2022-10-01
Aiuti dall’Ue, finita la farsa
Olaf Scholz (Sean Gallup/Getty Images)
Se non vanno bene alla Germania le regole sono carta straccia. I tedeschi, con i soldi accumulati violando il surplus commerciale, inondano di liquidità le loro aziende. Che faranno concorrenza sleale alle nostre. Mentre Olanda e Norvegia si arricchiscono col gas.Dopo il maxi-assegno da 200 miliardi di euro staccato dalla Germania per fermare i rincari delle bollette, ci sarà ancora qualcuno disposto a sostenere che l’Europa è unita e deve parlare una sola lingua, ovvero quella della burocrazia di Bruxelles? Probabilmente no, perché la decisione di Olaf Scholz di mettere mano al portafogli per difendere l’industria e le famiglie tedesche dal caro energia manda in frantumi vent’anni di tentativi di uniformare, sotto l’ombrello dell’euro, gli interessi di tutti i Paesi della Ue. A lungo l’Europa è stata un’entità a trazione tedesca, con Berlino a spiegare che le regole dovevano valere per tutti e che l’unione fa la forza. Ma ora che la Germania è in difficoltà a causa dell’alto costo del gas e della crisi economica che bussa alle porte, all’improvviso i parametri di Maastricht non contano più e insieme a quelli ci si può fare un baffo di tutte le concertazioni europee, da quelle che riguardano misure economiche alle altre che hanno per argomento la politica estera del vecchio continente. Chi se ne infischia se fino a ieri ogni decisione doveva passare da un consesso che riuniva tutti i Paesi membri e, nel caso non si fosse raggiunta l’unanimità, nessuna decisione poteva essere presa a maggioranza? E che importa se non tutti sono d’accordo o pongono il veto, perché Berlino quando vuole fa da sé e fa per tre. Era già accaduto in passato che i tedeschi schifassero le regole che devono valere per tutti gli altri. Da almeno vent’anni, infatti, la Germania vìola le norme che impongono agli Stati membri di superare una certa soglia del surplus commerciale, in quanto questo va spesso a danno di altri Paesi della Ue. Quanto poi alle norme sulla concorrenza, che impedivano aiuti di Stato, il governo federale ha sempre trovato la scappatoia, salvando banche e imprese in barba alle direttive europee che li impediscono e che a noi sono costate il fallimento di numerosi istituti di credito e di imprese. Ma con la guerra in Ucraina, la necessità di stringere i ranghi e condividere strategie politico-economiche per fare fronte comune contro le ambizioni di Vladimir Putin pareva assodata, anche perché con il rincaro del prezzo del gas e la riduzione delle forniture siamo nella stessa barca. E invece no. Come al solito, i tedeschi vanno per i fatti loro e i francesi pure, ugualmente peraltro al resto d’Europa, con il rischio che a rimanere con il cerino in mano, anzi senza neppure quello perché non c’è gas per tenere accesa la fiammella, siamo ancora una volta noi e qualche altro Paese dell’area mediterranea. La decisione della Germania è così sopra le righe e così poco in linea con il sentimento europeo che perfino un sempre compassato Mario Draghi, già con la valigia in mano e dunque poco interessato a quel che gli succede intorno, ha perso le staffe e criticato pesantemente la misura presa da Scholz. Ovvio: mettendo sul tavolo 200 miliardi, il cancelliere tedesco alleggerisce il peso delle bollette sul già magro bilancio delle famiglie tedesche, ma allo stesso tempo manda a quel Paese qualsiasi idea di calmierare il prezzo del gas con un’iniziativa europea. Altro che price cap, come continuano a ripetere a Bruxelles mentre le settimane e le bollette passano. Se la Germania fa da sé, il resto dell’Unione è in brache di tela, perché viene meno uno dei partner più importanti. Non solo, con le imprese tedesche che vedranno abbassarsi il costo dell’energia grazie ai soldi messi a disposizione dal governo, le aziende italiane con il prezzo del gas e della luce alle stelle dovranno fare i conti sui mercati esteri. In pratica, quella tedesca sarà una concorrenza sleale, possibile solo grazie agli aiuti di Stato. Dunque, non solo va in pezzi il fronte europeo che si contrappone a Putin, ma ci ritroviamo in casa, cioè all’interno della Ue, chi grazie al contributo statale potrà praticare migliori condizioni. Insomma, cornuti e mazziati e per di più da un Paese che si dice amico e solidale e che fino a ieri ci chiedeva di condividere le nostre scorte di gas. Si dirà: i tedeschi hanno i soldi e noi i debiti. Vero, ma quei soldi se li sono fatti con il surplus commerciale a scapito nostro e oggi dovremmo pure essere contenti se ci fregano i clienti? Già che ci sono spendo altre due parole al riguardo di due presunti alleati. Il primo di cui voglio occuparmi è l’Olanda, che a parole è più falco dei falchi, ma solo in difesa degli interessi suoi. Infatti, a un tetto al prezzo del gas che abbasserebbe i suoi guadagni alla borsa di Amsterdam, dove si negoziano le forniture, non ci pensa nemmeno. Paese alleato, ma quando lo si tocca nel portafoglio soprattutto nemico. E che dire della Norvegia, che non fa parte della Ue ma della Nato? Ha poco più di 5 milioni di abitanti, ma essendo esportatore di gas, la guerra in Ucraina si sta rivelando una gallina dalle uova d’oro per il Paese. Quest’anno consentirà al fondo sovrano di Oslo, che presto sarà guidato dal segretario della Nato, Jens Stoltenberg, un risultato record che potrebbe sfiorare gli 80 miliardi. In altre parole, sulla pelle degli ucraini e su quella dei cittadini di Paesi amici, come l’Italia, costoro si fanno gli affari loro. E l’Europa? Non pervenuta: ieri, con la mossa della Germania, è definitivamente tramontato il prezzo del gas e lo schema a tre punte della Ue è rimasto spuntato. La strategia per far fronte ai rincari delle bollette, infatti, si riduce a due misure: più tasse per le aziende del settore (con il rischio di affossarle) e caloriferi più bassi sperando che l’inverno sia mite. In sintesi, la soluzione di Ursula von der Leyen è accendere un cero alla Madonna.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)