi la carta del veto, anche facendo leva sui dubbi di altri Paesi (Francia in testa) e di quanti, pur senza dichiararlo, sarebbero disposti a rinegoziare. E a irrobustire il senso dell'accelerazione, ha contribuito un incontro, ieri, tra il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis e il managing director del Mes, il tedesco Klaus Regling.
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