2020-10-15
La Lega si interroga sulla svolta «moderata»
L'eminenza grigia Giancarlo Giorgetti: «È inutile bussare alla porta di Palazzo Chigi se poi in Europa non si tocca palla». La richiesta d'intercettare l'elettorato centrista non convince però i «duri e puri», i No euro e chi è più legato ai temi tradizionali del partito.«Quando parla lui, significa che ci sono curve da raddrizzare». Dentro la Lega la svolta europeista fa discutere e quel «meno pregiudizi e più giudizi» di Giancarlo Giorgetti è il punto di partenza di una stagione nuova. Sempre frontale - nessuno sconto alle quattro sinistre di governo e a chi vuole sfasciare l'identità degli italiani con il globalismo da sudditi - ma improntata al confronto più che alla ribellione.È il riassunto di tre mesi in cantiere e la base risponde: messaggio ricevuto. È la sintesi politica dopo qualche sconfitta in casa alle elezioni amministrative (Lecco, Saronno, la simbolica Legnano), dopo qualche fibrillazione e incomprensione dentro il primo partito del Paese, che con il centrodestra governa 15 regioni ma è impegnato nella traversata del deserto all'opposizione in tempo di Covid. Come ripete da giorni l'eminenza grigia del movimento, «è inutile bussare alla porta di Palazzo Chigi se in Europa non si tocca palla».L'intervista alla Verità ha fatto rumore. Giorgetti è uscito allo scoperto, quelli che venivano riportati come sussurri dietro le quinte sono diventati concetti. Un colonnello anziano, che ricorda quando a Varese il Giancarlo era considerato il delfino di Umberto Bossi anche nell'inflessione della voce, declina così l'intervento: «Se lui si eclissa significa che tutto va bene, se decide di salire sul palco significa che bisogna cambiare passo». Non è un caso che al suo fianco, nell'incontro con gli europarlamentari, ci fosse Matteo Salvini che lo aveva voluto responsabile Esteri del partito. E non è un caso che proprio ieri in stereo abbia parlato Marcello Pera, l'ex filosofo di Forza Italia, consigliere politico in pectore del leader leghista proprio per riprendere in mano la rivoluzione liberale (riforme di giustizia penale e amministrativa, legge elettorale, presidenzialismo) che Silvio Berlusconi non era riuscito a compiere 20 anni fa. Una svolta moderata nella Lega è ciò che Giorgetti chiede da un anno, e non riguarda gli outfit istituzionali o la resa di Salvini all'uso della cravatta. In realtà non è neppure l'abbandono della piazza, piuttosto il rifiuto della mistica dello sconfittismo, nel Dna di una certa destra ma che non ha mai avuto niente a che vedere con la storia del Carroccio. Il dibattito interno è aperto e il numero due del movimento può contare su un alleato di ferro, quel doge Luca Zaia che in Veneto ancora una volta ha fatto il pieno di consensi e che lo sta supportando con convinzione. L'accelerazione potrebbe essere accompagnata dal varo di una nuova iniziativa editoriale; oggi le idee volano sul web e sui social. Come anticipato da Dagospia, Giorgetti coltiva con alcuni imprenditori amici il progetto di un quotidiano agile (quattro pagine) di politica e cultura, con interventi di intellettuali ed economisti liberal-conservatori come Giovanni Orsina, lo stesso Pera, Antonio Pilati, Giulio Sapelli. Per la direzione sarebbero stati sondato Giulio Meotti, firma del Foglio, e Alessandro Giuli, che proprio due giorni fa ha smesso di condurre Seconda Linea su Raidue. Il programma, in media sotto il 2% di share, è stato interrotto. Dentro il movimento la domanda è sempre la stessa: una Lega moderata può intercettare quei conservatori in uscita dal berlusconismo al tramonto, quegli apolidi centristi che non hanno una casa e piuttosto che votare sigle da prefisso telefonico o farsi prendere per il naso da Matteo Renzi vanno al mare? Risposta difficile. È vero, come disse un giorno Roberto Calderoli a Berlusconi, che «non c'è in giro tanta gente moderata, ma tanta gente incazzata». È vero che il grande salto dal 4% al 34% è arrivato nella stagione della contrapposizione totale alla sinistra di sistema su temi chiave come immigrazione incontrollata, sicurezza, globalizzazione senza regole e il rigorismo ottuso di Bruxelles.Ogni stagione ha le sue sfide e il timore del vertice della Lega è quello di trascorrere il resto della vita arroccati a Fort Alamo mentre il Pd e gli alleati occasionali governano imponendo l'agenda al Paese in chiave socialista, dalle regole democratiche ai temi etici. A questo proposito, un'ulteriore fibrillazione interna ha coinvolto il mondo pro life, rappresentato dall'ex ministro Lorenzo Fontana e da Simone Pillon, che hanno accompagnato con un silenzio stupefatto e dissenziente l'uscita di Salvini sull'aborto: «Lasciamo che siano le donne a scegliere della loro vita e del loro futuro». La transizione ha i suoi costi. La svolta in Europa rischia di creare problemi interni soprattutto con il pacchetto di mischia degli economisti molto ascoltati dalla base, Alberto Bagnai e Claudio Borghi. Quest'ultimo, alle prime avvisaglie della sterzata, aveva fatto la battuta: «Qui qualcuno vuole morire democristiano». I moderati rispondono: «Qui si rischia di morire tutti d'inedia». I giorgettiani riconoscono l'importanza delle battaglie contro Bruxelles e il formidabile lavoro degli economisti nello smontare la narrazione sonnolenta e passiva del fronte liberal su Mes e Recovery fund, ma vorrebbero passare a un euroscetticismo non prevenuto, per cambiare le cose dal di dentro. «Non è più tempo di utopie e illusioni, dobbiamo essere pragmatici». Le magliette con scritto Basta Euro faranno la fine di quelle di Mauro Icardi a Milano e di Gonzalo Higuain a Torino. Sotto quintali di naftalina.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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