2019-12-24
La finanziaria passa con farsa finale. Assist per il ricorso alla Consulta
Il governo blinda il provvedimento, zeppo di nuove tasse, con la fiducia e un passaggio in meno in Parlamento. La Lega il 2 gennaio si appellerà alla Corte costituzionale. Che l'anno scorso avvertì: «Basta tagli ai tempi...».Nessuna terza lettura, nessun vero esame parlamentare di una manovra blindatissima, nessun ritorno al Senato. Il rito della manovra da 32 miliardi - molti dei quali nuove tasse e micro tasse - si è chiuso ieri alla Camera dei deputati, con la doppia votazione prima sulla fiducia posta dal governo (confermata con 334 voti a favore, 232 contrari e quattro astenuti) e poi sulla legge di bilancio vera e propria, con il corredo degli ordini del giorno. Ma il fatto che Montecitorio non abbia potuto inserire modifiche al testo licenziato nei giorni scorsi dal Senato, e che dunque non ci sarà un ulteriore passaggio a Palazzo Madama, segna un episodio di fatto senza precedenti per gravità, un vulnus profondo ai danni del Parlamento, ancor più che delle opposizioni.Un anno fa, ai tempi del governo gialloverde, ci fu un ritardo - come vedremo - motivato dalla lunga e spossante trattativa con Bruxelles, che di fatto impose la riscrittura pressoché integrale della manovra. Eppure non si arrivò a questi livelli. Ciononostante, da sinistra fu aperta una campagna politica e mediatica martellante contro quella che fu definita la «compressione dei tempi parlamentari». Non mancò nemmeno il pianto in Aula di Emma Bonino (l'interessata, poi, negò le lacrime, dicendo semplicemente di essersi «un po' emozionata»): «Che il Parlamento sia ridotto quasi a una farsa non è un trofeo di cui andare orgogliosi, ma una ferita grave a tutti, alla democrazia e al paese», disse allora la Bonino. E ancora: «Questa maggioranza tiene in scacco le istituzioni a proprio uso e consumo».Mentre i gruppi parlamentari del Pd decisero di far ricorso alla Consulta. Era la prima volta che un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato veniva sollevato da una minoranza parlamentare. E, sempre un anno fa, dopo questo annuncio, su Repubblica, il giurista Andrea Manzella (più volte parlamentare di centrosinistra) si produsse in un'accorata richiesta alla Corte affinché - al di là del merito - riconoscesse almeno la possibilità di fare questo tipo di ricorso. Manzella sciorinò un repertorio classico (esempi internazionali, più la denuncia delle vere o presunte soperchierie delle maggioranze) per implorare la Corte di dire almeno un primo sì. La Corte, tuttavia, disse no al ricorso dei 37 senatori del Pd. Attenzione, però: ammonì anche, guardando al futuro, che eventuali modalità di discussione e dibattito tali da comprimere eccessivamente i lavori parlamentari dovessero «essere abbandonate, altrimenti potranno non superare il vaglio di costituzionalità». E quindi cosa decise la Consulta? Per un verso, dichiarò il ricorso inammissibile; ma per altro verso, davanti alle richieste degli esponenti del Pd che denunciavano «la grave compressione dei tempi di discussione del disegno di legge, che - secondo la sintesi della stessa Corte - avrebbe svuotato di significato l'esame della commissione Bilancio e impedito ai singoli senatori di partecipare consapevolmente alla discussione e alla votazione», la Consulta aggiunse anche che «i singoli parlamentari sono legittimati a sollevare conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale in caso di violazioni gravi e manifeste delle prerogative che la Costituzione attribuisce loro».Morale: il ricorso era teoricamente possibile, la Corte lo ritenne in quel caso inammissibile (anche tenendo conto dell'eccezionalità del negoziato con l'Ue), ma lanciò un monito per il futuro. È esattamente su questa base che la Lega intende percorrere la strada di un nuovo ricorso, che sarà presentato il 2 gennaio, e su cui realisticamente la Consulta si pronuncerà a fine gennaio. Lo stesso mese in cui la Corte dovrà decidere anche sull'effettiva ammissibilità del referendum leghista per il sistema elettorale maggioritario. E lo stesso mese - sul piano politico - che si chiuderà il 26 con le elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria. Va detto che il ricorso leghista si annuncia particolarmente fondato, alla luce della decisione della Corte dell'anno scorso. Quest'anno, infatti, non c'è stato alcun braccio di ferro con la Commissione europea che potesse o possa giustificare i ritardi del governo. Tutto il caos è stato creato solo ed esclusivamente dalle polemiche interne alla maggioranza: e non c'è nessuna giustificazione esterna che renda accettabile il trattamento subito dalle Camere. Va ricordato che l'anno scorso, nonostante la dura dialettica con Bruxelles, la discussione generale sulla manovra iniziò (in prima battuta, allora alla Camera) il 5 dicembre, mentre il sipario fu chiuso il 29 dicembre. Quest'anno, invece, la prima lettura si è conclusa con la fiducia al Senato solo il 17 dicembre, prima del passaggio - a questo punto meramente decorativo e simbolico - a Montecitorio completato ieri. Ma quest'anno, a sinistra, non ha pianto nessuno. Era l'anno degli occhi asciutti. O forse la lacrimazione è facilitata quando al governo ci sono gli avversari.
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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