2019-03-13
La lezione della femminista contro l’invasione e il «totalitarismo Lgbt»
In questi giorni si parla di Elvira Banotti per i suoi rimproveri a Indro Montanelli nel 1969. Ma le attiviste che si ispirano a lei dimenticano la parte più scorretta del suo pensiero.Secondo Maurizio Mori, del Comitato nazionale di bioetica, le obiezioni alla terapia blocca pubertà sono il frutto del fanatismo. Il Senato però annuncia: al via un'indagine sui rischi del medicinale.Lo speciale contiene due articoliDurante il carnevalesco sciopero dell'8 marzo, le militanti della congrega femminista Non una di meno hanno imbrattato con vernice rosa (fortunatamente lavabile) la statua di Indro Montanelli posizionata nei giardini di Porta Venezia a Milano. Secondo le attiviste si trattava di una «doverosa azione di riscatto», una punizione postuma inflitta al giornalista per aver acquistato una sposa eritrea di 12 anni nel 1935 o 1936. L'episodio è piuttosto noto, e fece molto discutere nel 1982, quando Montanelli rilasciò un'intervista a Enzo Biagi in cui spiegava che la giovinetta «era un animalino docile, io gli misi su un tucul con dei polli. E poi ogni quindici giorni mi raggiungeva dovunque fossi insieme alle mogli degli altri ascari». A dirla tutta, non si sa se la ragazza avesse 12 o 14 anni. In proposito, la Fondazione Montanelli Bassi, nel 2015, pubblicò una nota in cui spiegava che «Montanelli sposò sì la giovane Destà com'era usanza della popolazione locale, ma, per quanto oggi possa apparirci riprovevole, quel tipo di matrimonio era addirittura un contratto pubblico, sollecitato dal responsabile del battaglione eritreo guidato da Indro. Si tratta di un episodio della sua vita, non imposto né attuato con violenza, che mai nascose». Diciamo che l'attacco postumo di Non una di meno era fuori tempo massimo, ma lasciamo correre. Qui ci interessa concentrarci su una vicenda collaterale ma rilevante. Come ha notato la rivista Wired, l'imbrattamento della statua ha prodotto un curioso effetto: è tornato a circolare sulla Rete «un breve video Rai risalente al 1969, in cui la giornalista e scrittrice Elvira Banotti incalza Montanelli» sulla sua relazione con la minorenne. Il filmato, in effetti, è impietoso. La Banotti colpisce e affonda Indro senza pietà. E qui sta il punto. Sarebbe molto interessante se le femministe italiane riprendessero anche altre battaglie della signora Banotti, senza limitarsi a quella (per altro un po' datata) contro Montanelli. Come nota sempre Wired, infatti, il profilo della combattiva Elvira è decisamente più sfaccettato di quanto pensino alcune odierne vestali. La Banotti, infatti, si fece notare per alcuni articoli scoppiettanti pubblicati dal Foglio in cui, tra le altre cose: prendeva le difese di Silvio Berlusconi nel caso Ruby; sbertucciava i sostenitori dello ius soli; se la prendeva con l'ideologia Lgbt e il «totalitarismo gay». Elvira Banotti (nata ad Asmara nel 1933 e mancata a Roma nel 2014) divenne figura di spicco del femminismo italiano in quanto autrice del Manifesto di Rivolta femminile del 1970. Collaborò con attiviste di primo piano come Carla Lonzi e Carla Accardi, pubblicò saggi molto discussi e molto influenti. Rimase femminista sempre, non rinnegò mai le proprie idee. Fu sempre coerente, insomma, e anche per questo non ebbe paura di esprimere posizioni parecchio scorrette. Non risparmiava bordate alla Chiesa, combatteva la pornografia e non era affatto a favore della riapertura delle case chiuse. Ma, proprio per difendere le donne, prendeva a schiaffi i fanatici arcobaleno. Nel 2013 definì Nichi Vendola «un essere oscurantista impietrito da una pericolosa “repulsione" per la donna». Nello stesso articolo demoliva «il clima sbrindellato delle ideologie che consente a gay e lesbiche di investirci tutti con l'accusa di “omofobia" mentre sono attentissimi a oscurare le proprie pregiudizievoli cicatrici emotive con le quali aggiornano il sedimentato, morboso allontanamento tra uomini e donne: cioè l'erotismo e la preziosità dell'accoppiamento». Ne aveva anche per i trans: «Dove credete che trovi la propria ispirazione il “donnicidio" - quel “diritto" punitivo di antica memoria che oggi terrorizza mogli e fidanzate - se non dalla prostituzione del Femminile teatralizzata persino dai trans che scempiano l'identità di tutte le donne?», scriveva. Anche queste, ovviamente, sono affermazioni che si possono discutere o non condividere. Ma la Banotti, da femminista, aveva capito che molte battaglie Lgbt mirano alla cancellazione della donna, al suo svilimento. Le attiviste di Non una di meno, oggi, la pensano molto diversamente. E infatti non rendono un gran servizio all'universo femminile. Di più. La Banotti comprese perfettamente tutti i problemi causati dall'immigrazione di massa. Fece a fette, sul Foglio, il ministro Cécile Kyenge. Non ebbe paura di attaccare frontalmente i difensori dell'islam sul suolo italiano. Spiegò che «una clandestinità diffusa è il detonatore dell'insicurezza, crea sfilacciature che logorano le civiltà». Tutte queste idee, per le femministe dei nostri giorni, sono semplicemente irricevibili. Le attiviste che hanno scioperato l'8 marzo si battono per i diritti Lgbt, per la tutela delle minoranze (in primis i migranti presentati sempre come vittime). Nei fatti, hanno trasformato le donne in una minoranza qualunque. Ma sono convinte di difenderle imbrattando le statue. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-lezione-della-femminista-contro-linvasione-e-il-totalitarismo-lgbt-2631429911.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="triptorelina-e-partito-lattacco-a-chi-osa-criticare-il-farmaco-trans" data-post-id="2631429911" data-published-at="1758004963" data-use-pagination="False"> Triptorelina, è partito l’attacco a chi osa criticare il farmaco trans La triptorelina va bene e chi lo nega è un No Vax. È la strategia argomentativa che Maurizio Mori, del Comitato nazionale di bioetica, persegue in un intervento pubblicato su Quotidiano Sanità. Il docente di bioetica dell'università di Torino si è scagliato contro le testate giornalistiche, in particolare La Verità, che nei giorni scorsi avevano criticato la scelta dell'Aifa di autorizzare la somministrazione, a carico del Servizio sanitario nazionale, della triptorelina ai minori con disturbi dell'identità di genere. Da un lato, per Mori le obiezioni alla triptorelina s'affiderebbero esclusivamente a «un documento del 2017 dell'American college of pediatrics», organismo che «non arriva a 500 associati» e «ha riserve sui vaccini». Quindi, è un coacervo di cialtroni. Dall'altro lato, ci sarebbe un «assunto metafisico» a monte delle contestazioni al medicinale gender: l'idea che la triptorelina tradisca l'antropologia cattolica. Siamo sicuri che tutto si riduca a farneticazioni antiscientifiche e a fondamentalismo religioso? Il nostro quotidiano, in realtà, è andato a scavare nel principale caso di studio esistente, quello britannico. Del Paese, cioè, in cui è ambientata la miniserie Butterfly, che celebra la transessualità infantile. La Verità ha citato le accuse di un professore di sociologia di Oxford, Michael Biggs, secondo il quale il Gender identity development service di Londra, centro che si occupa dei minori che vogliono cambiare sesso, ha occultato i risultati negativi della «cura». Biggs ha rivelato che, a un anno dal trattamento, i pazienti hanno mostrato tendenze autolesioniste, «un significativo aumento dei problemi comportamentali ed emotivi» e «una significativa diminuzione del benessere fisico». Per Biggs, in conclusione, «i farmaci bloccanti della pubertà hanno esacerbato e non risolto la disforia di genere». Si dirà: va beh, Biggs non è il mago Do Nascimento, ma non è nemmeno un medico. È un sociologo. Ebbene, La Verità aveva menzionato un articolo pubblicato sul British medical journal da Carl Heneghan, docente di medicina basata su prove di efficacia a Oxford. Pure per il professor Heneghan, i trattamenti indirizzati agli adolescenti affetti da disforia di genere sono tutt'altro che sicuri. Al contrario, rimane «un gran numero di domande senza risposta che includono l'età, la reversibilità, eventi avversi, effetti a lungo termine sulla salute mentale, la qualità della vita, la densità minerale ossea, l'osteoporosi in età avanzata». A ciò si aggiungono le ombre che circondano il Gids. David Bell, già presidente della Società psicanalitica britannica ed ex capo del personale della clinica londinese, ne aveva lamentato «l'incapacità di resistere alle pressioni» dei gruppi Lgbt. E aveva sollevato «preoccupazioni etiche molto serie» in merito agli «inadeguati» meccanismi di esame ed espressione del consenso, da parte dei minori, a sottoporsi alle terapie. È assurdo dubitare che quello che in Gran Bretagna si sta rivelando un disastro, da noi si possa trasformare in un successo? Quanto al contagio sociale, di cui Mori ci invita a non preoccuparci, l'esperienza inglese è allarmante: in poco tempo, le richieste di trattamenti per la transessualità minorile sono aumentate del 400%. Non c'entra niente la propaganda gender? Lisa Littman, ricercatrice alla School of public health della Brown university, aveva pubblicato uno studio in cui sosteneva che «il contagio sociale e tra pari» influisce sulla disforia di genere, inducendo i ragazzini a identificarsi come transgender. Risultato? La rivista Plos One, che aveva pubblicato la ricerca, è stata costretta a riesaminare l'articolo dalle proteste delle associazioni Lgbt. E la Brown University si è dissociata dalla ricerca. Ieri, il senatore di Fratelli d'Italia, Francesco Zaffini, ha annunciato che la commissione Sanità del Senato avvierà un'indagine sulla pericolosità della triptorelina. Le incognite, infatti, sono tante. Il professor Mori menziona il comunicato stampa in cui il Comitato nazionale di bioetica evocava il «vigile monitoraggio di una equipe multidisciplinare e specialistica». Ci dobbiamo fidare del buonsenso degli specialisti in questo clima di caccia alle streghe, su questioni così esposte a pressioni politiche, quando gli specialisti stessi, come prova proprio il caso di Mori, sono già favorevoli alle terapie per il cambio di sesso dei minori? In quel comunicato stampa, peraltro, il Comitato di bioetica si era visto costretto ad ammettere qual è l'unica posizione antiscientifica in campo: la «questione gender», sulla quale il Cnb, appunto, ha dichiarato di non volersi pronunciare. Per cui, sono due le possibilità. O nel Comitato ci sono sostenitori dell'ideologia arcobaleno, il che proverebbe che l'ipoteca politica è così pesante da rendere azzardato il via libera alla triptorelina. Oppure il Cnb respinge quella teoria. E dunque, parlare di transessualità infantile non è altro che una pericolosa follia.
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)