2020-01-17
La Gregoretti è uguale alla Diciotti. Lo dice pure il tribunale dei ministri
Stando a logiche strettamente giuridiche, la richiesta di autorizzazione a procedere contro il capo del Carroccio non ha senso. E, a ben vedere, lo ammettono gli stessi magistrati di Catania.Se la logica in genere e la logica giuridica in particolare avessero un qualche diritto di cittadinanza anche nel mondo della politica, Matteo Salvini non dovrebbe avere alcun motivo di essere preoccupato (ammesso che lo sia) circa l'esito della richiesta di autorizzazione a procedere contro di lui per il reato di sequestro di persona avanzata dal tribunale dei ministri di Catania in relazione al caso della nave Gregoretti.Dovrebbe infatti presumersi che allorché il Senato ebbe a respingere l'analoga richiesta di autorizzazione a procedere a suo tempo avanzata dallo stesso tribunale in relazione al caso della nave Diciotti lo abbia fatto riconoscendo la sussistenza delle condizioni previste dall'articolo 9 della legge costituzionale n.1/1989 sui reati ministeriali, nel quale si stabilisce che l'autorizzazione a procedere può essere negata ove la Camera di appartenenza del ministro «reputi, con valutazione insindacabile, che l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio delle funzioni di governo». E il caso Gregoretti è del tutto sovrapponibile al Diciotti negli elementi essenziali, vale a dire: il titolo del reato, che è quello di sequestro di persona aggravato; la condotta addebitata al ministro, consistita nell'aver rifiutato per un tempo più o meno lungo lo sbarco dei «migranti» in un porto italiano; la finalità perseguita, che è stata quella di impedire, nell'interesse nazionale, l'indiscriminato afflusso in Italia di tutti i «migrant» raccolti nel corso di operazioni di soccorso in mare. Non si vede, quindi, quale giustificazione logica e giuridica potrebbe avere il rilascio dell'autorizzazione a procedere per il caso Gregoretti dopo averlo negato per il caso Diciotti. Di ciò mostrano di essere ben consapevoli quanti, soprattutto dalla parte politica che a suo tempo ha sostenuto il diniego, si sono affannati, per dare ragione del loro attuale cambiamento di indirizzo, a cercare un qualche decisivo elemento differenziale tra il nuovo caso e quello che lo aveva preceduto; elemento che vogliono far credere di aver quindi individuato nel fatto che nel caso della Gregoretti Salvini avrebbe agito di sua esclusiva iniziativa senza coinvolgere il presidente del consiglio e altri ministri, come invece era avvenuto nel caso della Diciotti. Si tratta, com'è noto, di un elemento fortemente contestato nella ampia e documentata memoria che Salvini ha presentato alla giunta per le autorizzazioni a procedere. Ma esso, quand'anche fosse rispondente alla realtà dei fatti, non sarebbe comunque tale da poter legittimamente assumere il benché minimo rilievo ai fini della esclusione della totale equiparabilità, sotto il profilo puramente giuridico, delle due vicende in discorso. Anche nel caso della Gregoretti, infatti, come in quello della Diciotti, la richiesta di autorizzazione a procedere riguarda il solo Salvini. La circostanza che quest'ultimo, nell'esercizio delle sue funzioni di ministro, abbia agito di sua esclusiva iniziativa o invece con il consenso, esplicito o implicito, del presidente del Consiglio e di altri ministri è quindi del tutto indifferente ai fini della riconoscibilità del fatto che il reato a lui addebitato sia stato commesso nell'interesse dello Stato, non risultando comunque messo in dubbio che il perseguimento di quell'interesse rientrasse nell'ambito delle sue competenze. Queste, anzi, è da ritenere fossero aumentate, a seguito dell'entrata in vigore del cosiddetto decreto Sicurezza bis. D'altra parte, lo stesso tribunale dei ministri di Catania, pur avendo tutto l'interesse a mettere in luce ogni possibile differenza tra il caso Gregoretti e il al caso Diciotti, non fa il benché minimo cenno, nella richiesta di autorizzazione a procedere attualmente all'esame della giunta senatoriale, al suddetto elemento, ma ne individua piuttosto altri, e cioè: in primo luogo, il fatto che la nave Gregoretti non era attrezzata, diversamente dalla Diciotti, al soccorso in mare, per cui le condizioni igienico - sanitarie dei migranti ospitati a bordo, alcuni dei quali risultati affetti da scabbia, erano tali da costituire per loro causa di particolare sofferenza; in secondo luogo, il fatto che nel caso Gregoretti la responsabilità dell'operazione di soccorso era stata assunta fin dall'inizio dall'Italia, mentre nel caso della Diciotti vi era stato un palleggio di responsabilità tra l'Italia e Malta. Anche questi elementi, però, appaiono chiaramente del tutto irrilevanti ai fini di una sostanziale diversificazione tra l'uno e l'altro caso. Essi, infatti, lasciano totalmente immutati quelli di carattere essenziale comuni ad entrambi i casi e costituiti, come si è già detto, dal titolo del reato, dalla condotta addebitata e dalla finalità perseguita. A quest'ultimo proposito (che è poi quello decisivo) vi è anzi da notare che proprio dalla richiesta dell'autorizzazione a procedere per il caso Gregoretti emerge inequivocabilmente che anche secondo il tribunale dei ministri la finalità perseguita in entrambi i casi è stata sempre la stessa. Si legge, infatti, in detta richiesta, che «l'unica vera ragione che ha indotto il sen. Salvini, nella sua qualità di ministro dell'Interno, a non autorizzare tempestivamente lo sbarco è da rinvenire, anche in questo caso, nella sua “decisione politica" di attendere la manifestazione di disponibilità da parte di altri Stati alla distribuzione dei migranti». In buona sostanza, quindi, è lo stesso tribunale dei ministri, con questa affermazione, a riconoscere (forse senza neppure rendersene conto) che il reato attribuito a Salvini, se veramente è tale, è stato commesso nel perseguimento di un prevalente interesse dello Stato. Non può esservi, infatti, dubbio alcuno che tale sia quello di ottenere la previa disponibilità di altri Stati europei, secondo gli impegni di massima da essi più volte assunti per bocca di loro qualificati esponenti politici, ad accettare in tutto o in parte la redistribuzione dei migranti accolti su suolo italiano. E si tratta dello stesso identico interesse che deve quindi presumersi sia stato già riconosciuto dal Senato allorché ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere relativa al caso Diciotti. Analoga dovrebbe essere quindi, per coerenza, la decisione sulla nuova richiesta. Ma si sa bene che la coerenza, in politica, è merce assai rara; ed è grazie a ciò che Salvini potrà presumibilmente ottenere dai suoi nemici il grosso favore politico di potersi presentarsi al popolo italiano, non senza ragione, come vittima predestinata di una ingiustificata persecuzione giudiziaria.