2024-10-02
La famiglia Sackler fuori dagli Stati Uniti continua a spacciare ossicodone
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Mundipharma, costola di Purdue Pharma, nonostante le condanne, continua a spingere ossicodone in giro per il mondo con campagne di marketing aggressive. Nel mirino pazienti affetti da dolori anche non cronici. Brasile, Spagna, Francia, Germania e anche Italia.Si chiama Mundipharma, ha un nome diverso ma è parente di Purdue pharma, l’azienda farmaceutica statunitense condannata negli Stati Uniti a pagare risarcimenti per miliardi di dollari ai familiari delle vittime dell’Oxycontin. Il farmaco, utilizzato per le terapie del dolore, generando una violentissima dipendenza nei pazienti ha causato tra il 1999 e il 2017, 500.000 morti per overdose. La strategia consisteva nell’immissione di questo nuovo farmaco oppioide spacciato per essere più «leggero» con rischi di dipendenza meno severi rispetto agli oppioidi tradizionali. Quindi i medici venivano incoraggiati e spesso pagati per prescrivere l’ossicodone non solo ai pazienti oncologici ma anche a coloro che soffrivano di dolori semplici, non cronici. Dopo miliardi di dollari di guadagni, nel 2007 alcuni dirigenti della società si sono dichiarati colpevoli di aver ingannato autorità di regolamentazione, medici e pazienti sul rischio di dipendenza e abuso del farmaco.La strategia dell’azienda fondata dalla famiglia Sackler tuttavia non cambia, semplicemente sposta il mercato in altri Stati. Mundipharma infatti avrebbe avviato un'aggressiva strategia di commercializzazione della droga anche in altri Paesi, dall’Europa al Brasile. Il portale brasiliano Metropoles in collaborazione con il sito americano The Examination e la rivista tedesca Der Spiegel ha spiegato che Mundipharma finanzierebbe in Brasile «eventi sull'uso degli oppioidi in cui i medici promuovono queste sostanze ad altri medici, con la giustificazione che mirano a fornire formazione ed educazione all'uso dei medicinali e si fa carico di tutte le spese dei professionisti invitati a partecipare». Tra i dati emersi nell'inchiesta anche il fatto che Mundipharma avrebbe pagato 39mila dollari alla Società Brasiliana per lo Studio del Dolore (Sbed) tra il 2019 e il 2023 con l'obiettivo di promuovere l'uso degli oppioidi in Brasile. E proprio il presidente della Sbed, l'anestesista Carlos Marcelo de Barros, sarebbe anche l'autore di un progetto di legge presentato dalla deputata Bia Kicis, che mira a favorire la commercializzazione dei farmaci a base di oppioidi in Brasile.L’analisi svolta da Finance Uncovered inoltre stima che, nei tre anni successivi alla dichiarazione di bancarotta di Purdue, appena cinque società Mundipharma hanno venduto antidolorifici e altri farmaci per oltre 1,6 miliardi di euro in Germania, Regno Unito, Italia, Spagna e Francia.In Italia le strategie di marketing di Mundipharma sono finite sotto gli occhi dei giudici. Due i processi, entrambi conclusi con due patteggiamenti. Prima del giro in tribunale infatti Mundipharma, come faceva Purdue negli Stati Uniti, aveva iniziato una campagna a favore della terapia del dolore per convincere gli italiani, tra i minori consumatori di oppiodi al mondo, ad avvicinarsi all’Oxycontin. Una ricerca che Marco Filippini, general manager di Mundipharma Italia, nel 2015 commentava così:«L’indagine dimostra che nel nostro Paese la gestione del dolore è ancora tutt’altro che ottimale. L’uso ancora limitato dei farmaci oppioidi deriva da retaggi culturali e timori infondati circa i presunti rischi di dipendenza. Per questo, in Italia si ha il più basso consumo di oppiacei a scopo analgesico dell’Occidente, come mostrano dati recenti».Ecco il testo completo della ricerca diffusa ancora su alcuni siti di divulgazione farmaceutica italiani.«La ricerca è stata condotta da ottobre a dicembre 2015 su un campione di oltre 2.200 italiani in età adulta, attraverso la compilazione di un questionario online e tramite interviste realizzate da volontari negli sportelli associativi presenti in otto città italiane, con l’obiettivo di tracciare un quadro aggiornato sulla situazione del dolore cronico in Italia.L’indagine ha dunque evidenziato come il 46,4% del campione soffra di questa malattia: nella quasi totalità dei casi, il dolore perdura da più di 6 mesi. In 7 casi su 10, le condizioni fisiche sono tali da compromettere la qualità di vita, con importanti ripercussioni sullo svolgimento delle attività quotidiane sul riposo notturno e sulle mansioni lavorative. Tuttavia, nonostante il 90% degli intervistati sia colpito da una sofferenza di intensità moderata-severa, essi non ricevono un trattamento terapeutico adeguato. In più della metà dei casi, la sintomatologia dolorosa non viene misurata in maniera costante durante ogni visita.Un paziente su 3 non riceve alcun trattamento mentre a coloro che sono sottoposti a un regime terapeutico spesso sono somministrate cure inappropriate, caratterizzate soprattutto da farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), il cui impiego è sconsigliato nelle terapie di lungo periodo a causa dei gravi danni che possono determinare a livello gastrico e cardiovascolare. È invece ancora limitato l’utilizzo di oppioidi forti, farmaci d’elezione per il trattamento del dolore sia moderato che severo.«Siamo soddisfatti delle numerose adesioni riscosse dall’indagine “Pain in Italy”, segno che si tratta di una problematica di forte attualità. Il prossimo passo consisterà nel monitoraggio del recepimento della Legge 38/2010 (Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore) da parte delle Regioni: solo tramite una sua attuazione i cittadini potranno ricevere cure sempre più efficaci», ha commentato Alessandro Mostaccio, segretario generale del Movimento Consumatori.«Dalla ricerca emerge in ogni caso una situazione italiana ancora preoccupante: è aumentata in modo rilevante la percentuale di cittadini che soffrono di dolore persistente, con una prevalenza di patologie artrosiche. Soprattutto, occorre compiere ancora un grande sforzo per sensibilizzare gli operatori sanitari sulla valutazione del dolore e sull’appropriatezza del suo trattamento, quale obiettivo etico e assistenziale fondamentale per assicurare una migliore qualità delle cure erogate», ha dichiarato Vittorio Schweiger, ricercatore universitario e direttore della Struttura Semplice Terapia del Dolore nell’azienda ospedaliero universitario integrata di Verona,«L’indagine dimostra che nel nostro Paese la gestione del dolore è ancora tutt’altro che ottimale. L’uso ancora limitato dei farmaci oppioidi deriva da retaggi culturali e timori infondati circa i presunti rischi di dipendenza. Per questo, in Italia si ha il più basso consumo di oppiacei a scopo analgesico dell’Occidente, come mostrano dati recenti», ha concluso Marco Filippini, general manager di Mundipharma Italia.