2023-05-07
La guerra tiepida Italia-Cina fa bene all’Ue
Giuseppe Conte e Zi Jinping (Imagoeconomica)
Lasciare la Via della seta non è semplice: il Dragone minaccia ritorsioni economiche. Si può però sostituire l’accordo con uno meno impegnativo. Utilizzando il paracadute americano e ottenendo dal G7 il sostegno per mitigare la rappresaglia commerciale. La questione del rinnovo o cancellazione dell’accordo tra Italia e Cina, firmato dal governo Conte 1 nel 2019, quando Roma accettò di partecipare al progetto Via della seta, in teoria sarebbe semplice: l’Italia non potrà né vorrà rinnovarlo e dovrà comunicarlo entro dicembre 2023. L’ipotesi del rinnovo è nulla: sarebbe in eccessiva divergenza con l’irrinunciabile presenza nel G7 nonché disallineata alla postura dell’Ue, addirittura più della Commissione che di alcuni Stati, che prescrive una minore dipendenza tendenziale dal mercato cinese e un blocco della penetrazione delle aziende di Pechino in Europa. Tuttavia non appare così semplice: la Cina sta minacciando Roma di ritorsioni economiche sia in modo esplicito, per esempio via ambasciata, e pesantemente via canali informali con il contributo di un partito filocinese in Italia più ampio di quanto finora pensato. Il governo sta certamente valutando con attenzione come cancellare l’accordo con la Cina e probabilmente sta valutando una lista di possibili mosse, così immaginabili pur non in possesso di informazioni precise. Prima: sostituire l’accordo Via della seta con uno meno impegnativo politicamente, per esempio un accordo di consultazione commerciale per i settori/materiali non strategici, lasciando del tempo alla diplomazia riservata per strutturarlo. Seconda: ottenere dal G7 un forte sostegno all’Italia sia per bilanciare l’eventuale guerra economica bilaterale della Cina contro l’Italia sia per mitigarla. I tempi per scegliere sono stretti: meno di un mese. Perché Roma dovrà chiarire la propria posizione nel prossimo vertice G7 di Hiroshima, considerando che nel 2024 presiederà il G7 stesso, e che, dopo tale evento, ci sarà il bilaterale Italia-Usa.Il contesto. L’Amministrazione Biden sta segnalando che vuole evitare un muro contro muro con la Cina, e salvare i flussi commerciali globali, come sottolineato recentemente da Janet Yellen, ministro del Tesoro. Ma anche ribadisce la politica di negazione alla Cina dell’accesso a tecnologie di superiorità, di contenimento militare nel Pacifico, di contrasto alla sua influenza nel globo e di bonifica della presenza di aziende cinesi in territorio americano a meno che non siano totalmente trasparenti (le imprese di Pechino, soprattutto, quelle internazionalizzate, hanno tutte un commissario politico che risponde al Partito comunista). E questa, denominata strategia delle tre «C» (contenimento, competizione e cooperazione selettiva) è la posizione sostanziale del G7 pur con diverse enfasi: più spazio alla cooperazione per Germania e Francia, e meno da parte di Giappone e Stati Uniti, Regno Unito e Canada allineati a questi. Va poi considerato che l’Ue non confermerà la bozza di trattato siglata a fine 2020 con la Cina in materia di investimenti comuni: Ursula von der Leyen ha detto chiaramente a Xi Jinping che tale bozza di trattato dovrà essere profondamente revisionata, cosa che in diplomatichese significa che quell’accordo è morto senza negare la possibilità di altri di valore politico minore. Va aggiunto che l’Italia ha siglato con Giappone, Regno Unito e India (avversaria nucleare a ridosso della Cina, pur non allineata) dei partenariati strategici con chiara impostazione anticinese e sta studiando legami più stretti con Taiwan. In tale contesto l’Italia, appunto, deve declassare la propria relazione con la Cina, ma può tenerla aperta definendo relazioni non strategiche con Pechino che mantengano i flussi commerciali, pur riducendo tendenzialmente la dipendenza dal mercato cinese: l’Italia agirebbe come i suoi alleati, sarebbe parte di una «guerra tiepida», come lo è già nei fatti, che però non impedirebbe alla Cina di sopravvivere (entro limiti più ristretti). Se Pechino fosse pragmatica, accetterebbe relazioni degradate, ma non interrotte e ciò renderebbe razionale la prima opzione detta sopra. Ma i segnali correnti molto minacciosi mostrano che Pechino non voglia esserlo per questo caso. Punì l’Australia con una guerra economica dopo che perse le speranze di reclutarla. Punì la Lituania e scatenò dissuasioni riservate contro le nazioni che meditavano di riconoscere Taiwan. Pechino, in sintesi, pensa che l’Italia sia il ventre molle del G7 ed è incline a punirla per dissuadere altri, in particolare Francia e Germania, in una strategia che ancora ha speranza di staccare Ue ed Usa. Parigi e Berlino, infatti, senza siglare accordi divergenti dal G7 - diversamente dall’Italia nel 2019 - mantengono relazioni forti con la Cina, ma l’America le costringerà ad indebolirle. Quindi Pechino minaccia l’Italia perché la ritiene più debole e perché pensa che Berlino e Parigi non saranno sostanzialmente solidali con l’Italia se subirà ritorsioni economiche. Su questo punto l’analisi dell’ufficio strategico cinese ha ragione. Inoltre la Cina è riuscita a penetrare molto l’Italia con una strategia raffinata, reclutando affiliati non con denaro diretto - come Russia, Francia ed altri - ma offrendo vantaggi indiretti non facilmente rilevabili. E può contare su alcuni elementi influenti in Vaticano e dintorni. Pertanto ritiene che la minaccia possa essere condizionante. Se così, allora la seconda opzione detta sopra è quella più razionale per Roma: sostituire più rapidamente i mercati di sbocco e di importazione allo scopo di ridurre la dipendenza da quello cinese (che non è molta, ma tocca settori importanti italiani) come è peraltro in atto, siglare un partenariato strategico più profondo con gli Stati Uniti, approfondire le relazioni con Taiwan come precursori di un riconoscimento della «vera Cina democratica», inviare una squadra navale permanente nell’Indo-Pacifico, proporre l’allargamento del G7 all’Australia, ecc. Siamo piccoli, ma rilevanti e puntuti in un’alleanza molto più grande della Cina. www.carlopelanda.com
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