
La grillina vuol dare le cattedre ai laureandi senza titolo, intanto mancano aule, banchi e personale. I sindacati: «Impossibile riaprire il 14 settembre». Lei si offende e ricorre al solito passepartout: «Io vittima di sessismo». In realtà non è all'altezza.Ha provato a imitare Giorgia Meloni, ma non gli è venuta bene. «Sono una donna, sono bilaureata, sono 5 stelle, per questo mi attaccano». Lucia Azzolina, ministro pro tempore della scuola, all'Huffington Post ha provato a spiegare la sindrome di Calimero. Era il pulcino col guscio d'uovo in testa che protestava: ce l'hanno tutti con me perché sono piccolo e nero. L'Azzolina è convinta di questo, non che la criticano perché ha detto tutto e il contrario di tutto: dai ragazzi negli acquari di plexiglas al fatto che tutti i giorni ai ragazzi va provata la febbre prima di mandarli a scuola. Una parola di conforto gliel'ha offerta Matteo Salvini. Nessuna discriminazione di genere: «Tranquilla ministro: non ti attaccano perché sei donna, ti attaccano solo perché sei incompetente». I dubbi più forti sono venuti dai sindacati della scuola unitissimi nel dire che il 14 settembre non ci sono le condizioni per riaprire. Ovviamente il ministro se l'è presa, poi ieri ha usato toni più concilianti da Torino dove ha fatto tappa nel suo peregrinare scolastico. Sta girando l'Italia per vedere come va. Con Mahmood le si potrebbe rispondere: «Sai già come va, come va». Basta ascoltare i lamenti e i pianti dei presidi. Mancano 56 giorni festivi compresi alla riapertura: è tutto incerto, ma il ministro fa l'offesa. Comunque ieri ha ribadito: «Il 14 settembre la scuola riapre per tutti. Gli organici e le risorse ci sono, è stato approvato il decreto Rilancio e ci sono 1,6 miliardi e un altro miliardo lo troveremo. Non si può sentire che non si sa quando la scuola riapre. Dal primo settembre cominciano i recuperi per i ragazzi. Vogliamo collaborare con i sindacati e quanto al personale abbiamo ancora le graduatorie del 2016, io ho ideato la call veloce che consentirà di spostarsi da regione a regione per entrare in ruolo, ci sono le liste a esaurimento e il nuovo concorso». Stigmatizzati gli assembramenti e gli italiani che non si comportano bene nel post-Covid - dalla prof una bacchettata c'è da aspettarsela - il ministro ha annunciato: «C'è troppa disinformazione. Ora vado in televisione e dico tutto; sono pronta anche a sfidare Salvini». Si dimenticata che in televisione ci va tutti i giovedì a La7 e quattro giorni fa ha fatto sapere con un moto d'orgoglio: «Mando in cattedra anche i laureandi di Scienze dalle formazione primaria per coprire gli organici. Ci sono tanti giovani preparati che hanno fatto un test per entrare nel corso di laurea e hanno già scelto a 18 anni di fare gli insegnanti e hanno anche svolto il tirocinio». Chi lo spiega alle 6.000 maestre licenziate meno di un anno fa dopo 15 anni di servizio perché non avevano la laurea? La verità è che il ministro sembra cambiare opinione spesso. Di questo si sono lamentati i sindacati anche se qualcuno usa le posizioni sindacali come alibi per il ministro. La verità è che la Azzolina ha chiesto al ministero dell'Economia di coprire le oltre 85.000 cattedre vacanti, ma non le hanno risposto. A conti fatti secondo i sindacati resteranno scoperte dalle 50 alle 60.000 cattedre. La segretaria della Cisl scuola, Maddalena Gissi, è stata categorica: «Il ministro Azzolina mente sapendo di mentire: chiedendo 80.000 posti non può illudere le famiglie facendo credere che ci saranno 80.000 assunzioni». Più esplicito il segretario della Cgil Scuola, Francesco Sinopoli: «Oggi le condizioni per cui le scuole riaprano in presenza non ci sono, inutile continuare a raccontare che le cose vanno bene, bisognerebbe essere onesti. A causa del ritardo con cui il confronto è iniziato e la scarsità delle risorse, la situazione delle scuole è drammatica. La preoccupazione che sta nascendo è che siccome il tempo scuola si ridurrà si tornerà alla didattica a distanza». A queste critiche la Azzolina che ancora non ha giustificato perché i ragazzi faranno ore di 40 minuti con una erosione del 27% della didattica risponde «in quanto donna»! Poi sostiene che il «metro statico di distanza» deve essere rispettato, ma fatti i conti circa il 15% per cento degli studenti (cioè 1,2 milioni di ragazzi) non ha più posto e allora la Azzolina si vanta di un accordo con il ministro della cultura Dario Franceschini per usare come aule i musei, gli archivi, i teatri, i cinema, le biblioteche. Perché con la cultura si produce cultura. È un'intuizione che le deriva dalle sue due lauree. Per garantire il distanziamento devono arrivare anche i nuovi banchi monoposto: ne servono almeno 4,5 milioni. Li sta (forse) comprando Domenico Arcuri, ora commissario straordinario anche alle forniture scolastiche dopo le ottime prove fornite con il Covid, che ha trovato il prototipo: poltroncine con le rotelle dotate di un piano d'appoggio. Per ora non ne hanno ordinata neppure una. Così come dovrebbero servire 10 milioni di mascherine al giorno e almeno due milioni di test sierologici. È tutto sulla carta, però poi c'è il problema di distribuire questa roba - e il personale Ata non è stato assunto: dai bidelli ai tecnici ne mancano 30.000 - e di dove metterla. Sindaci e presidenti di Provincia stanno diventando matti a cercare le aule e per di più senza soldi, così come i presidi a cui è stata ricordata l'autonomia scolastica. Ma solo quando fa comodo. Tant'è che la Uil Scuola con il segretario Pino Turi ha fatto forse il più azzeccato dei rilievi: «La scuola è come una casa che sta bruciando e il ministro anziché chiamare i vigili del fuoco sta chiamano gli arredatori». Ma al prossimo talk show Lucia Azzolina ci dice tutto.
In Svizzera vengono tolti i «pissoir». L’obiettivo dei progressisti è quello di creare dei bagni gender free nelle scuole pubbliche. Nella provincia autonoma di Bolzano, pubblicato un vademecum inclusivo: non si potrà più dire cuoco, ma solamente chef.
La mozione non poteva che arrivare dai Verdi, sempre meno occupati a difendere l’ambiente (e quest’ultimo ringrazia) e sempre più impegnati in battaglie superflue. Sono stati loro a proporre al comune svizzero di Burgdorf, nel Canton Berna, di eliminare gli orinatoi dalle scuole. Per questioni igieniche, ovviamente, anche se i bidelli hanno spiegato che questo tipo di servizi richiede minor manutenzione e lavoro di pulizia. Ma anche perché giudicati troppo «maschilisti». Quella porcellana appesa al muro, con quei ragazzi a gambe aperte per i propri bisogni, faceva davvero rabbrividire la sinistra svizzera. Secondo la rappresentante dei Verdi, Vicky Müller, i bagni senza orinatoi sarebbero più puliti, anche se un’indagine (sì il Comune svizzero ha fatto anche questo) diceva il contrario.
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L’episodio è avvenuto a Lucca: la donna alla guida del bus è stata malmenata da baby ubriachi: «Temo la vendetta di quelle belve».
Città sempre più in balia delle bande di stranieri. È la cronaca delle ultime ore a confermare quello che ormai è sotto gli occhi di tutti: non sono solamente le grandi metropoli a dover fare i conti con l’ondata di insicurezza provocata da maranza e soci. Il terrore causato dalle bande di giovanissimi delinquenti di origine straniera ormai è di casa anche nei centri medio-piccoli.
Quanto accaduto a Lucca ne è un esempio: due minorenni di origine straniera hanno aggredito la conducente di un autobus di linea di Autolinee toscane. I due malviventi sono sì naturalizzati italiani ma in passato erano già diventati tristemente noti per essere stati fermati come autori di un accoltellamento sempre nella città toscana. Mica male come spottone per la politica di accoglienza sfrenata propagandata a destra e a manca da certa sinistra.
Zohran Mamdani (Ansa)
Le battaglie ideologiche fondamentali per spostare i voti alle elezioni. Green e woke usati per arruolare i giovani, che puntano a vivere le loro esistenze in vacanza nelle metropoli. Ma il sistema non può reggere.
Uno degli aspetti più evidenti dell’instaurazione dei due mondi sta nella polarizzazione elettorale tra le metropoli e le aree suburbane, tra quelle che in Italia si definiscono «città» e «provincia». Questa riflessione è ben chiara agli specialisti da anni, rappresenta un fattore determinante per impostare ogni campagna elettorale almeno negli ultimi vent’anni, ed è indice di una divisione sociale, culturale ed antropologica realmente decisiva.
Il fatto che a New York abbia vinto le elezioni per la carica di sindaco un musulmano nato in Uganda, di origini iraniane, marxista dichiarato, che qualche mese fa ha fatto comizi nei quali auspicava il «superamento della proprietà privata» e sosteneva che la violenza in sé non esista ma sia sempre un «costrutto sociale», così come il genere sessuale, ha aperto un dibattito interno alla Sinistra.
Jean-Eudes Gannat
L’attivista francese Jean-Eudes Gannat: «È bastato documentare lo scempio della mia città, con gli afghani che chiedono l’elemosina. La polizia mi ha trattenuto, mia moglie è stata interrogata. Dietro la denuncia ci sono i servizi sociali. Il procuratore? Odia la destra».
Jean-Eudes Gannat è un attivista e giornalista francese piuttosto noto in patria. Nei giorni scorsi è stato fermato dalla polizia e tenuto per 48 ore in custodia. E per aver fatto che cosa? Per aver pubblicato un video su TikTok in cui filmava alcuni immigrati fuori da un supermercato della sua città.
«Quello che mi è successo è piuttosto sorprendente, direi persino incredibile», ci racconta. «Martedì sera ho fatto un video in cui passavo davanti a un gruppo di migranti afghani che si trovano nella città dove sono cresciuto. Sono lì da alcuni anni, e ogni sera, vestiti in abiti tradizionali, stanno per strada a chiedere l’elemosina; non si capisce bene cosa facciano.






