2022-06-09
Giuseppe Benedetto: «La magistratura non vuol cedere potere»
Giuseppe Benedetto (Imagoeconomica)
Il presidente della Fondazione Einaudi: «La consultazione è l’occasione per cancellare le correnti tra giudici. I cittadini devono andare alle urne per dare un segnale di cambiamento. Lo scarso dibattito è l’indice di quanto sia malata la nostra democrazia».Referendum: le analisi di Volocom su oltre 4.000 fonti di informazione e 2 miliardi di pagine Web.Lo speciale contiene due articoli.Saranno cinque Sì quelli che traccerà sulle schede referendarie l’avvocato Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Luigi Einaudi per studi di politica economia e storia. Quali anomalie del sistema giudiziario italiano verranno corrette dai referendum?«I referendum trattano alcuni dei mali atavici della giustizia italiana, da tempo denunciati da chi vive quotidianamente le aule giudiziarie. Il correntismo all’interno del Csm, le pseudo-valutazioni dei magistrati a oggi positive nel 99% dei casi e la commistione tra funzioni giudicanti e requirenti logorano la legittimazione dell’ordine giudiziario, la cui indipendenza è diventata autoreferenzialità e superiorità alla legge. Un Sì pieno anche agli altri due quesiti, che mirano a superare l’abuso gravissimo della custodia cautelare e la legge Severino, che ha paralizzato le amministrazioni locali, essendo applicata anche a chi è presunto innocente secondo il dettato della Costituzione. È bene che i cittadini si rechino alle urne e diano un segnale forte verso il cambiamento, a cui molte forze politiche sono disinteressate».Quali sono i nemici più agguerriti dell’appuntamento di domenica?«La magistratura, più precisamente quella associata. Il sistema correntizio non ha intenzione di rinunciare al potere acquisito, nonostante centinaia di giovani giudici e pubblici ministeri abbiano compreso la speranza di cambiamento del Paese. Si aggiungono poi coloro che sul conflitto magistratura-politica cercano di raccogliere qualche punto decimale nei sondaggi, ignorando però i danni che il malfunzionamento della giustizia arreca a cittadini e imprese. Mi auguro che la volontà di abbattere gli avversari politici non prevalga sull’esigenza impellente di riforme».Chi ostacola maggiormente i cambiamenti del nostro sistema giudiziario: parti della magistratura o la politica più giustizialista?«In questo Paese si è radicata l’idea mortifera per cui la magistratura abbia un ruolo salvifico della società e sia incaricata di proteggere i cittadini dai politici, ladri e corrotti secondo la vulgata popolare. Quest’idea accomuna la magistratura associata, che da garante dell’osservanza della legge è diventata superiore alla legge, e certi partiti politici, che avrebbero dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, salvo poi diventare il più grosso tonno della storia repubblicana. Chi si riconosce in questa fazione si oppone a riforme che ripristino l’equilibrio tra i poteri dello Stato, riportando l’ordine giudiziario nei propri ranghi e restituendo indipendenza al Parlamento».Come giudica lo scarso dibattito che ha preceduto il voto?«Lo scarso, per non dire assente, dibattito sui referendum è indice della grave crisi di salute della nostra democrazia. Stando agli ultimi sondaggi, circa un cittadino su due non sa che il 12 giugno si voterà. L’intera classe politica dovrebbe riflettere sul proprio ruolo».Perché se n’è parlato così poco?«Vi sono cause fisiologiche, come la guerra d’aggressione in Ucraina, e altre patologiche, che riguardano la parzialità degli organi di informazione. Chi si schiera contro la riforma della magistratura preferisce non dare spazio ai referendum».Domenica si voterà con la mascherina: è l’ultimo disincentivo ad andare alle urne?«I disincentivi sono stati purtroppo molti fin dall’inizio. Il voto in una sola giornata, anomalo sotto il profilo statistico, non aiuta il raggiungimento del quorum. L’obbligo di mascherina appare incoerente con quanto deciso per concerti o eventi in discoteca. Ciononostante, a prescindere da quale sarà il numero di elettori che si recheranno alle urne, conteremo il numero di Sì e le percentuali di differenza con i No. Vedremo in quanti non sono soddisfatti dello stato della giustizia italiana sui temi proposti e verificheremo successivamente quali forze politiche daranno seguito alle istanze di riforma». Dopo il referendum quali saranno i prossimi passi verso un reale cambiamento del sistema giudiziario?«Lo dico da anni: la prima e imprescindibile riforma della giustizia è la separazione delle carriere dei magistrati a livello costituzionale. La commistione tra pubblici ministeri e giudici all’interno del CsmM annienta la giurisdizione e la cultura della terzietà, ponendo il cittadino-imputato su un piano inferiore a quello dell’accusa. Due funzioni, due ruoli, due Csm: non c’è altra strada. Seconda cruciale riforma è quella relativa ai consiglieri del Csm. Sono scettico sugli effetti di quanto si sta discutendo in Parlamento, perché il problema non si affronta cambiando il sistema elettorale. Tutti i partiti politici e anche l’Anm erano d’accordo sul sorteggio temperato, successivamente scomparso dai radar politici. I conservatori dello status quo ancora una volta stanno vincendo. Come suggerito dalla Fondazione Luigi Einaudi, è necessario eleggere un’Assemblea per la revisione della parte II della Costituzione, che in modo organico superi le criticità presenti». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-magistratura-non-vuol-cedere-potere-2657482738.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bavaglio-dei-media-ai-cinque-quesiti-si-parla-solo-delle-amministrative" data-post-id="2657482738" data-published-at="1654786065" data-use-pagination="False"> Bavaglio dei media ai cinque quesiti. Si parla solo delle amministrative Referendum imbavagliati: domenica prossima, 12 giugno, dalle 7 alle 23 gli italiani sono chiamati alle urne per esprimersi sui 5 quesiti referendari sulla giustizia proposti da Radicali e Lega, ma la copertura mediatica riservata a questo appuntamento è stata scarsissima. Un elemento cruciale, poiché la sfida si gioca sul raggiungimento del quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto: nascondere agli italiani l’appuntamento referendario è il modo più facile per farlo fallire, col risultato di lasciare tutto inalterato. Questo incontrovertibile atteggiamento omertoso dei media sui referendum è certificato, oltre che dall’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, anche da un report di Volocom, azienda leader nel mercato del monitoraggio dei media, che ha pubblicato una analisi condotta dal 7 maggio al 7 giugno sulla base di dati di stampa, web e social attraverso tecnologie di Media Monitoring che interrogano e elaborano un database di oltre 4.000 fonti di informazione (oltre 3.000 dal web, 30 quotidiani nazionali e 94 locali) e 2 miliardi di contenuti provenienti dai social network. Il dato che emerge non ha bisogno di spiegazioni o commenti: in questo mese cruciale i media hanno parlato più delle elezioni amministrative che dei referendum, nonostante il fatto che il primo turno delle comunali, in programma lo stesso giorno, coinvolge circa 800 comuni per complessivi 8,5 milioni di elettori, mentre i referendum riguardano tutti gli italiani ovvero 51,5 milioni di elettori. Bene (anzi, molto male): pensate che nel periodo di riferimento, gli ultimi 30 giorni, secondo il report di Volocom le elezioni amministrative sono state citate da poco più di 12mila articoli (7mila sul web e 5mila sui giornali cartacei) mentre dei referendum hanno parlato solo 10mila articoli, di cui 7mila sul web e i restanti sulla stampa. Non solo: la stragrande maggioranza degli articoli sul web sono stati rilanciati da aggregatori di notizie, mentre la fonte ufficiale più attiva sulla rete è stata Radio Radicale. Anche scendendo nel dettaglio delle singole giornate, si legge nel report, si nota la preponderanza di articoli riferiti alle amministrative. Solo negli ultimi giorni la tendenza si è invertita, ed è curioso che una delle cause principali sia stato l’intervento contro i referendum di Luciana Littizzetto a Che tempo che fa su Rai Tre, che ha riacceso il dibattito. La Littizzetto, ricordiamolo, lo scorso 29 maggio ha detto testualmente: «il 12 giugno pensavo di andare al mare», un invito esplicito a disertare le urne che è costato alla Rai un richiamo formale da parte dell’Agcom. Eppure, quell’intervento ha scatenato un forte dibattito che ha finito per produrre l’effetto opposto a quello desiderato dalla comica piemontese, accendendo (finalmente) i riflettori sull’appuntamento alle urne. Ugualmente efficace ma stavolta volontario il gesto del vicepresidente del Senato Roberto Calderoli della Lega, che il 2 giugno scorso ha intrapreso uno sciopero della fame e si è imbavagliato nello stile di Marco Pannella per sensibilizzare l’opinione pubblica: l’iniziativa dello storico esponente del Carroccio ha suscitato un rinnovato interesse da parte della stampa e del web sui cinque quesiti, e così nell’ultima settimana gli articoli riguardanti i referendum sono stati 3.500 rispetto ai 2.500 relativi alle amministrative. Una spinta significativa alla informazione sui quesiti referendari è stata inoltre data dal video pubblicato 13 giorni fa su YouTube dal noto canale Breaking Italy, dal titolo «I referendum sulla giustizia, spiegati semplicemente», ha totalizzato oltre 160mila visualizzazioni e 770 commenti, riuscendo ad avvicinare il pubblico a temi percepiti come complessi. In sostanza, la copertura mediatica dei referendum sulla giustizia è stata largamente insufficiente e inadeguata rispetto alla importanza dell’appuntamento, rendendo più difficile il raggiungimento del quorum per la gioia di chi non ha alcuna volontà di lasciare che il popolo italiano decida direttamente si un tema così importante.