2021-11-04
La lotta alle emissioni è la scusa perfetta per fare affondare la nostra agricoltura
Per piantare più alberi e tagliare il metano verranno eliminati allevamenti e campi: mangeremo insetti e carne in provettaAlla fine un colpevole anche senza nominarlo lo hanno trovato: è l’allevamento di bestiame. Se la conclusione della Cop26 di cui era sponsor anche Microsoft - non è un particolare del tutto trascurabile, ma molte erano le company in odore di green washing in passerella e si sono anche lamentate perché il loro marketing è stato poco proficuo - è che le uniche misure prese sono la riduzione delle emissioni di metano entro il 2030 e gli interventi contro la deforestazione, viene il dubbio che si pensi all’agricoltura come unica fonte di inquinamento da mettere sotto controllo. A Glasgow oltre 100 Ong, ma nessuno ne parla, si sono mobilitate per chiedere un giro di vite sui sistemi agricoli responsabili, a loro dire, del 26% delle emissioni di gas serra. Non va trascurato che già all’assemblea dell’Onu di settembre alcune multinazionali avevano provato a forzare la mano per globalizzare i modelli alimentari. L’Europa peraltro non vede l’ora di dare corso al Farm to fork - il programma agricolo e alimentare all’interno del Green deal - per rendere obbligatoria l’etichetta a semaforo: penalizza i prodotti dell’agricoltura di qualità come quella italiana e promuove i cibi Frankenstein delle multinazionali zeppi di chimica e ricavati da proteine vegetali pagate pochi spiccioli ai contadini dei continenti meno inquinati e più svantaggiati che però subiscono una deforestazione selvaggia. Nessuno se n’è accorto, ma a Glasgow è andato in scena un nuovo round della guerra delle proteine. L’Italia con il ministro alla Transizione ecologica Roberto Cingolani, insieme a Gran Bretagna e Danimarca e a una serie di organizzazioni internazionali, sta dentro il progetto Global energy alliance finanziato anche da Ikea e Rockefeller foundation per aiutare la transizione energetica dei Paesi in via di sviluppo. Ma è proprio in quei Paesi che le multinazionali della nutrizione stanno costruendo gli «arsenali vegetali» per condurre la guerra alle proteine. Di fronte alla richiesta di abbattere il metano nell’atmosfera e di fermare la deforestazione, l’Italia avrebbe dovuto rivendicare la sua diversità positiva e anzi proporsi come modello agricolo alternativo. Il nostro Paese è tra quelli che maggiormente hanno accresciuto il patrimonio boschivo (in dieci anni le foreste sono aumentate di quasi 600.000 ettari e coprono il 37% della superficie) ed è quello che ha gli allevamenti zootecnici a più basso impatto ambientale. Le nostre stalle - come confermano tanto l’Ispra quanto l’Accademia dei Georgofili - impattano sul clima solo per il 5,65% delle emissioni e va detto che il metano emesso dagli animali viene totalmente riassorbito dalle piante in undici anni. In due decenni i nostri allevamenti hanno ridotto il loro impatto ambientale del 36% e anche per quel che riguarda l’acqua blu (cioè potabile estratta dalla falda) consumata dagli allevamenti è inferiore alla quantità assorbita dalle coltivazioni. Il consumo va calcolato in base alle proteine equivalenti: un etto di carne vale 5 chili d’insalata e la verdura beve di più. Il fatto è a che a Glasgow erano in gioco altri interessi. Ad esempio quelli di Bill Gates che si è lanciato nella produzione di carne sintetica, un business da 25 miliardi di dollari giustificato solo dall’allarme climatico, o quelli della cosiddetta finanza verde che sta finanziando tutte le start up che ruotano attorno allo stile vegan. Per avere un’idea: la scommessa dei fondi d’investimento in aziende vegan è quest’anno pari a 35 miliardi di dollari, il fatturato del settore vale 65 miliardi di dollari, ma gli analisti attendono incrementi del 30% l’anno nei prossimi dieci anni. Proprio grazie all’allarme climatico. L’Europa che si dà agli insetti come proteine, alla carne sintetica, ai legumi arricchiti chimicamente potrebbe ben opporre il suo complessivo modello agricolo ma non lo fa. Nota Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia: «C’è il rischio che l’Europa accodandosi a questo allarme su metano e deforestazione, emergenze che non ci riguardano, finisca per abolire la sua produzione zootecnica e così incentivare gli allevamenti cinesi e brasiliani contribuendo a inquinare di più. È tempo di difendere il nostro modello agricolo e in particolare quello italiano che è anche il solo capace di risolvere l’emergenza alimentare nei Paesi più poveri restituendo ai piccoli agricoltori la potestà delle loro produzioni». Alla Cop26 nessuno ha chiarito - eppure c’è un recentissimo rapporto Fao - che la deforestazione più forte si è avuta in Africa per un totale di 3,9 milioni di ettari per l’ampliarsi dei parchi minerari alla ricerca delle terre rare (servono per fare i microchip). I 2,6 milioni di ettari persi in America meridionale non sono solo dovuti alle colture per alimentare gli allevamenti, ma sono conseguenza dell’espandersi dell’urbanizzazione, della coltivazione di droga e della produzione di oli da industria. Brasile a parte, dove effettivamente c’è stata una forte incidenza zootecnica, i Paesi che hanno perso più foreste sono Repubblica del Congo, Indonesia, Angola, Tanzania, Paraguay, Myanmar, Cambogia, Bolivia e Mozambico, dove la Cina domina, mentre quelli che hanno aumentato di più il patrimonio forestale sono Cina, Australia, India, Cile, Vietnam, Turchia, Stati Uniti, Francia, Italia e Romania. Appare dunque evidente che dietro taluni obbiettivi della Cop26 non ci sono solo preoccupazioni ambientali, ma anche importanti prospettive di business. Compresa la guerra delle proteine.
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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