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2019-11-16
L’interrogatorio di Bonifazi che inguaia il Pd
Getty
Nel giugno del 2018, in un'intervista al Foglio, l'ex tesoriere del Pd (ora di Italia viva) Francesco Bonifazi spiegò che se l'imprenditore Luca Parnasi «avesse voluto finanziare il Pd lo avrebbe fatto per il canale diretto. Del resto, ai cultori del sospetto, vorrei domandare: che beneficio ci sarebbe a commissionare una prestazione di servizio a una fondazione, peraltro assolutamente evidente e verificabile, invece che emettere direttamente una liberalità al Pd, fiscalmente detraibile?». Ci è voluto un anno, ma il 18 luglio scorso, in una stanza del quartier generale della Guardia di Finanza di Roma, Bonifazi (nell'inchiesta sullo stadio della Roma è accusato di emissione di fatture false e finanziamento illecito di partiti) ha in parte risposto a questa domanda. Perché fu proprio lui, stando alle sue parole, a consigliare Parnasi su come effettuare quel finanziamento.
L'avvocato del Giglio magico lo ha spiegato durante un interrogatorio, rimasto per tutti questi mesi segreto ma che ora La Verità è in grado di raccontare, di fronte al sostituto procuratore Barbara Zuin. E lo ha detto chiaro e tondo di fronte alle domande incalzanti del magistrato, spiegando di aver solo messo in contatto Parnasi e Domenico Petrolo, il responsabile relazioni esterne di Eyu. Non sarebbe mai stato però a conoscenza dell'accordo per l'acquisto della nota ricerca sulla «Casa» commissionata poi nel 2018 da Parnasi alla Fondazione Eyu («Di ciò che è accaduto dopo quella stretta di mano non so niente», dice l'ex tesoriere). Bonifazi ha sottolineato di essere venuto a conoscenza dell'operazione e della vendita del prodotto successivamente, soltanto quando di fatto venne fuori la notizia dell'arresto di Parnasi e «si aprì, anche sulla stampa» il filone sui finanziamenti ai partiti, Lega e Pd.
«[…] con Luca Parnasi», ha spiegato Bonifazi, «mi ero fermato esclusivamente a quelli che erano gli intenti del Parnasi medesimo e quindi tutto cioè che c'è stato successivamente io l'ho ricostruito per evidenti motivi anche di salvaguardia personale». Ovvero? Qui Bonifazi spiega nel dettaglio il suo rapporto con il costruttore romano e l'incontro alla fine del 2017, pochi mesi prima della campagna elettorale del 2018. «In un'occasione c'è stata una chiacchierata più di carattere politico. Parnasi mi fece una valutazione che mi sembrò intelligente, di merito sulla politica, cioè mi spiegò che aveva dentro di sé una sorta di doppia anima: da un lato la tradizione di vicinanza alla sinistra italiana. È una cosa che mi è rimasta impressa, perché mi diceva che suo padre veniva chiamato l'unico palazzinaro comunista di Roma. […] Da lì iniziai a capire se era intenzionato a dare un aiuto al partito e sostanzialmente lui mi fece capire che era disponibile».
Di fronte alle richieste dei magistrati, Bonifazi spiega i dettagli dell'incontro. «Ricordo distintamente il contenuto di questa chiacchierata, che fu anche piacevole, sinceramente. Venne fuori addirittura la cifra che lui poteva sostenere, che era intorno a 250.000 euro. A quel punto io feci una precisazione, che è una precisazione in realtà obbligatoria per un tesoriere, perché è di legge, e cioè che un soggetto non può finanziare un partito per più di 100.000 euro, questa è la legge del 2013, che tra l'altro facemmo». Quindi Bonifazi ammette di aver parlato di finanziamento al Pd con Parnasi. Ma aggiunge che proprio allora, per la cifra troppo alta, decise di presentargli Eyu: «Guarda, c'è anche la Fondazione». Nel corso dell'interrogatorio Bonifazi spiegherà la funzione di Eyu, autonoma rispetto al partito, nata per la tutela del quotidiano Europa, la tv Youdem e L'Unità. Fu l'ex tesoriere del Pd a indicare la fondazione invece del partito, proprio in funzione della sua autonomia. Ma a un certo punto dell'interrogatorio, Bonifazi ammette una certa vicinanza tra le due realtà distinte. «La fondazione Eyu non riceve alcuna sovvenzione o finanziamento dal partito. L'unico spostamento di denaro tra Pd e Eyu può essere avvenuto in occasione della festa dell'Unità per il pagamento dell'affitto di alcuni stand da parte di Eyu».
Rispetto alle presunte fatture false (una ricerca già venduta a 39.000 euro alla Cassa del Notariato, costata 7.000 nel 2015, poi piazzata a 150.000 nel 2018), Bonifazi ha spiegato di aver solo messo in contatto Petrolo e Parnasi. «Il Nazareno è davvero un corridoio lunghissimo. Per arrivare incontri prima Petrolo che me, io ero nella parte finale del corridoio, diciamo la parte nobile del Nazareno […]. Li presento, loro prendono e vengono via, e da quel momento io non mi occupo più della vicenda». Zuin domanda perché aveva scelto, invece di un finanziamento di 100.000 euro al Pd, facendo l'interesse del partito, di finanziare la Fondazione Eyu con 250.000 euro. «Il suo dubbio è legittimo» risponde Bonifazi, «di più, perché è lo stesso che ho avuto io».
Alla Finanza non tornano i conti su 405.000 euro per le feste dem
Fondi per la Festa dell'Unità che neppure la Guardia di finanza alla fine è riuscita a tracciare sono usciti in parte dalla Fondazione Eyu, guidata da Francesco Bonifazi, che era anche il tesoriere del Partito democratico finché a marzo 2019 Nicola Zingaretti non l'ha sostituito con Luigi Zanda perché il partito si trova dal punto di vista finanziario con entrate più che dimezzate, e sono finiti sui conti di Democratica srl, società in liquidazione che gestiva le testate l'Unità, Europa e Donna Europa. Bonifazi con le casse della fondazione invece sembra non avere problemi di partita doppia. Le entrate pareggiano quasi le uscite: nel 2017, infatti, Eyu ha incassato 1.444.527 euro e ne ha sborsati 1.401.856.
Nonostante ciò non è possibile affermare che nei bilanci sia tutto comprensibile. Hanno avuto problemi a raccapezzarcisi anche gli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria di Roma. Gli stessi che hanno scoperto che Luca Parnasi, arrestato per la vicenda dello stadio della Roma, aveva versato 150.000 euro alla fondazione, soldi probabilmente destinati al Pd e, secondo l'accusa, non iscritti nei bilanci. I finanzieri, in un'informativa che La Verità ha potuto consultare, definiscono in alcuni punti l'operatività della fondazione «sospetta». Bilanci alla mano si è scoperto che le entrate di gestione ammontano a 846.769 euro. Si tratta di quasi la metà di quanto transitato sul conto corrente di Eyu preso in esame. Poi i finanzieri si fermano ad analizzare le spese: «Considerato che da statuto la fondazione persegue le proprie finalità operando prevalentemente attraverso l'assegnazione di contributi a progetti e iniziative, dalle disposizioni effettuate non è possibile risalire ai singoli progetti finanziati e dal bilancio consuntivo del 2017 gli oneri da attività istituzionali ammontano a 244.803 euro, cifra decisamente inferiore agli addebiti effettuati». Che, nel periodo tra il 9 ottobre 2017 e il 5 novembre 2018 ammontano a 1.274.885 euro, giunti sul conto di Eyu con 46 bonifici, tra i quali alcuni di provenienza estera. E tra le uscite ci sono quelle per la Festa dell'Unità del 2017 (che si è tenuta a Imola dal 9 al 24 settembre): 61.000 euro (ma in totale i fondi transitati, con quattro bonifici, da Eyu a Democratica ammontano a 122.000 euro). C'è anche un bonifico da 20.000 euro, datato 5 giugno 2018, per la Fondazione Open, che organizzava la Leopolda prima della sua liquidazione e chiusura. Insomma, Eyu, che veniva definita la cassaforte del Partito democratico, in realtà, sostiene anche le entità che orbitano attorno al Pd.
Ovviamente, per capire il giro di soldi legato alla Festa dell'Unità, la Guardia di finanza ha analizzato anche i conti di Democratica. E, oltre ad annotare che i bonifici provenienti dal Pd ammontano a 895.750 euro, ha scoperto anche che 565.210 euro «non sono connessi alle attività editoriali» e che, scrivono i finanzieri, «si riferiscono prevalentemente ai corrispettivi pattuiti per l'organizzazione della Festa dell'Unità». Di quei ricavi alla fine, una parte è stata usata per la Festa dell'Unità e una parte (160.924 euro) per «il riaddebito di costi relativi a personale distaccato presso l'Unità e a sopravvenienze attive per storno di debiti verso il quotidiano a fronte dell'accordo di risoluzione dei contratti attivi e passivi fra le parti». Questa è la motivazione ufficiale. L'importo, però, «risulta incompatibile», annotano gli investigatori, con gli accrediti transitati sul conto intestato alla società. E, così, tra Eyu e Democratica non tornano i conti su 405.000 euro (244.803 per Eyu e 160.924 per Democratica).
Ma perché gli investigatori si sono insospettiti? Tutto ruota attorno «agli accrediti pervenuti sul conto corrente» di Eyu, che «non trovano corrispondenza nei dati di bilancio 2017, sia negli importi sia nella destinazione». Non solo: ci sono dei giroconti «pervenuti da altro intermediario», sottolineano gli investigatori, «di cui non è possibile verificare l'origine della provvista». Quelle tracciabili, invece, sono varie. Tutte riportate nel lungo elenco raccolto dalla finanza. Si va dai 100.000 euro di Msc crociere, ai 200.000 di Gunther reform holding, società che acquisì il 20 per cento dell'Unità. Passando per i 25.000 euro versati dalla Gamenet Spa, tra le società concessionarie di slot machine, per i 24.400 di Lottomatica (alla quale il governo Gentiloni rinnovò senza gara la concessione dei gratta e vinci proprio nel 2017), per i 10.000 euro sborsati dallo stilista Brunello Cucinelli (che partecipò anche a una Leopolda) e per i 54.900 pagati nel 2017 e gli 80.000 nel 2018 dalla Algebris Uk limited di Davide Serra, finanziere di centrosinistra e finanziatore di alcune campagne elettorali del Bullo (nel 2013 era anche lui alla Leopolda). Spunta anche un bonifico di 36.600 euro di Manutencoop Facility (tra le società finite nell'inchiesta Consip e multata dall'Antitrust insieme alle altre imprese che nel 2014 fecero cartello nella maxi gara denominata Fm4). Ci sono infine 40.000 euro bonificati da Emanuele Boschi, fratello di Maria Elena. Lo stesso che ha poi ottenuto insieme a Federico Lovadina (entrambi sono dello studio tributario Bonifazi) una consulenza proprio da Parnasi da 30.000 euro, come stabilito dal liquidatore della società Parsitalia.
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Disse a Luca Parnasi che non poteva dare 250.000 euro al partito, ma a Eyu sì. Dalla fondazione, poi, i soldi venivano girati ai dem per attività o per il giornale. E alla Finanza non tornano i conti su ben 405.000 euro.Le Fiamme gialle, in una informativa, definiscono «sospetta» l'operatività della ex cassaforte democratica. Al centro flussi di denaro senza giustificativi. E tra le donazioni spuntano 40.000 euro dal fratello di Maria Elena Boschi.Lo speciale contiene due articoli.Nel giugno del 2018, in un'intervista al Foglio, l'ex tesoriere del Pd (ora di Italia viva) Francesco Bonifazi spiegò che se l'imprenditore Luca Parnasi «avesse voluto finanziare il Pd lo avrebbe fatto per il canale diretto. Del resto, ai cultori del sospetto, vorrei domandare: che beneficio ci sarebbe a commissionare una prestazione di servizio a una fondazione, peraltro assolutamente evidente e verificabile, invece che emettere direttamente una liberalità al Pd, fiscalmente detraibile?». Ci è voluto un anno, ma il 18 luglio scorso, in una stanza del quartier generale della Guardia di Finanza di Roma, Bonifazi (nell'inchiesta sullo stadio della Roma è accusato di emissione di fatture false e finanziamento illecito di partiti) ha in parte risposto a questa domanda. Perché fu proprio lui, stando alle sue parole, a consigliare Parnasi su come effettuare quel finanziamento. L'avvocato del Giglio magico lo ha spiegato durante un interrogatorio, rimasto per tutti questi mesi segreto ma che ora La Verità è in grado di raccontare, di fronte al sostituto procuratore Barbara Zuin. E lo ha detto chiaro e tondo di fronte alle domande incalzanti del magistrato, spiegando di aver solo messo in contatto Parnasi e Domenico Petrolo, il responsabile relazioni esterne di Eyu. Non sarebbe mai stato però a conoscenza dell'accordo per l'acquisto della nota ricerca sulla «Casa» commissionata poi nel 2018 da Parnasi alla Fondazione Eyu («Di ciò che è accaduto dopo quella stretta di mano non so niente», dice l'ex tesoriere). Bonifazi ha sottolineato di essere venuto a conoscenza dell'operazione e della vendita del prodotto successivamente, soltanto quando di fatto venne fuori la notizia dell'arresto di Parnasi e «si aprì, anche sulla stampa» il filone sui finanziamenti ai partiti, Lega e Pd. «[…] con Luca Parnasi», ha spiegato Bonifazi, «mi ero fermato esclusivamente a quelli che erano gli intenti del Parnasi medesimo e quindi tutto cioè che c'è stato successivamente io l'ho ricostruito per evidenti motivi anche di salvaguardia personale». Ovvero? Qui Bonifazi spiega nel dettaglio il suo rapporto con il costruttore romano e l'incontro alla fine del 2017, pochi mesi prima della campagna elettorale del 2018. «In un'occasione c'è stata una chiacchierata più di carattere politico. Parnasi mi fece una valutazione che mi sembrò intelligente, di merito sulla politica, cioè mi spiegò che aveva dentro di sé una sorta di doppia anima: da un lato la tradizione di vicinanza alla sinistra italiana. È una cosa che mi è rimasta impressa, perché mi diceva che suo padre veniva chiamato l'unico palazzinaro comunista di Roma. […] Da lì iniziai a capire se era intenzionato a dare un aiuto al partito e sostanzialmente lui mi fece capire che era disponibile». Di fronte alle richieste dei magistrati, Bonifazi spiega i dettagli dell'incontro. «Ricordo distintamente il contenuto di questa chiacchierata, che fu anche piacevole, sinceramente. Venne fuori addirittura la cifra che lui poteva sostenere, che era intorno a 250.000 euro. A quel punto io feci una precisazione, che è una precisazione in realtà obbligatoria per un tesoriere, perché è di legge, e cioè che un soggetto non può finanziare un partito per più di 100.000 euro, questa è la legge del 2013, che tra l'altro facemmo». Quindi Bonifazi ammette di aver parlato di finanziamento al Pd con Parnasi. Ma aggiunge che proprio allora, per la cifra troppo alta, decise di presentargli Eyu: «Guarda, c'è anche la Fondazione». Nel corso dell'interrogatorio Bonifazi spiegherà la funzione di Eyu, autonoma rispetto al partito, nata per la tutela del quotidiano Europa, la tv Youdem e L'Unità. Fu l'ex tesoriere del Pd a indicare la fondazione invece del partito, proprio in funzione della sua autonomia. Ma a un certo punto dell'interrogatorio, Bonifazi ammette una certa vicinanza tra le due realtà distinte. «La fondazione Eyu non riceve alcuna sovvenzione o finanziamento dal partito. L'unico spostamento di denaro tra Pd e Eyu può essere avvenuto in occasione della festa dell'Unità per il pagamento dell'affitto di alcuni stand da parte di Eyu».Rispetto alle presunte fatture false (una ricerca già venduta a 39.000 euro alla Cassa del Notariato, costata 7.000 nel 2015, poi piazzata a 150.000 nel 2018), Bonifazi ha spiegato di aver solo messo in contatto Petrolo e Parnasi. «Il Nazareno è davvero un corridoio lunghissimo. Per arrivare incontri prima Petrolo che me, io ero nella parte finale del corridoio, diciamo la parte nobile del Nazareno […]. Li presento, loro prendono e vengono via, e da quel momento io non mi occupo più della vicenda». Zuin domanda perché aveva scelto, invece di un finanziamento di 100.000 euro al Pd, facendo l'interesse del partito, di finanziare la Fondazione Eyu con 250.000 euro. «Il suo dubbio è legittimo» risponde Bonifazi, «di più, perché è lo stesso che ho avuto io». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-dritta-di-bonifazi-a-parnasi-che-voleva-finanziare-il-pd-guarda-che-ce-anche-eyu-2641357949.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="alla-finanza-non-tornano-i-conti-su-405-000-euro-per-le-feste-dem" data-post-id="2641357949" data-published-at="1765288964" data-use-pagination="False"> Alla Finanza non tornano i conti su 405.000 euro per le feste dem Fondi per la Festa dell'Unità che neppure la Guardia di finanza alla fine è riuscita a tracciare sono usciti in parte dalla Fondazione Eyu, guidata da Francesco Bonifazi, che era anche il tesoriere del Partito democratico finché a marzo 2019 Nicola Zingaretti non l'ha sostituito con Luigi Zanda perché il partito si trova dal punto di vista finanziario con entrate più che dimezzate, e sono finiti sui conti di Democratica srl, società in liquidazione che gestiva le testate l'Unità, Europa e Donna Europa. Bonifazi con le casse della fondazione invece sembra non avere problemi di partita doppia. Le entrate pareggiano quasi le uscite: nel 2017, infatti, Eyu ha incassato 1.444.527 euro e ne ha sborsati 1.401.856. Nonostante ciò non è possibile affermare che nei bilanci sia tutto comprensibile. Hanno avuto problemi a raccapezzarcisi anche gli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria di Roma. Gli stessi che hanno scoperto che Luca Parnasi, arrestato per la vicenda dello stadio della Roma, aveva versato 150.000 euro alla fondazione, soldi probabilmente destinati al Pd e, secondo l'accusa, non iscritti nei bilanci. I finanzieri, in un'informativa che La Verità ha potuto consultare, definiscono in alcuni punti l'operatività della fondazione «sospetta». Bilanci alla mano si è scoperto che le entrate di gestione ammontano a 846.769 euro. Si tratta di quasi la metà di quanto transitato sul conto corrente di Eyu preso in esame. Poi i finanzieri si fermano ad analizzare le spese: «Considerato che da statuto la fondazione persegue le proprie finalità operando prevalentemente attraverso l'assegnazione di contributi a progetti e iniziative, dalle disposizioni effettuate non è possibile risalire ai singoli progetti finanziati e dal bilancio consuntivo del 2017 gli oneri da attività istituzionali ammontano a 244.803 euro, cifra decisamente inferiore agli addebiti effettuati». Che, nel periodo tra il 9 ottobre 2017 e il 5 novembre 2018 ammontano a 1.274.885 euro, giunti sul conto di Eyu con 46 bonifici, tra i quali alcuni di provenienza estera. E tra le uscite ci sono quelle per la Festa dell'Unità del 2017 (che si è tenuta a Imola dal 9 al 24 settembre): 61.000 euro (ma in totale i fondi transitati, con quattro bonifici, da Eyu a Democratica ammontano a 122.000 euro). C'è anche un bonifico da 20.000 euro, datato 5 giugno 2018, per la Fondazione Open, che organizzava la Leopolda prima della sua liquidazione e chiusura. Insomma, Eyu, che veniva definita la cassaforte del Partito democratico, in realtà, sostiene anche le entità che orbitano attorno al Pd. Ovviamente, per capire il giro di soldi legato alla Festa dell'Unità, la Guardia di finanza ha analizzato anche i conti di Democratica. E, oltre ad annotare che i bonifici provenienti dal Pd ammontano a 895.750 euro, ha scoperto anche che 565.210 euro «non sono connessi alle attività editoriali» e che, scrivono i finanzieri, «si riferiscono prevalentemente ai corrispettivi pattuiti per l'organizzazione della Festa dell'Unità». Di quei ricavi alla fine, una parte è stata usata per la Festa dell'Unità e una parte (160.924 euro) per «il riaddebito di costi relativi a personale distaccato presso l'Unità e a sopravvenienze attive per storno di debiti verso il quotidiano a fronte dell'accordo di risoluzione dei contratti attivi e passivi fra le parti». Questa è la motivazione ufficiale. L'importo, però, «risulta incompatibile», annotano gli investigatori, con gli accrediti transitati sul conto intestato alla società. E, così, tra Eyu e Democratica non tornano i conti su 405.000 euro (244.803 per Eyu e 160.924 per Democratica). Ma perché gli investigatori si sono insospettiti? Tutto ruota attorno «agli accrediti pervenuti sul conto corrente» di Eyu, che «non trovano corrispondenza nei dati di bilancio 2017, sia negli importi sia nella destinazione». Non solo: ci sono dei giroconti «pervenuti da altro intermediario», sottolineano gli investigatori, «di cui non è possibile verificare l'origine della provvista». Quelle tracciabili, invece, sono varie. Tutte riportate nel lungo elenco raccolto dalla finanza. Si va dai 100.000 euro di Msc crociere, ai 200.000 di Gunther reform holding, società che acquisì il 20 per cento dell'Unità. Passando per i 25.000 euro versati dalla Gamenet Spa, tra le società concessionarie di slot machine, per i 24.400 di Lottomatica (alla quale il governo Gentiloni rinnovò senza gara la concessione dei gratta e vinci proprio nel 2017), per i 10.000 euro sborsati dallo stilista Brunello Cucinelli (che partecipò anche a una Leopolda) e per i 54.900 pagati nel 2017 e gli 80.000 nel 2018 dalla Algebris Uk limited di Davide Serra, finanziere di centrosinistra e finanziatore di alcune campagne elettorali del Bullo (nel 2013 era anche lui alla Leopolda). Spunta anche un bonifico di 36.600 euro di Manutencoop Facility (tra le società finite nell'inchiesta Consip e multata dall'Antitrust insieme alle altre imprese che nel 2014 fecero cartello nella maxi gara denominata Fm4). Ci sono infine 40.000 euro bonificati da Emanuele Boschi, fratello di Maria Elena. Lo stesso che ha poi ottenuto insieme a Federico Lovadina (entrambi sono dello studio tributario Bonifazi) una consulenza proprio da Parnasi da 30.000 euro, come stabilito dal liquidatore della società Parsitalia.
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Un’associazione che non ha mai fatto del male a nessuno e che porta avanti un’agenda pro life attraverso tre direttrici fondamentali: fare pressione politica affinché anche questa visione del mondo venga accolta dalle istituzioni internazionali; educare i giovani al rispetto della vita dal concepimento alla morte naturale; e, infine, promuovere attività culturali, come ad esempio scambi internazionali ed Erasmus, affinché i giovani si sviluppino integralmente attraverso il bello.
In passato, la World youth alliance ha ottenuto, come è giusto che sia, diversi finanziamenti da parte dell’Unione europea (circa 1,2 milioni) senza che nessuno dicesse alcunché. Ora però qualcosa è cambiato. La World youth alliance, infatti, ha partecipato ad alcuni bandi europei ottenendo oltre 400.000 euro di fondi per organizzare le proprie attività. La normalità, insomma. Poi però sono arrivate tre interrogazioni da parte dei partiti di sinistra, che hanno evidenziato come gli ideali portati avanti da questa associazione siano contrari (secondo loro) all’articolo 14 dell’Accordo di sovvenzione, secondo cui «l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società in cui prevalgono il pluralismo, la non discriminazione, la tolleranza, la giustizia, la solidarietà e la parità tra donne e uomini».
Il punto, però, è che la World youth alliance non ha mai contraddetto questi valori, ma ha semplicemente portato avanti una visione pro life, come è lecito che sia, e sostenuto che si può non abortire. Che c’è sempre speranza. Che la vita, di chiunque essa sia, va sempre difesa. Che esistono solamente due sessi. Posizioni che, secondo la sinistra, sarebbero contrarie ai valori dell’Ue.
Come nota giustamente l’eurodeputato Paolo Inselvini (Fdi) da cui è partita la denuncia dopo che la World youth alliance si è rivolta a lui affidandogli i documenti, le interrogazioni presentate fanno riferimento a documenti politici che non esistevano nel momento in cui è stata fatta la richiesta di fondi e che ora vengono utilizzati in modo retroattivo. Come, per esempio, la Strategia europea Lgbtiq 2026-2030, che è stata adottata lo scorso ottobre, e la Roadmap sui diritti delle donne, che è stata comunicata in Commissione nel marzo del 2025. Documenti che ora vengono utilizzati come clave per togliere i fondi.
Secondo Inselvini, che a breve invierà una lettera in cui chiederà chiarimenti alla Commissione europea, «si stanno costruendo “nuovi valori europei” non sulla base dei Trattati, della Carta dei diritti fondamentali o della tradizione giuridica europea, ma sulla base di orientamenti politici tutt’altro che condivisi dai cittadini europei».
Ma non solo. In questo modo, prosegue l’eurodeputato, «i fondi vanno sempre agli stessi. Questa vicenda, infatti, si inserisce in un quadro più ampio: fondi e spazi istituzionali sembrano essere accessibili solo a chi promuove l’agenda progressista. Basta guardare alle priorità politiche ed economiche: 3,6 miliardi trovati senza esitazione per la nuova strategia Lgbtq+, mentre le realtà che non si allineano vengono marginalizzate, ignorate o addirittura sanzionate. L’Europa non può diventare un sistema di fidelizzazione ideologica in cui si accede a risorse pubbliche solo a condizione di adottare un certo vocabolario e una certa visione del mondo».
Perché è proprio questo che è diventata oggi l’Ue: un ente che punisce chiunque osi pensarla diversamente. Un’organizzazione che è diventata il megafono delle minoranze, soprattutto quelle Lgbt, e che non ammette alcuna contraddizione. Chi osa esprimere dubbi, o semplicemente il proprio pensiero, viene punito. Via i fondi alla Fafce e alla World youth alliance, quindi.
Il tutto in nome del rispetto per le opinioni degli altri. «Se oggi si arriva a censire, controllare e punire un’organizzazione non per quello che fa, ma per quello che crede, allora significa che qualcosa si è rotto», conclude Inselvini.
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(Totaleu)
Lo ha detto il ministro a margine del consiglio per gli Affari interni, riguardo ai centri di rimpatrio in Albania.
Il sindaco di New York Zohran Mamdani (Ansa)
L’uomo che ha portato il comunismo nel cuore di New York, sfruttando anche il phisique du rôle terzomondista e una certa retorica populista, ha già annunciato che lascerà il suo modesto appartamento con affitto controllato per la lussuosa residenza ufficiale del sindaco a Manhattan. La decisione è stata annunciata ieri con un post su Instagram, insieme a una foto di una replica in miniatura della villa. «La settimana scorsa abbiamo visto la nostra nuova casa!», ha detto.
Il democratico, che entrerà in carica il primo gennaio, si trasferirà nello stesso mese alla Gracie Mansion, una casa di 1.000 metri quadrati costruita nel 1799 nell’elegante Upper East Side, sulle rive dell’East River, immersa in un parco verdeggiante, che divenne la residenza ufficiale del sindaco nel 1942. Un atto dovuto? Non proprio. Non vi è infatti alcun obbligo per i sindaci di risiedere lì, sebbene la maggior parte di loro abbia risieduto nella villa, con la notevole eccezione di Michael Bloomberg (2002-2013). In una dichiarazione, Mamdani ha affermato che lui e sua moglie, l’illustratrice Rama Duwaji, hanno preso questa decisione principalmente per motivi di «sicurezza» e che stanno «lasciando a malincuore il bilocale» che la coppia condivide ad Astoria, un quartiere popolare del Queens con una numerosa popolazione di immigrati.
«Ci mancheranno molte cose del nostro appartamento di Astoria. Preparare la cena fianco a fianco nella nostra cucina, condividere un sonnolento viaggio in ascensore con i nostri vicini la sera, sentire musica e risate risuonare attraverso le pareti dell’appartamento», ha scritto, con una retorica strappa like.
Mamdani ha fatto del costo della vita un tema centrale della sua campagna, promettendo in particolare alloggi più accessibili. Il fatto che lui stesso vivesse in uno di questi appartamenti, al costo di 2.300 dollari al mese, ha attirato le critiche dei suoi oppositori, che ritengono che il suo stipendio da 142.000 dollari da membro dell’Assemblea dello Stato di New York e il reddito della moglie permettessero alla coppia di stabilirsi in un appartamento al di fuori di tale quadro normativo. «Anche quando non vivrò più ad Astoria, Astoria continuerà a vivere in me e nel lavoro che svolgo», ha promesso. Non ha infine rinunciato a un altro sermone sociale da campagna elettorale: «La mia priorità, da sempre, è servire le persone che chiamano questa città casa. Sarò il sindaco dei cuochi di Steinway, dei bambini che si dondolano al Dutch Kills Playground, dei passeggeri dell’autobus che aspettano il Q101». Solo che da adesso li vedrà col binocolo dal suo ampio terrazzo.
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Vediamo i dettagli: per quel che riguarda i rimpatri, la modifica del regolamento sul concetto di «Paese terzo sicuro» consentirà agli Stati europei di respingere una richiesta di asilo senza entrare nel merito della singola pratica, ma dichiarando la domanda stessa come «irricevibile» già al momento della presentazione se il richiedente avrebbe potuto ottenere asilo in un altro Paese considerato sicuro. Gli Stati potranno applicare il concetto di Paese terzo sicuro sulla base di tre elementi: l’esistenza di un legame tra il richiedente asilo e il Paese terzo; se il richiedente ha transitato attraverso il Paese terzo prima di raggiungere l’Ue; se esiste un accordo con un Paese terzo sicuro che garantisce che la domanda di asilo sarà esaminata. Il Consiglio ha finalmente messo nero su bianco la lista dei Paesi di origine da considerare sicuri: oltre a quelli candidati a far parte dell’Unione, troviamo anche Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco e Tunisia. Ricorderete tutti che alcuni magistrati italiani hanno bloccato il rimpatrio di immigrati provenienti da Egitto e Bangladesh, perché considerati non sicuri: ora la nuova lista dovrebbe mettere fine a ogni dubbio. «Abbiamo un afflusso molto elevato di migranti irregolari», ha spiegato il ministro per l’Immigrazione della Danimarca, Rasmus Stoklund, il cui Paese detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, «e i paesi europei sono sotto pressione. Migliaia di persone annegano nel Mar Mediterraneo o subiscono abusi lungo le rotte migratorie, mentre i trafficanti di esseri umani guadagnano fortune. Ciò dimostra che l’attuale sistema crea strutture di incentivi malsane e un forte fattore di attrazione, difficili da eliminare. La Danimarca e la maggior parte degli Stati membri dell’Ue si sono battuti per l’esame delle domande di asilo in paesi terzi sicuri, al fine di eliminare gli incentivi a intraprendere viaggi pericolosi verso l’Ue».
In sostanza, gli Stati europei potranno realizzare centri per l’esame delle domande di asilo nei Paesi di partenza o di transito dei migranti, bloccando chi non ha i requisiti ancora prima che inizi il viaggio. «Sugli hub per i rimpatri», ha sottolineato Magnus Brunner, commissario Ue per gli Affari interni e la Migrazione, «si tratta di negoziati tra gli Stati membri e poi con i Paesi terzi. Sarebbe positivo, naturalmente, se più parti unissero le forze. Penso ai Paesi Bassi, che stanno discutendo con l’Uganda. La Germania ha già aderito ai colloqui. Così come l’Italia e l’Albania».
A margine dell’intesa, tuttavia, arriva anche la notizia meno piacevole di un accordo con Italia e Grecia che permetterà a Berlino di riconsegnare tutti i migranti che sono arrivati nei due Paesi, sono stati lì registrati e poi hanno scelto di trasferirsi in Germania. Lo ha riferito ieri il quotidiano tedesco Bild spiegando che le norme dovrebbero essere operative a partire da giugno 2026.
«Ottimo lavoro! Le misure di solidarietà stanno dando il via all’attuazione del Patto su migrazione e asilo. E tutte adottate in tempi record. Il Patto, insieme alle proposte sul rimpatrio e sui Paesi sicuri, rivede la nostra politica migratoria. È molto di più: solidarietà. Sicurezza. Responsabilità. Ed efficienza», ha scritto e su X la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Sempre Brunner ha inoltre commentato: «Direi che oggi, con queste riforme, stiamo mettendo in ordine la casa europea e queste riforme che abbiamo concordato oggi sono la base per avere una politica migratoria in atto nell’interesse degli europei. Questo è importante, garantire che abbiamo il controllo su chi può entrare nell’Ue, chi può rimanere e chi deve lasciare di nuovo l’Unione Europea».
Inevitabilmente soddisfatto il ministro dell’Interno italiano, Matteo Piantedosi: «La svolta che il governo italiano ha chiesto in materia di migrazione c’è stata, finalmente abbiamo ottenuto una lista europea di Paesi di origine sicuri, riformato completamente il concetto di Paese terzo sicuro e ci avviamo a realizzare un sistema europeo per i rimpatri realmente efficace. In un momento decisivo per le politiche europee, ha prevalso l’approccio italiano. Gli Stati membri potranno finalmente applicare le procedure accelerate di frontiera (così come previsto dal protocollo Italia-Albania) e a questo si aggiunge l’importante novità che i ricorsi giudiziari non avranno più effetto sospensivo automatico della decisione di rimpatrio. Inoltre», aggiunge, «la definizione di una lista europea dei Paesi terzi sicuri, dove compaiono oltre ai Paesi candidati alla adesione anche Paesi quali Egitto, Tunisia e Bangladesh è in linea con i provvedimenti già adottati dall’Italia». «Accogliamo con grande soddisfazione», commenta Carlo Fidanza, capodelegazione di Fdi-Ecr al Parlamento europeo, «l’accordo. È un risultato che conferma quanto l’Italia guidata abbia fornito una linea chiara e coerente all’Europa sull’immigrazione».
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