
Gabriele Mini, il generale che comandò il Kfor: «Il conflitto globale è inevitabile. Ora la più pericolosa è la zona grigia: hacker della rete e dei satelliti».Generale Mini, perché continua a sostenere nei suoi libri che la guerra globale è inevitabile, che non saranno sufficienti quelle locali, come quelle di questi anni, e che dobbiamo prepararci a questo catastrofico evento? Il generale Fabio Mini sorride e con decisione risponde: «Perché non vedo alternative. Come ho scritto nel mio ultimo libro, Che guerra sarà edito da Il Mulino, non scoppierà certo domani la quarta guerra mondiale, se consideriamo la terza già avvenuta».Fabio Mini è un generale di corpo d'armata, è stato capo di Stato maggiore del comando Nato per il Sud Europa, ha guidato il comando interforze delle operazioni nei Balcani e successivamente è stato comandante della forza internazionale di pace a guida Nato in Kosovo (Kfor). E quale sarebbe la terza guerra? «Quella fatta da centinaia di conflitti, dopo la seconda guerra mondiale, sino ad oggi. Vogliamo ricordare quella di Corea, non ancora conclusa - 2 milioni di morti -, quella in Afghanistan con quasi altrettante vittime, quelle in Iraq, in Siria, in corso, il conflitto permanente tra Turchia e curdi, i conflitti africani, in Europa, dall'ex Jugoslavia sino all'Ucrania, Israele-Palestina-Paesi arabi, Somalia, Yemen, Kashmir, Libia, Etiopia-Eritrea, Iran-Iraq, Myanmar, eccetera. La terza guerra mondiale dunque c'è già stata, come ha affermato di recente anche papa Francesco, con milioni di morti». Poi c'è la guerra al terrorismo, tutt'ora in corso.«Quella è nata con le cosiddette rivoluzioni arabe, volute dagli Stati Uniti per esportare la democrazia di stampo occidentale. L'Isis è stato inventato in Occidente con la complicità di diversi servizi segreti. Gli americani volevano rovesciare tutti i regimi arabi totalitari, con l'appoggio di Francia e Gran Bretagna. Ma quelle cosiddette “primavere" si sono tradotte in un boomerang. I regimi forti sono tornati in forme diverse, come si vede in Egitto, in Libia, in Tunisia ed ora c'è il rischio che anche l'Algeria precipiti nel caos, con una guerra civile, che vede impegnati i fondamentalisti islamici, amici dell'Isis e dei Fratelli musulmani». Ma gli americani finanziano da molti anni l'esercito egiziano? «Certo, anche se non più come prima. L'Italia svolgeva un tempo un lavoro di intermediazione preziosa tra l'Egitto e gli Usa, perché gli americani non erano ben visti al Cairo. Poi le cose sono cambiate, come sappiamo, grazie all'intenso lavoro dei servizi segreti e della diplomazia».Anche in Libia? «Senza dubbio. Gheddafi è stato vittima di un complotto di Usa, Francia e Gran Bretagna. Gheddafi, il dittatore arabo che più degli altri riusciva a controllare i capi tribù di quel paese aveva accumulato una ricchezza personale di oltre 200 milioni di dollari, che ora sia Tripoli che Bengasi vorrebbero indietro perché la considerano, giustamente, patrimonio nazionale».Chi ha voluto veramente i bombardamenti in Libia? «I francesi, innanzitutto, e poi agli altri Paesi che ho menzionato. La scintilla è scoccata all'indomani dell'accordo di Gheddafi con l'Eni, che riconobbe allo Stato libico un incremento del prezzo del gas metano nella misura del 30%. Francesi, inglesi e americani temettero una identica richiesta di aumento del prezzo. A quel punto si misero in moto i servizi segreti e i presidenti della Francia e del Regno Unito fecero di tutto per ottenere l'appoggio della Nato e degli Usa, mentre l'Italia nicchiava».Come finirà? «L'ipotesi più probabile è la creazione di una confederazione libica. Sembrano ora disponibili il premier libico Fayez Al Serray e l'uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar. Ma non sarà facile, anche perché Tripoli, Bengasi e tutte le tribù - e sono tante -, non ancora schierate da una parte e dall'altra, subiscono la forte influenza di Italia, Francia, Regno Unito, Usa e anche della Russia. C'è ancora da dire che la Nazioni Unite hanno imposto il governo di Al Serray, ma senza dare garanzie reali sui sostegni finanziari che avrebbe dovuto ricevere. Ed è anche per questa ragione che il governo promette ordine, ma in pratica utilizza la leva dell'emigrazione per ottenere un maggiore consenso internazionale».Secondo lei saremmo vicini dunque al quarto conflitto globale? «Sono convinto di sì, ma avremo ancora altre guerre locali e saranno micidiali. Ma abbiamo altre due guerre, di cui non si parla mai, in corso da tempo, oltre a quella contro il terrorismo islamico che, per fortuna, sembra spegnersi lentamente».Quali sarebbero queste altre due guerre, diverse da quelle da lei definite nel suo ultimo libro «zona grigia», «guerra ambigua», «guerra irregolare», «guerra ibrida», «convenzionale limitata», «guerra di teatro», guerre nazionali, nucleare…«Ad esempio, quella del cyberspazio è una sorta di conflitto invisibile. Si pensa sbagliando che si tratti di uno spazio virtuale e quindi la sua eventuale violazione non avrebbe alcuna conseguenza per l'uomo. In realtà, abbiamo a che fare con beni comuni la cui proprietà di tutta l'umanità viene messa in discussione. Tale spazio è legato a tre diversi tipi di intervento: quello fisico, quello logico e quello sociale. In termini militari la cyberminaccia comprende forze regolari e irregolari. Tali forze agiscono con corporazioni transnazionali, organizzazioni criminali, terroristiche, associazioni di hacker. In altre parole, viene manipolata la rete, la cui forza non sta nella sua impenetrabilità ma proprio nella capacità di essere accessibile e utilizzabile per fini non di pubblico servizio. Vi è, com'è noto, una parte di “rete oscura", cioè sommersa, che contiene il 99 per cento dei documenti e delle informazioni esistenti, la rete aperta ne mostra appena l'1%. Non è ancora nota quanta cyberguerra si stia combattendo in tale dimensione, da parte di vari organi, anche statali. La materia è molto complessa e riservata; forse è anche per questo che se ne parla poco».Lei ha accennato anche a un'altra guerra «Anche questa è una guerra silenziosa tra Stati e multinazionali private che cercano di sfruttare risorse naturali che, secondo il diritto internazionale, sono di proprietà di tutta la comunità mondiale. Eppure le grandi corporazioni, imprese multinazionali , autorizzate dell'Onu, estraggono dal fondo degli oceani grandi quantità di noduli di ferro e manganese, estraggono anche greggio petrolifero con modernissime attrezzature robotizzate. Anche dai ghiacciai che si scongelano si vanno trovando immense riserve di metano. Ovviamente Stati Uniti, Cina, Russia, ma anche Francia e Gran Bretagna, si contendono queste risorse naturali dal valore incalcolabile. Giustamente vi sono esperti che definiscono tutto questo “monetizzazione della natura"». Le Nazioni Unite appaiono molto deboli, quasi sempre passive in questo campo, ma anche in altri. Ad esempio, lo abbiamo visto in occasione di guerre locali, del fenomeno delle migrazioni, che coinvolge numerosi Stati. Nel 2015, su circa 60 milioni di migranti un terzo fuggiva dalle guerre…«Da decenni si parla di ristrutturazione dell'organizzazione dell'Onu, anzi ora non se ne discute più. Il Consiglio di sicurezza è ancora occupato dai rappresentanti dei Paesi vincitori della seconda guerra mondiale e da altri che neppure hanno partecipato al conflitto, come la Cina. Del resto questa situazione di stallo fa comodo agli Usa, alla Russia e alla Cina. L'Europa, rimane sempre divisa e debole». Anche la Nato si dice da tempo che dovrebbe essere ristrutturata…«Non sono gli europei che lo vogliono, ma Donald Trump che la sollecita nel quadro della ricerca di un nuovo ordine mondiale e poi per ragioni economiche. Il presidente americano si muove in due direzioni: da una parte taglia le spese militari, riducendo i conflitti dove sono presenti forze militari Usa perché le pensioni di guerra e le spese per i caduti sono sempre in crescita. La politica dei tagli certo non piace al potente complesso industriale -militare americano, che sostiene sempre il partito dei falchi. La seconda direzione riguarda proprio la Nato, che viene spronata a incrementare i finanziamenti per i costi della macchina militare. Trump vuole che gli europei contribuiscano al finanziamento di questa organizzazione in misura maggiore. L'Italia, ma anche la Germania, devono investire sino al 2% del Pil. E questi Paesi, come gli altri, si sono espressi per il no, non ce la fanno. Ma le spese militari sono insostenibili anche per gli americani. La Casa Bianca è oberata dai debiti e Trump ha programmato di tagliare il bilancio della Difesa di 350 miliardi nei prossimi dieci anni. E potrebbe arrivare anche a 500 miliardi: un taglio medio di 35-50 miliardi, contro gli attuali 700 di spesa all'anno. Ovviamente il sistema industriale e le lobby militari faranno di tutto per impedire il forte ridimensionamento della spesa». Per quanto riguarda l'Europa forse la soluzione potrebbe essere la creazione di un esercito continentale. L'asse francotedesco si inquadra in questa prospettiva? «Penso che questo debba essere l'obiettivo. Un esercito europeo ci costerebbe meno e ci aiuterebbe a diventare europei, anche in questo campo: la disciplina militare aiuta a superare i nazionalismi. Il principio è di non far prevalere mai un Paese sugli altri e dovrebbe essere nominato anche un ministro della Difesa europeo». La guerra del futuro dunque sarà altamente tecnologizzata, ma anche costosa e complessa? «Non vi è alcun dubbio che diventerà ancora più costosa di quella di oggi. Nel 2050, per fissare un riferimento di temporale, avremo guerre con sistemi tecnologici molto sofisticati, ma gli esperti confermano che gli umani opereranno insieme alle reti di robot, a quelle di energia. Purtroppo, però, i massacri di esseri umani, le vittime, i feriti, anche della popolazione civile, si ripeteranno. Tuttavia quelle guerre, anche se non più come quelle convenzionali, saranno sempre meglio della guerra nucleare, che lascia poche speranze di sopravvivenza». Ci sono studi, in ambito militare, che danno qualche cifra sulla sopravvivenza in caso di guerra nucleare? «Poche, per la verità. Alla fine degli anni Settata, l'Ufficio per la tecnologia del Congresso americano pubblicò un rapporto sulle conseguenze di un'eventuale guerra nucleare globale. In questa prospettiva si perderebbe il 70 per cento della popolazione degli Stati Uniti. Allargando al pianeta le conseguenze di una catastrofe nucleare, la popolazione mondiale si ridurrebbe a due miliardi (la stessa del 1945), con un mondo ridotto a macerie, senza alcuna garanzia di sopravvivenza reale».
Federica Picchi (Ansa)
Il sottosegretario di Fratelli d’Italia è stato sfiduciato per aver condiviso un post della Casa Bianca sull’eccesso di vaccinazioni nei bimbi. Più che la reazione dei compagni, stupiscono i 20 voti a favore tra azzurri e leghisti.
Al Pirellone martedì pomeriggio è andata in scena una vergognosa farsa. Per aver condiviso a settembre, nelle storie di Instagram (che dopo 24 ore spariscono), un video della Casa Bianca di pochi minuti, è stata sfiduciata la sottosegretaria allo Sport Federica Picchi, in quota Fratelli d’Italia. A far sobbalzare lorsignori consiglieri non è stato il proclama terroristico di un lupo solitario o una sequela di insulti al governo della Lombardia, bensì una riflessione del presidente americano Donald Trump sull’eccessiva somministrazione di vaccini ai bambini piccoli. Nessuno, peraltro, ha visto quel video ripostato da Picchi, come hanno confermato gli stessi eletti al Pirellone, eppure è stata montata ad arte la storia grottesca di un Consiglio regionale vilipeso e infangato.
Jannik Sinner (Ansa)
Alle Atp Finals di Torino, in programma dal 9 al 16 novembre, il campione in carica Jannik Sinner trova Zverev, Shelton e uno tra Musetti e Auger-Aliassime. Nel gruppo opposto Alcaraz e Djokovic: il duello per il numero 1 mondiale passa dall'Inalpi Arena.
Il 24enne di Sesto Pusteria, campione in carica e in corsa per chiudere l’anno da numero 1 al mondo, è stato inserito nel gruppo Bjorn Borg insieme ad Alexander Zverev, Ben Shelton e uno tra Felix Auger-Aliassime e Lorenzo Musetti. Il toscano, infatti, saprà soltanto dopo l’Atp 250 di Atene - in corso in questi giorni in Grecia - se riuscirà a strappare l’ultimo pass utile per entrare nel tabellone principale o se resterà la prima riserva.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Negli anni Dieci del secolo XX il fisiologo triestino Amedeo Herlitzka sperimentò a Torino le prime apparecchiature per l'addestramento dei piloti, simulando da terra le condizioni del volo.
L'articolo contiene una gallery fotografica.
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
Continua a leggereRiduci
Stadio di San Siro (Imagoeconomica)
Ieri il Meazza è diventato, per 197 milioni, ufficialmente di proprietà di Milan e Inter. Una compravendita sulla quale i pm ipotizzano una turbativa d’asta: nel mirino c’è il bando, contestato da un potenziale acquirente per le tempistiche troppo strette.
Azione-reazione, come il martelletto sul ginocchio. Il riflesso rotuleo della Procura di Milano indica un’ottima salute del sistema nervoso, sembra quello di Jannik Sinner. Erano trascorsi pochi minuti dalla firma del rogito con il quale lo stadio di San Siro è passato dal Comune ai club Inter e Milan che dal quarto piano del tribunale è ufficialmente partita un’inchiesta per turbativa d’asta. Se le Montblanc di Paolo Scaroni e Beppe Marotta fossero state scariche, il siluro giudiziario sarebbe arrivato anche prima delle firme, quindi prima dell’ipotetica fattispecie di reato. Il rito ambrosiano funziona così.











