2019-06-29
La legge per ridurre i parlamentari sarà il banco di prova dell’asse Pd-M5s
Arriverà in Aula entro luglio: convergenze pure sul conflitto di interessi. Matteo Salvini: «Far saltare tutto? Ricordate il 1994...».Quattro amici a Lampedusa a ciondolare attorno alla Sea Watch. Il Pd ha preferito così, anche se avrebbe potuto dare una spallata decisa al governo, ai minimi termini in Senato per il via libera al decreto Crescita, fortemente voluto da Luigi Di Maio e dal Movimento 5 stelle. La legge è passata per il rotto della cuffia, con 158 senatori, tre in meno della maggioranza (161) quindi con il fianco scoperto e la reale possibilità di finire impallinata. Ma a un'opposizione dura e seria i dem hanno privilegiato il baluginio del mare e l'immagine guevarista accanto alla piratessa rasta.«A meno che non l'abbiano fatto apposta», butta lì un colonnello leghista della prima ora, espertissimo in agguati parlamentari, al quale non era sfuggita un'analoga fuga strategica alla Camera. L'insinuazione buca il muro dell'afa, coglie nel segno e diventa il tassello mancante di un mosaico in costruzione per arrivare alla Babele suprema a sinistra: l'alleanza fra Pd e grillini. Le prove generali in Rai stanno funzionando, l'ad Fabrizio Salini (in quota 5 stelle) è il miglior garante dello status quo e ha operato il blitz del rientro di Gad Lerner, protegge Fabio Fazio, sta bloccando ogni iniziativa di modernizzazione delle reti, cerca e ottiene gli applausi della gauche catodica. Trasferire le dolci armonie in Parlamento è più difficile, ma la campagna d'estate di Nicola Zingaretti ha un solo obiettivo: convincere i grillini a concretizzare l'abbraccio col Pd.Goffredo Bettini, raffinato guru della sinistra romana, da tempo è convinto che il partito debba dialogare con il popolo pentastellato e anche con i dirigenti, considerando decisiva la comunione d'intenti con la parte più movimentista. Il presidente della Camera, Roberto Fico, dice ciò che molti dem pensano. Perché non allearsi? Considerato bruciato Luigi Di Maio come volto governativo, sarebbe proprio Fico l'interlocutore privilegiato. Per capire le speranze che albergano dentro la casa rossa basta intercettare una domanda retorica: «Dovesse scegliere tra Fico e Carlo Calenda in Lacoste con il cigno sullo sfondo, Zingaretti chi sceglierebbe?».Si sono presi a schiaffi per quattro anni, ma adesso scoprono di poter mettere insieme le proprie debolezze per costruire una forza. Il Pd ha lo stomaco di ferro, digerisce tutto, ed è fortemente intenzionato a percorrere la strada indicata da Walter Veltroni («Presto saranno i 5 stelle a dover decidere con chi stare»), illuminata dalla scienza infusa di Massimo Cacciari con un cartiglio da Baci Perugina («Quell'incontro è un destino»), fortemente voluta già nel 2013 da Pier Luigi Bersani, che si arrese solo dopo essere stato spernacchiato in streaming.L'operazione avrà due momenti chiave, la legge sul conflitto d'interessi e la legge sulle riforme istituzionali, cavalli di battaglia pentastellati. Sul primo tema Zingaretti ha intenzione di proporre un progetto suo con la speranza che possa trovare forti punti di contatto e venga votato insieme. Sul secondo, molto più delicato, il Pd cerca il consenso degli storici nemici a sinistra dei 5 stelle: i pasdaran renziani. Dopo un periodo di scontri, anche Matteo Renzi si sta convincendo all'inciucio. Proprio lui che all'alba del governo gialloblù inaugurò la strategia del popcorn con la famosa frase: «Godiamoci lo spettacolo mentre loro vanno a sbattere».Sulle riforme istituzionali una consonanza strutturale c'è perché la legge pentastellata non sarebbe dissimile rispetto al referendum sonoramente bocciato nel 2016. I pontieri dell'accordo sono il renziano professor Stefano Ceccanti (esperto in diritto costituzionale) e il ministro delle Riforme istituzionali, Riccardo Fraccaro, grillino. L'obiettivo dei 400 parlamentari alla Camera (oggi 630) e dei 200 al Senato (oggi 320) è a portata di mano e si concretizzerà entro luglio. Con un prologo interessante: in commissione Affari costituzionali è stato approvato l'allargamento del voto ai diciottenni per il Senato. Relatrice Valentina Corneli (5 stelle). Il Pd ha già annunciato in automatico il voto favorevole. Se non è amore, è corteggiamento. Con una variabile di non secondaria importanza. Nel partito del presidente Sergio Mattarella - già pronto a scendere in campo per un'eventuale stagione tecnica in seguito allo showdown - prende quota il premier Giuseppe Conte, benvisto dal Colle perché capace di nascondere dietro una terzietà di facciata il suo pencolare verso i 5 stelle. Per lui e per i pentastellati «responsabili» fanno il tifo i piddini cosiddetti ministeriali, capitanati da Paolo Gentiloni.Lo scenario è chiaro e non è sfuggito allo sguardo non propriamente ingenuo di Matteo Salvini. Nei giorni scorsi, ai leghisti più disillusi da questa esperienza di governo che chiedevano a voce alta al leader di staccare la spina, ha risposto con un secco no. E ha motivato la decisione con un ricordo che suona da monito: «Ero lì nell'inverno 1994 quando Umberto Bossi strappò con il Cavaliere. E ho visto com'è andata». È andata che il centrodestra, imbavagliato da Oscar Luigi Scalfaro, dovette attendere sei anni prima di tornare al governo. Quindi nessun ribaltone. Solo la curiosità di vedere se il minestrone a sinistra cuocerà oppure no sotto questo sole canaglia.