
Ripartono le campagne anti discriminazioni e l'iter della legge sull'omofobia: bavaglio a quanti difendono le unioni tradizionali.Il coronavirus è mutato: da pestilenza terrificante si è trasformato nel grande catalizzatore. Una catastrofe sfruttabile per imprimere alla società i cambiamenti che, fino a ieri, procedevano a rilento. È il caso della legge sull'omofobia, progetto liberticida di cui si discute da anni, riaffiorato con prepotenza in questo momento di «decisioni irrevocabili». Ieri sull'argomento si sono espressi sia il presidente del Consiglio sia il presidente della Repubblica. Giuseppe Conte ha affidato il suo pensiero a Twitter: «C'è il mio invito a tutte le forze politiche», ha scritto, «perché possano convergere su una legge contro l'omofobia che punti anche a una robusta azione di formazione culturale: la violenza è un problema culturale e una responsabilità sociale». Sergio Mattarella è stato appena più vago. «Le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale costituiscono una violazione del principio di eguaglianza e ledono i diritti umani necessari a un pieno sviluppo della personalità umana che trovano, invece, specifica tutela nella nostra Costituzione e nell'ordinamento internazionale», ha detto. «È compito dello Stato garantire la promozione dell'individuo non solo come singolo, ma anche nelle relazioni interpersonali e affettive. Perché ciò sia possibile, tutti devono essere messi nella condizione di esprimere la propria personalità».Combattivo pure il presidente della Camera, Roberto Fico, che ha fatto esplicito riferimento al progetto di legge in discussione in Parlamento: «La nostra Costituzione tutela ogni orientamento sessuale, chi discrimina si mette fuori dai paletti della nostra Carta», ha spiegato. «Nella scorsa legislatura si era avviato un percorso per una legge contro l'omofobia. È un percorso che oggi deve essere ripreso al più presto». Infatti questo «percorso» sarà ripreso eccome. Alessandro Zan del Pd, relatore della legge, ha fatto sapere che la Conferenza dei capigruppo ha calendarizzato il testo per luglio. Tra le priorità della ripartenza, ci sarà anche la legge sull'omofobia. A dimostrare quanto questa norma sia inutile, tuttavia, sono proprio le parole di Mattarella e di Fico. Entrambi notano che le discriminazioni basate sul sesso sono condannate dalla Costituzione. Dunque, una tutela esiste già, così come esistono leggi che puniscono il razzismo, la violenza eccetera. Le stesse associazioni Lgbt spiegano chiaramente di volere qualcosa di più, in particolare - come nota Fabrizio Marrazzo di Gay center - l'istituzione di «centri permanenti antiviolenza per Lgbt in tutte le regioni e case rifugio». Tradotto: più soldi. L'altro obiettivo della legge è quello di mettere a tacere chiunque non condivida l'agenda politica degli attivisti arcobaleno, trattandolo come un pericoloso razzista. Se passasse la legge anti omofobia, infatti, chiunque osasse difendere la «famiglia tradizionale» si guadagnerebbe la mordacchia. Il vero scopo dei vari provvedimenti «anti discriminazioni» è esattamente questo: colpire tutto ciò che di solido e stabile rimane nel nostro mondo, a partire dalla famiglia, in modo che la corsa del neoliberismo possa procedere indisturbata. Non per nulla, proprio nei giorni della pandemia, da una delle maggiori fabbriche del pensiero globalista continuano a giungere inviti a distruggere la famiglia. Già alla fine di marzo, il sito Open Democracy - finanziato da enti come la Ford Foundation, la Atlantic Philanthropies, la Rockefeller Brothers Fund e la Open Society Foundations di George Soros - ha pubblicato un primo, feroce articolo della femminista Sophie Lewis intitolato «La crisi del coronavirus dimostra che è tempo di abolire la famiglia». Ed ecco che, a poco più di un mese di distanza, i padroni del pensiero unico tornano alla carica con un altro testo fiammeggiante firmato da Sophie Silverstein, studiosa di questioni di genere. A suo dire, la crisi del coronavirus mostra quanto sia necessario ripensare «le strutture famigliari obsolete e inadeguate», ovvero procedere alla «abolizione della famiglia». Tale abolizione sarebbe, in realtà, un modo per «estendere a tutti amore e cura». Secondo la Silverstein, «se possiamo imparare qualcosa» dal Covid-19 «è che le ideologie collegate alla casa, alla famiglia nucleare e alla responsabilità individuale neoliberista sono mal equipaggiate per fornire l'assistenza di cui tutti abbiamo bisogno». In realtà, il pensiero forte che vuole proteggere la stabilità della casa e della famiglia è l'esatto contrario del neoliberismo, e anche a sinistra qualcuno comincia ad accorgersene. Ma la Silverstein prosegue imperterrita, spiegando che la famiglia va eliminata in quanto portatrice di discriminazioni.La famiglia «come istituzione è costruita sull'intersezione di razzismo, sessismo e omofobia», sentenzia. E rieccoci al punto di partenza: il discorso «contro l'omofobia», il cui vero scopo è colpire la famiglia e i suoi sostenitori. La famiglia è l'ultimo baluardo della gratuità (l'amore non filtrato da logiche economiche, come nel caso dell'utero in affitto) e delle differenze (fra i sessi) in un sistema in cui tutto deve essere per forza commerciabile e omologato. Dunque, il pensiero globalista e sorosiano ordina e i politici servi eseguono. Per fermare le discriminazioni, discriminano la famiglia.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
iStock
A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





