2019-05-06
La fine triste e solitaria di Napoleone portato a Sant’Elena con un inganno
Joseph Fouché gli promise un salvacondotto per lasciare la Francia, ma lo tradì vendendolo agli inglesi. Il Corso si imbarcò credendo di trovare ospitalità in Gran Bretagna, invece fu catturato come prigioniero di guerra.«Addio, Francia! Addio, terra di valorosi, io ti saluto!». Queste parole vengono gridate con voce commossa da un uomo che guarda la costa dalla tolda di una nave e agita un bicorno in segno di addio. È Napoleone Bonaparte, antico imperatore dei francesi ed ex padrone dell'Europa, ora prigioniero degli alleati e destinato alla deportazione a Sant'Elena.Sono trascorse poche settimane dalla sconfitta di Waterloo, pochi mesi dall'inizio dei Cento giorni, ma stavolta la sua parabola si è avviata alla conclusione. Colui che «cadde» e «risorse« - per usare le parole di Alessandro Manzoni - non può più aspettarsi alcuna rinascita. Il suo tempo è finito; siamo quasi al «giacque». Chissà che, sotto un certo profilo, egli non si senta sollevato. La resa, per quel guerriero, potrebbe paradossalmente essere una tentazione, un sollievo, una exit strategy.I giorni successivi a Waterloo sono stati scanditi dalla stanchezza, dai tradimenti e dalle disillusioni. L'imperatore si è trovato immerso in quella solitudine avvolgente, impalpabile e gelida come nebbia invernale, che tocca in sorte ai vinti. Basti pensare che una delle persone più felici della sua sconfitta è stata la moglie Maria Luisa. Costei ha bollato come «inutili chiacchiere» le manovre per portare il figlio sul trono e si è disinteressata della sorte dello sposo. Perché gli altri dovrebbero comportarsi meglio?La dêbacle ha messo la parola «fine» all'utopia del ritorno. I vinti, si sa, hanno sempre torto e persino Joseph Fouché potrà giustificare il proprio inqualificabile comportamento dicendo: «Non ho tradito io Napoleone, ma Waterloo». Le cose non stanno proprio così. Bonaparte, è vero, ha avanzato richieste inammissibili, come quella di essere nominato temporaneamente dalle Camere dittatore «per salvare la patria». L'ipotesi è stata bocciata; i deputati hanno fatto sapere che verrà deposto, se non si deciderà ad abdicare.Tuttavia, le Camere non hanno grande desiderio di veder tornare per la seconda volta Luigi XVIII, per cui hanno accettato di eleggere il piccolo Napoleone II «imperatore dei francesi». A quel punto, Fouché è subdolamente intervenuto: in qualità di presidente del governo provvisorio, è lui a distribuire le carte. E così ha finto di assecondare la designazione dell'Aiglon, dando ordine di coniare delle monete con il suo volto e titolo; però nella sostanza ha solo cercato di prender tempo, nell'attesa degli alleati. Inoltre, ha promesso al Corso un salvacondotto, gli ha assicurato che lo avrebbe lasciato partire per l'America su una delle fregate che lo attendono a Rochefort. Non gli ha detto, tuttavia, che ad aspettarlo ci sono anche le navi inglesi, decise a non lasciarsi sfuggire l'illustre nemico. Intenzionato a vendere il suo padrone alla Gran Bretagna, l'ex ministro della Polizia ha aspettato l'arrivo degli eserciti nemici, che sono giunti alle porte di Parigi il 7 luglio. Poco dopo, comparirà anche il Borbone, che risalirà sul trono grazie alla complicità dello stesso Fouché e di Talleyrand. «Il vizio al braccio del crimine», secondo Chateaubriand.In tutto questo intrigare, Napoleone è arrivato a Rochefort, dove ci sono le fregate Saale e Meduse, non i salvacondotti. Qualcuno gli ha proposto di fuggire in America nascosto in un barile, ma lui ha rifiutato una proposta così disonorevole. Fouché ha fatto allora sapere che lo farà arrestare, applicando il bando emesso al Congresso di Vienna.In aggiunta, gli inglesi hanno fatto venire la nave Bellerophon armata di 64 cannoni, che incrocia fuori dal porto di Rochefort. Per aggirare il problema, Bonaparte ha deciso di imbarcarsi sulla Saale, che si è fermata all'isola di Aix, dove lui stesso è stato molto applaudito. Appena ha rimesso piede sulla sua imbarcazione, è venuto a sapere che il presidente del governo provvisorio ha fatto emanare un atto, con cui bolla come traditore qualunque ufficiale che lo sbarchi sulla costa francese. Le uniche navi con cui può comunicare, sono quelle inglesi.La trappola sta per scattare. René Savary e Emmanuel de Las Cases vanno a parlare con Maitland, comandante della fregata straniera, che suggerisce loro di chiedere asilo all'Inghilterra. Bisogna proprio che i francesi abbiano smarrito il senno, per aderire a una ipotesi tanto paradossale, eppure essi accettano. Viene quindi redatta una missiva per il sovrano inglese, nella quale lo sconfitto fa appello alla sua generosità e chiede di poter vivere in Gran Bretagna come un privato cittadino.Dopodiché, indossata l'uniforme di colonnello della Guardia, Napoleone sale sul Bellerophon. Mentre i vincitori si interrogano sulla sua sorte, la grande imbarcazione arriva a Plymouth. Com'era prevedibile, prevale la linea della durezza: «il generale Bonaparte» ( gli viene negato il titolo di imperatore) deve essere considerato «un prigioniero di guerra». Il 31 luglio, lord Keith e sir Henry Bunbury salgono sul vascello e gli fanno sapere che sarà condotto nell'isoletta di Sant'Elena, un luogo sperduto a 1.900 chilometri a Ovest dell'Africa, in pieno Atlantico meridionale. Gli inglesi, che hanno avuto l'ultima parola sulla destinazione, saranno i suoi «guardiani» ( o carcerieri); mentre la Russia, la Prussia e l'Austria invieranno dei commissari sul posto.Sono inutili le proteste, gli appelli alle leggi e all'ospitalità. Il 7 agosto, Bonaparte viene imbarcato sul Northumberland, perché bisogna fare in modo che non tocchi terra e non invochi l'habeas corpus. Il 9, il vascello attraversa la Manica e il prigioniero saluta commosso le coste della Bretagna. Dopo due mesi e una settimana di traversata, giunge sullo scoglio nero e desolato che gli è stato destinato quale ultimo carcere. La nave arriva lì il 15 ottobre 1815.L'imperatore è accompagnato da alcuni fedelissimi, fra cui il Gran maresciallo di palazzo Henri Gratien Bertrand, il generale Gaspard Gourgaud, il conte Emmanuel de Las Cases, il mamelucco Alì, il valletto da camera Marchand e altri ancora. Quel gruppo di intimi gli farà compagnia negli anni più penosi della sua vita, anche se fra loro non mancheranno i dissidi e le problematiche.Sulle prime, Bonaparte si insedia in un padiglione della dimora dei Balcombe, una famiglia che si trova lì, e stringe anche amicizia con la figlia bambina di costoro, Betsy. Poi trasloca a Longwood House, una villa che si trova su una dimora pianeggiante ed è pertanto perfetta per la sorveglianza. La zona, tuttavia, è spazzata dai venti ed esposta a nebbie e piogge che non fanno che aumentare la tristezza del prigioniero.Mentre cerca di abituarsi al nuovo stile di vita, Napoleone si dispera per la sorte riservata al figlio. «Che educazione gli daranno? Di quali principi verrà nutrita la sua infanzia? E se gli facessero venire orrore di suo padre?». Las Cases tenta di tranquillizzarlo, gli dice che il bambino potrebbe essere utile all'Austria e essa a lui. L'altro scuote il capo e pronuncia parole profetiche, agghiaccianti: «Come strumento di minaccia, forse, ma non come oggetto di benevolenza; ne hanno troppa paura. Il re di Roma sarà l'uomo dei popoli, quello dell'Italia; e così la politica austriaca lo ucciderà».Mentre contempla una ciocca di capelli biondissimi, che la governante madame Marchand gli ha fatto pervenire fra mille sotterfugi, si sente sempre più solo. Il suo terribile carceriere inglese, Hudson Lowe, lo vessa in ogni modo e gli nega qualsiasi notizia del bambino. Lui protesta, sottolinea il fatto che una simile barbarie non si è più sentita dai tempi antichi, quando i figli dei vinti ornavano i carri dei vincitori, ma non ottiene nulla. Il suo modo di replicare, di riscattare il proprio nome e la propria leggenda, nonché far dimenticare gli «anni neri» in cui la guerromanie, il senso di onnipotenza hanno preso il sopravvento sul resto, è la redazione (con Las Cases) di un libro destinato a riportarlo «sugli altari». Un libro immaginato per completare la sua opera di propaganda, diffondere e dare nuovo smalto al suo operato, ricordare al mondo la storia di Francia e d'Europa. Il Memoriale di Sant'Elena, strumento della sua rivincita ultima, destinato a renderlo davvero «immortale».
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)