2019-06-16
«La Fiat creata da Agnelli è un falso. Entrò in società all’ultimo momento»
Paola Rivolta ha scritto la saga familiare degli Scarfiotti: «Lodovico dal 1899 al 1908 fu il primo presidente dell'azienda. Ma lui e gli altri nobiluomini che la fondarono furono presto dimenticati. E così nacque il mito dell'uomo solo».L'11 luglio la Fiat compie 120 anni, una ricorrenza che l'azienda torinese ha voluto celebrare già all'ultimo Salone di Ginevra presentando in anteprima la nuova serie speciale «120°» della mitica 500, in tre diversi modelli. E fin qui nulla di strano. Chi volesse approfondire, e magari cercare su Internet informazioni sulla sua fondazione tra le notizie pubblicate in questi mesi, leggerebbe ovunque (come del resto si leggeva ovunque vent'anni fa in occasione dello storico centenario) che la Fiat è stata «fondata l'11 luglio del 1899 da Giovanni Agnelli», o tutt'al più «per volontà di Giovanni Agnelli e di un gruppo di amici». Non c'è dubbio che sia così nell'immaginario collettivo. A nessuno verrebbe mai in mente di pensare che l'indissolubile binomio Agnelli-Fiat non sia stato tale sin dalle origini, a parte qualche studioso di storia dell'automobilismo, e una scrittrice. Si chiama Paola Rivolta, e di recente ha dato alle stampe per i tipi della Liberilibri un romanzo storicobiografico dal titolo Scarfiotti. Dalla Fiat a Rossfeld, nel quale vengono ripercorsi anche gli avvenimenti che portarono alla fondazione della più importante industria metalmeccanica italiana.Dottoressa Rivolta, veniamo subito al punto. Chi ha fondato la Fiat?«Qualche fonte cita i nomi di tutti i fondatori, ma bisogna cercare in maniera approfondita. Se chiede a Google, le risponderà Giovanni Agnelli. Chi ha fondato davvero la Fiat è la domanda che mi sono posta quando ho scoperto che il primo presidente di questa azienda non era stato un Agnelli ma Lodovico Scarfiotti. Mi sono chiesta, allora, se non mi fosse sfuggito qualcosa d'importante della storia industriale italiana».Qual è la realtà emersa e raccontata nel libro?«Il libro è una saga familiare che ripercorre cento anni di storia attraverso la vita di tre personaggi, tre uomini che hanno inciso sull'attività industriale, politica, sportiva nazionale senza però lasciare una traccia nella memoria adeguata al loro percorso professionale. Per ciò che riguarda la fondazione della Fiat, l'idea di realizzare un'impresa industriale che producesse auto italiane agli albori della motorizzazione venne a un gruppo di aristocratici e alto-borghesi torinesi in un'epoca di grandi innovazioni. Basti pensare all'elettrificazione che fece i primi passi proprio alla fine dell'Ottocento. A catalizzare questo esiguo gruppo di giovani neo-imprenditori fu il conte Emanuele Cacherano di Bricherasio, figura che racchiudeva in sé i valori della più antica aristocrazia piemontese: spirito cavalleresco, elevato livello culturale - anche fuori dall'ordinario visto che leggeva Il Capitale di Karl Marx - e credibilità finanziaria. Forse oggi lo avremmo definito un radical chic!».Lei ha parlato di un gruppo di aristocratici…«Certo, attorno a lui si coalizzarono per primo Cesare Goria Gatti, poi Roberto Biscaretti di Ruffia, Alfonso Ferrero di Ventimiglia, Michele Ceriana Mayneri, Luigi Lanza e, naturalmente, Lodovico Scarfiotti che è il primo protagonista del mio libro. Uomini già impegnati in attività industriali o artigianali, queste ultime inerenti alla meccanica».E Giovanni Agnelli?«All'inizio non fece parte del progetto. Ritengo non lo avessero cooptato perché vi era una netta differenza nella visione complessiva dell'impresa, nella sua “mission". Giovanni Agnelli vedeva nella Fiat un progetto industriale meramente finalizzato al profitto. Gli altri lo vivevano come una sfida alla modernità che doveva essere economicamente sostenibile ma non scevra da principi etici e da un ideale spirito di avventura cavalleresca. D'altronde provenivano quasi tutti dalla formazione militare che si svolgeva nei reggimenti di cavalleria dell'Accademia di Modena dove si costruivano i quadri dirigenziali dello Stato sabaudo da secoli».Come andò esattamente?«Come sono andate le vicende lo racconta con chiarezza Carlo Biscaretti di Ruffia, testimone dei fatti e figlio di uno dei fondatori, in un libro dal titolo I cinquant'anni della Fiat, dedicato alla memoria di Giovanni Agnelli e voluto dalla Fiat quando ne era presidente Vittorio Valletta. Giovanni Agnelli entrò a far parte dell'“affare" il giorno prima della firma dell'atto costitutivo. Vi entrò quando Luigi Lanza, costruttore di auto, si tirò indietro dopo aver subito numerosi attacchi verbali da Giovanni Agnelli raccontati con sagacia da Biscaretti in quel libro, dove egli riferisce anche delle forti pressioni che Agnelli fece su suo padre per poter partecipare all'impresa, ricevendo però sempre un rifiuto. Credibilmente, si trovarono all'ultimo con un socio in meno, Lanza, e delle quote societarie scoperte, e decisero di inserire Agnelli tra i soci».Ma, mi scusi, allora la vera storia della fondazione della Fiat l'ha già scritta qualcuno prima di lei, per di più con l'imprimatur dell'azienda?«Certamente! È stata scritta ma forse non è stata letta, e di sicuro non c'è stata la volontà di divulgarla, tant'è vero che a quasi settant'anni dall'uscita di quel libro commemorativo gli italiani ancora pensano che la Fiat sia stata fondata da Giovanni Agnelli. Per ricostruire i fatti ho utilizzato testi che sono stati pubblicati dall'azienda torinese o che ne hanno avuto in qualche modo la “benedizione", magari finanziandone la realizzazione. È la Fiat stessa che ha pubblicato i verbali del consiglio di amministrazione dei suoi primi quindici anni, tra l'altro disponibili online, documenti ufficiali che incrociati con gli scritti di Carlo Biscaretti e Valerio Castronovo - storico che fu autore dei più importanti testi sull'industria piemontese e persino di una biografia su Giovanni Agnelli -, danno un quadro piuttosto limpido di quanto accaduto, almeno per la fondazione».Allora perché quasi ovunque la collettività di questa ideazione industriale non viene raccontata?«La mia ipotesi è che non sia, e soprattutto non sia stata funzionale alla promozione di un marchio che vedeva nella personalizzazione della sua storia uno dei punti di forza. La maggior parte delle pubblicazioni realizzate sulla Fiat e sugli Agnelli direi che si inserisce in un filone agiografico, di consolidamento di un mito. Poi, oggettivamente, è stato piuttosto facile far sì che ci si dimenticasse degli altri fondatori. Rimasero tagliati fuori dall'azienda nel 1908 quando il consiglio di amministrazione divenne dimissionario in seguito ad alcune indagini per presunti illeciti amministrativi e finanziari - anche se la vicenda terminò con delle assoluzioni - e tutti i consiglieri furono soppiantati da uomini che, a vario titolo, rappresentavano gli interessi delle banche, anche con qualche utile aggancio con la stampa». Ma come accadde che Giovanni Agnelli prese le redini della Fiat?«È già curioso scoprire come sia diventato amministratore delegato, carica che inizialmente nemmeno esisteva nello statuto della società, ma lascio ai lettori scoprirlo. Come rimase invece nella Fiat dopo le dimissioni di tutto il consiglio di amministrazione nemmeno Valerio Castronovo se lo spiega. Giovanni Agnelli aveva dato le dimissioni insieme a Lodovico Scarfiotti il 30 giugno del 1908 e, invece, continua a comparire nei verbali del consiglio di amministrazione senza che vi sia una formale legittimità per questa sua presenza che, in realtà, verrà regolarizzata solo il 31 marzo dell'anno successivo nel corso di un'assemblea straordinaria dei soci. Immagino che le banche avessero bisogno di un traghettatore che portasse l'azienda fuori dalla crisi economica che aveva colpito l'industria non solo italiana: nel 1907 vi fu la cosiddetta “tempesta perfetta" la prima crisi economico-finanziaria globale della storia. Quanto questo passaggio nelle cariche amministrative all'interno della Fiat fosse stato pilotato da chi aveva interesse a prendere in mano la situazione è difficile da dimostrare. Forse lo si può intuire».Nel suo libro la Fiat e gli Agnelli ritornano però anche in fasi successive...«La vita dei miei personaggi s'intreccia ripetutamente con quella della nota famiglia torinese. Il primo protagonista, Lodovico senior, è presidente della Fiat quando Giovanni Agnelli è segretario del consiglio di amministrazione e poi amministratore delegato. Il suo figlio primogenito, Luigi Scarfiotti, sposa Francesca Bourbon del Monte, cugina prima della moglie di Edoardo Agnelli. Lodovico Scarfiotti junior, pilota che fu tra l'altro l'ultimo vincitore italiano su Ferrari al Gran Premio d'Italia, vedrà la sua carriera sportiva condizionata pesantemente da quella parentela e dalle relazioni industriali non sempre palesate tra Enzo Ferrari e la Fiat. L'azienda torinese diviene coprotagonista delle vicende nel ventennio fascista, quando la sua competizione con la Ford, che voleva entrare nel mercato europeo, spinge Giovanni Agnelli a fare pressioni su Benito Mussolini perché imponga dazi sulle importazioni, fino a proibirle. Straordinari in proposito i documenti conservati presso il Betty Ford research center, citati nel mio libro. La Fiat ritorna coprotagonista negli anni Sessanta quando, proseguendo nel suo cammino di acquisizioni di industrie del settore metalmeccanico, assorbirà l'Alfa Romeo e gradualmente anche la Ferrari».Oggi cosa si potrebbe fare in più per raccontare quel pezzo di storia nazionale?«Ora che, sostanzialmente, l'azienda non è più torinese né italiana, e il nome degli Agnelli non ha più l'appeal di un tempo, gli storici, e gli storici economici in particolare, potrebbero finalmente restituirci in pieno la verità dei fatti, che io racconto senza addentrarmi in eccessivi tecnicismi, ma basandomi sempre su dati certi, supportati da fonti, in gran parte dirette, e da riferimenti bibliografici. Farebbero un bel regalo al Paese, perché la conoscenza è la base indispensabile per ogni progresso».
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