2024-12-19
        La Francia e i militari in apprensione per il carro di Leonardo-Rheinmetal
    
 
La scorsa settimana il Senato francese ha depositato la relazione di Bilancio. Al di là dei problemi politici e dei conseguenti impatti sull’esercizio provvisorio, è balzato agli occhi degli analisti della Difesa un paragrafo dedicato alla partneship italo tedesca (tra Leonardo e Rheinmetall) sul carro Panther. I senatori puntano il dito su tre aspetti. Il primo ammette candidamente che l’accordo siglato lo scorso luglio tra l’Italia e la Germania metterà in difficoltà il programma del carro europeo che dovrebbe andare sotto il nome di Mgcs (Main ground combact system). Il secondo che se eventualmente il progetto franco tedesco dovesse procedere non sembra essere una priorità per i costruttori tedeschi Rheinmetall e Knds Deutschland, visti i tempi numerosi ordini per i carri armati Leopard II. Terzo, persino innovazione francese collegata al progetto Ascalon che costituisce un importante contributo al progetto Mgcs, essa sembra esclusa da qualsiasi prospettiva di commercializzazione per preservare la leadership di Rheinmetall e Knds Deutschland, il che mette in discussione l’interesse stesso della creazione di Knds e, a fortiori, di continuare il programma Mgcs. È chiaro che c’è da aspettarsi un attacco francese in vista del prossimo anno. Un attaco che può rivolgersi ai tedeschi o persino a noi italiani. Altri analisti a seguito della relazione della Dga francese si sono soffermati sui punti deboli del carro italo-tedesco per il quale va detto l’Italia ha fatto una inversione a U. Fino a prima dell’estate era in vigore un accordo quadro tra Leonardo e Kdns. L’alleanza strutturale avrebbe previsto l’acquisizione di Oto Melara, Bu di Leonardo e l’ingresso dell’azienda guidata da Roberto Cingolani nella compagine di Knds. Lo scorso febbraio il progetto viene finanziato con 4 miliardi; la metà del fabbisogno. Ad aprile Francia e Germania concordano di proseguire con Mgcs. A maggio Leonardo si allea con Rheinmetall avviando una joint venture finalizzata a 60 carri (con un massimo di 130) con parti prodotte in Germania e assemblate in Italia. Gli analisti osservano che la joint venture non può essere paragonata a un progetto europeo e che se quest’ultimo partisse veramente ci troveremmo in un possibile cul de sac. L’alert riceve eco tra alcuni esponenti delle nostre forze armate a livello di Stato Maggiore. Lo sviluppo finale di un nuovo carro solitamente prevede circa dieci anni di sviluppo. Cingolani nel presentare, in sede di conferenza stampa, il nuovo carro ha parlato di due anni. I militari sono un po’ in apprensione sulle tempistiche. Anche perché l’Esercito da tempo sottolinea il sotto finanziamento rispetto ad altre forze armate. Meno di due settimane fa il sotto capo di Sme, Salvatore Camporeale, in visita alla scuola di Cavalleria sottolineava come l’ammodernamento del progetto Ariete sia «l’impresa più urgente da finalizzare, in attesa del nuovo Main battle tank». Insomma, la partita si fa calda spinta dai tempi stretti e dai possibili sgambetti francesi.
        Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
    
        La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
    
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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