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2019-11-16
L’interrogatorio di Bonifazi che inguaia il Pd
Getty
Nel giugno del 2018, in un'intervista al Foglio, l'ex tesoriere del Pd (ora di Italia viva) Francesco Bonifazi spiegò che se l'imprenditore Luca Parnasi «avesse voluto finanziare il Pd lo avrebbe fatto per il canale diretto. Del resto, ai cultori del sospetto, vorrei domandare: che beneficio ci sarebbe a commissionare una prestazione di servizio a una fondazione, peraltro assolutamente evidente e verificabile, invece che emettere direttamente una liberalità al Pd, fiscalmente detraibile?». Ci è voluto un anno, ma il 18 luglio scorso, in una stanza del quartier generale della Guardia di Finanza di Roma, Bonifazi (nell'inchiesta sullo stadio della Roma è accusato di emissione di fatture false e finanziamento illecito di partiti) ha in parte risposto a questa domanda. Perché fu proprio lui, stando alle sue parole, a consigliare Parnasi su come effettuare quel finanziamento.
L'avvocato del Giglio magico lo ha spiegato durante un interrogatorio, rimasto per tutti questi mesi segreto ma che ora La Verità è in grado di raccontare, di fronte al sostituto procuratore Barbara Zuin. E lo ha detto chiaro e tondo di fronte alle domande incalzanti del magistrato, spiegando di aver solo messo in contatto Parnasi e Domenico Petrolo, il responsabile relazioni esterne di Eyu. Non sarebbe mai stato però a conoscenza dell'accordo per l'acquisto della nota ricerca sulla «Casa» commissionata poi nel 2018 da Parnasi alla Fondazione Eyu («Di ciò che è accaduto dopo quella stretta di mano non so niente», dice l'ex tesoriere). Bonifazi ha sottolineato di essere venuto a conoscenza dell'operazione e della vendita del prodotto successivamente, soltanto quando di fatto venne fuori la notizia dell'arresto di Parnasi e «si aprì, anche sulla stampa» il filone sui finanziamenti ai partiti, Lega e Pd.
«[…] con Luca Parnasi», ha spiegato Bonifazi, «mi ero fermato esclusivamente a quelli che erano gli intenti del Parnasi medesimo e quindi tutto cioè che c'è stato successivamente io l'ho ricostruito per evidenti motivi anche di salvaguardia personale». Ovvero? Qui Bonifazi spiega nel dettaglio il suo rapporto con il costruttore romano e l'incontro alla fine del 2017, pochi mesi prima della campagna elettorale del 2018. «In un'occasione c'è stata una chiacchierata più di carattere politico. Parnasi mi fece una valutazione che mi sembrò intelligente, di merito sulla politica, cioè mi spiegò che aveva dentro di sé una sorta di doppia anima: da un lato la tradizione di vicinanza alla sinistra italiana. È una cosa che mi è rimasta impressa, perché mi diceva che suo padre veniva chiamato l'unico palazzinaro comunista di Roma. […] Da lì iniziai a capire se era intenzionato a dare un aiuto al partito e sostanzialmente lui mi fece capire che era disponibile».
Di fronte alle richieste dei magistrati, Bonifazi spiega i dettagli dell'incontro. «Ricordo distintamente il contenuto di questa chiacchierata, che fu anche piacevole, sinceramente. Venne fuori addirittura la cifra che lui poteva sostenere, che era intorno a 250.000 euro. A quel punto io feci una precisazione, che è una precisazione in realtà obbligatoria per un tesoriere, perché è di legge, e cioè che un soggetto non può finanziare un partito per più di 100.000 euro, questa è la legge del 2013, che tra l'altro facemmo». Quindi Bonifazi ammette di aver parlato di finanziamento al Pd con Parnasi. Ma aggiunge che proprio allora, per la cifra troppo alta, decise di presentargli Eyu: «Guarda, c'è anche la Fondazione». Nel corso dell'interrogatorio Bonifazi spiegherà la funzione di Eyu, autonoma rispetto al partito, nata per la tutela del quotidiano Europa, la tv Youdem e L'Unità. Fu l'ex tesoriere del Pd a indicare la fondazione invece del partito, proprio in funzione della sua autonomia. Ma a un certo punto dell'interrogatorio, Bonifazi ammette una certa vicinanza tra le due realtà distinte. «La fondazione Eyu non riceve alcuna sovvenzione o finanziamento dal partito. L'unico spostamento di denaro tra Pd e Eyu può essere avvenuto in occasione della festa dell'Unità per il pagamento dell'affitto di alcuni stand da parte di Eyu».
Rispetto alle presunte fatture false (una ricerca già venduta a 39.000 euro alla Cassa del Notariato, costata 7.000 nel 2015, poi piazzata a 150.000 nel 2018), Bonifazi ha spiegato di aver solo messo in contatto Petrolo e Parnasi. «Il Nazareno è davvero un corridoio lunghissimo. Per arrivare incontri prima Petrolo che me, io ero nella parte finale del corridoio, diciamo la parte nobile del Nazareno […]. Li presento, loro prendono e vengono via, e da quel momento io non mi occupo più della vicenda». Zuin domanda perché aveva scelto, invece di un finanziamento di 100.000 euro al Pd, facendo l'interesse del partito, di finanziare la Fondazione Eyu con 250.000 euro. «Il suo dubbio è legittimo» risponde Bonifazi, «di più, perché è lo stesso che ho avuto io».
Alla Finanza non tornano i conti su 405.000 euro per le feste dem
Fondi per la Festa dell'Unità che neppure la Guardia di finanza alla fine è riuscita a tracciare sono usciti in parte dalla Fondazione Eyu, guidata da Francesco Bonifazi, che era anche il tesoriere del Partito democratico finché a marzo 2019 Nicola Zingaretti non l'ha sostituito con Luigi Zanda perché il partito si trova dal punto di vista finanziario con entrate più che dimezzate, e sono finiti sui conti di Democratica srl, società in liquidazione che gestiva le testate l'Unità, Europa e Donna Europa. Bonifazi con le casse della fondazione invece sembra non avere problemi di partita doppia. Le entrate pareggiano quasi le uscite: nel 2017, infatti, Eyu ha incassato 1.444.527 euro e ne ha sborsati 1.401.856.
Nonostante ciò non è possibile affermare che nei bilanci sia tutto comprensibile. Hanno avuto problemi a raccapezzarcisi anche gli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria di Roma. Gli stessi che hanno scoperto che Luca Parnasi, arrestato per la vicenda dello stadio della Roma, aveva versato 150.000 euro alla fondazione, soldi probabilmente destinati al Pd e, secondo l'accusa, non iscritti nei bilanci. I finanzieri, in un'informativa che La Verità ha potuto consultare, definiscono in alcuni punti l'operatività della fondazione «sospetta». Bilanci alla mano si è scoperto che le entrate di gestione ammontano a 846.769 euro. Si tratta di quasi la metà di quanto transitato sul conto corrente di Eyu preso in esame. Poi i finanzieri si fermano ad analizzare le spese: «Considerato che da statuto la fondazione persegue le proprie finalità operando prevalentemente attraverso l'assegnazione di contributi a progetti e iniziative, dalle disposizioni effettuate non è possibile risalire ai singoli progetti finanziati e dal bilancio consuntivo del 2017 gli oneri da attività istituzionali ammontano a 244.803 euro, cifra decisamente inferiore agli addebiti effettuati». Che, nel periodo tra il 9 ottobre 2017 e il 5 novembre 2018 ammontano a 1.274.885 euro, giunti sul conto di Eyu con 46 bonifici, tra i quali alcuni di provenienza estera. E tra le uscite ci sono quelle per la Festa dell'Unità del 2017 (che si è tenuta a Imola dal 9 al 24 settembre): 61.000 euro (ma in totale i fondi transitati, con quattro bonifici, da Eyu a Democratica ammontano a 122.000 euro). C'è anche un bonifico da 20.000 euro, datato 5 giugno 2018, per la Fondazione Open, che organizzava la Leopolda prima della sua liquidazione e chiusura. Insomma, Eyu, che veniva definita la cassaforte del Partito democratico, in realtà, sostiene anche le entità che orbitano attorno al Pd.
Ovviamente, per capire il giro di soldi legato alla Festa dell'Unità, la Guardia di finanza ha analizzato anche i conti di Democratica. E, oltre ad annotare che i bonifici provenienti dal Pd ammontano a 895.750 euro, ha scoperto anche che 565.210 euro «non sono connessi alle attività editoriali» e che, scrivono i finanzieri, «si riferiscono prevalentemente ai corrispettivi pattuiti per l'organizzazione della Festa dell'Unità». Di quei ricavi alla fine, una parte è stata usata per la Festa dell'Unità e una parte (160.924 euro) per «il riaddebito di costi relativi a personale distaccato presso l'Unità e a sopravvenienze attive per storno di debiti verso il quotidiano a fronte dell'accordo di risoluzione dei contratti attivi e passivi fra le parti». Questa è la motivazione ufficiale. L'importo, però, «risulta incompatibile», annotano gli investigatori, con gli accrediti transitati sul conto intestato alla società. E, così, tra Eyu e Democratica non tornano i conti su 405.000 euro (244.803 per Eyu e 160.924 per Democratica).
Ma perché gli investigatori si sono insospettiti? Tutto ruota attorno «agli accrediti pervenuti sul conto corrente» di Eyu, che «non trovano corrispondenza nei dati di bilancio 2017, sia negli importi sia nella destinazione». Non solo: ci sono dei giroconti «pervenuti da altro intermediario», sottolineano gli investigatori, «di cui non è possibile verificare l'origine della provvista». Quelle tracciabili, invece, sono varie. Tutte riportate nel lungo elenco raccolto dalla finanza. Si va dai 100.000 euro di Msc crociere, ai 200.000 di Gunther reform holding, società che acquisì il 20 per cento dell'Unità. Passando per i 25.000 euro versati dalla Gamenet Spa, tra le società concessionarie di slot machine, per i 24.400 di Lottomatica (alla quale il governo Gentiloni rinnovò senza gara la concessione dei gratta e vinci proprio nel 2017), per i 10.000 euro sborsati dallo stilista Brunello Cucinelli (che partecipò anche a una Leopolda) e per i 54.900 pagati nel 2017 e gli 80.000 nel 2018 dalla Algebris Uk limited di Davide Serra, finanziere di centrosinistra e finanziatore di alcune campagne elettorali del Bullo (nel 2013 era anche lui alla Leopolda). Spunta anche un bonifico di 36.600 euro di Manutencoop Facility (tra le società finite nell'inchiesta Consip e multata dall'Antitrust insieme alle altre imprese che nel 2014 fecero cartello nella maxi gara denominata Fm4). Ci sono infine 40.000 euro bonificati da Emanuele Boschi, fratello di Maria Elena. Lo stesso che ha poi ottenuto insieme a Federico Lovadina (entrambi sono dello studio tributario Bonifazi) una consulenza proprio da Parnasi da 30.000 euro, come stabilito dal liquidatore della società Parsitalia.
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Disse a Luca Parnasi che non poteva dare 250.000 euro al partito, ma a Eyu sì. Dalla fondazione, poi, i soldi venivano girati ai dem per attività o per il giornale. E alla Finanza non tornano i conti su ben 405.000 euro.Le Fiamme gialle, in una informativa, definiscono «sospetta» l'operatività della ex cassaforte democratica. Al centro flussi di denaro senza giustificativi. E tra le donazioni spuntano 40.000 euro dal fratello di Maria Elena Boschi.Lo speciale contiene due articoli.Nel giugno del 2018, in un'intervista al Foglio, l'ex tesoriere del Pd (ora di Italia viva) Francesco Bonifazi spiegò che se l'imprenditore Luca Parnasi «avesse voluto finanziare il Pd lo avrebbe fatto per il canale diretto. Del resto, ai cultori del sospetto, vorrei domandare: che beneficio ci sarebbe a commissionare una prestazione di servizio a una fondazione, peraltro assolutamente evidente e verificabile, invece che emettere direttamente una liberalità al Pd, fiscalmente detraibile?». Ci è voluto un anno, ma il 18 luglio scorso, in una stanza del quartier generale della Guardia di Finanza di Roma, Bonifazi (nell'inchiesta sullo stadio della Roma è accusato di emissione di fatture false e finanziamento illecito di partiti) ha in parte risposto a questa domanda. Perché fu proprio lui, stando alle sue parole, a consigliare Parnasi su come effettuare quel finanziamento. L'avvocato del Giglio magico lo ha spiegato durante un interrogatorio, rimasto per tutti questi mesi segreto ma che ora La Verità è in grado di raccontare, di fronte al sostituto procuratore Barbara Zuin. E lo ha detto chiaro e tondo di fronte alle domande incalzanti del magistrato, spiegando di aver solo messo in contatto Parnasi e Domenico Petrolo, il responsabile relazioni esterne di Eyu. Non sarebbe mai stato però a conoscenza dell'accordo per l'acquisto della nota ricerca sulla «Casa» commissionata poi nel 2018 da Parnasi alla Fondazione Eyu («Di ciò che è accaduto dopo quella stretta di mano non so niente», dice l'ex tesoriere). Bonifazi ha sottolineato di essere venuto a conoscenza dell'operazione e della vendita del prodotto successivamente, soltanto quando di fatto venne fuori la notizia dell'arresto di Parnasi e «si aprì, anche sulla stampa» il filone sui finanziamenti ai partiti, Lega e Pd. «[…] con Luca Parnasi», ha spiegato Bonifazi, «mi ero fermato esclusivamente a quelli che erano gli intenti del Parnasi medesimo e quindi tutto cioè che c'è stato successivamente io l'ho ricostruito per evidenti motivi anche di salvaguardia personale». Ovvero? Qui Bonifazi spiega nel dettaglio il suo rapporto con il costruttore romano e l'incontro alla fine del 2017, pochi mesi prima della campagna elettorale del 2018. «In un'occasione c'è stata una chiacchierata più di carattere politico. Parnasi mi fece una valutazione che mi sembrò intelligente, di merito sulla politica, cioè mi spiegò che aveva dentro di sé una sorta di doppia anima: da un lato la tradizione di vicinanza alla sinistra italiana. È una cosa che mi è rimasta impressa, perché mi diceva che suo padre veniva chiamato l'unico palazzinaro comunista di Roma. […] Da lì iniziai a capire se era intenzionato a dare un aiuto al partito e sostanzialmente lui mi fece capire che era disponibile». Di fronte alle richieste dei magistrati, Bonifazi spiega i dettagli dell'incontro. «Ricordo distintamente il contenuto di questa chiacchierata, che fu anche piacevole, sinceramente. Venne fuori addirittura la cifra che lui poteva sostenere, che era intorno a 250.000 euro. A quel punto io feci una precisazione, che è una precisazione in realtà obbligatoria per un tesoriere, perché è di legge, e cioè che un soggetto non può finanziare un partito per più di 100.000 euro, questa è la legge del 2013, che tra l'altro facemmo». Quindi Bonifazi ammette di aver parlato di finanziamento al Pd con Parnasi. Ma aggiunge che proprio allora, per la cifra troppo alta, decise di presentargli Eyu: «Guarda, c'è anche la Fondazione». Nel corso dell'interrogatorio Bonifazi spiegherà la funzione di Eyu, autonoma rispetto al partito, nata per la tutela del quotidiano Europa, la tv Youdem e L'Unità. Fu l'ex tesoriere del Pd a indicare la fondazione invece del partito, proprio in funzione della sua autonomia. Ma a un certo punto dell'interrogatorio, Bonifazi ammette una certa vicinanza tra le due realtà distinte. «La fondazione Eyu non riceve alcuna sovvenzione o finanziamento dal partito. L'unico spostamento di denaro tra Pd e Eyu può essere avvenuto in occasione della festa dell'Unità per il pagamento dell'affitto di alcuni stand da parte di Eyu».Rispetto alle presunte fatture false (una ricerca già venduta a 39.000 euro alla Cassa del Notariato, costata 7.000 nel 2015, poi piazzata a 150.000 nel 2018), Bonifazi ha spiegato di aver solo messo in contatto Petrolo e Parnasi. «Il Nazareno è davvero un corridoio lunghissimo. Per arrivare incontri prima Petrolo che me, io ero nella parte finale del corridoio, diciamo la parte nobile del Nazareno […]. Li presento, loro prendono e vengono via, e da quel momento io non mi occupo più della vicenda». Zuin domanda perché aveva scelto, invece di un finanziamento di 100.000 euro al Pd, facendo l'interesse del partito, di finanziare la Fondazione Eyu con 250.000 euro. «Il suo dubbio è legittimo» risponde Bonifazi, «di più, perché è lo stesso che ho avuto io». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-dritta-di-bonifazi-a-parnasi-che-voleva-finanziare-il-pd-guarda-che-ce-anche-eyu-2641357949.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="alla-finanza-non-tornano-i-conti-su-405-000-euro-per-le-feste-dem" data-post-id="2641357949" data-published-at="1765818917" data-use-pagination="False"> Alla Finanza non tornano i conti su 405.000 euro per le feste dem Fondi per la Festa dell'Unità che neppure la Guardia di finanza alla fine è riuscita a tracciare sono usciti in parte dalla Fondazione Eyu, guidata da Francesco Bonifazi, che era anche il tesoriere del Partito democratico finché a marzo 2019 Nicola Zingaretti non l'ha sostituito con Luigi Zanda perché il partito si trova dal punto di vista finanziario con entrate più che dimezzate, e sono finiti sui conti di Democratica srl, società in liquidazione che gestiva le testate l'Unità, Europa e Donna Europa. Bonifazi con le casse della fondazione invece sembra non avere problemi di partita doppia. Le entrate pareggiano quasi le uscite: nel 2017, infatti, Eyu ha incassato 1.444.527 euro e ne ha sborsati 1.401.856. Nonostante ciò non è possibile affermare che nei bilanci sia tutto comprensibile. Hanno avuto problemi a raccapezzarcisi anche gli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria di Roma. Gli stessi che hanno scoperto che Luca Parnasi, arrestato per la vicenda dello stadio della Roma, aveva versato 150.000 euro alla fondazione, soldi probabilmente destinati al Pd e, secondo l'accusa, non iscritti nei bilanci. I finanzieri, in un'informativa che La Verità ha potuto consultare, definiscono in alcuni punti l'operatività della fondazione «sospetta». Bilanci alla mano si è scoperto che le entrate di gestione ammontano a 846.769 euro. Si tratta di quasi la metà di quanto transitato sul conto corrente di Eyu preso in esame. Poi i finanzieri si fermano ad analizzare le spese: «Considerato che da statuto la fondazione persegue le proprie finalità operando prevalentemente attraverso l'assegnazione di contributi a progetti e iniziative, dalle disposizioni effettuate non è possibile risalire ai singoli progetti finanziati e dal bilancio consuntivo del 2017 gli oneri da attività istituzionali ammontano a 244.803 euro, cifra decisamente inferiore agli addebiti effettuati». Che, nel periodo tra il 9 ottobre 2017 e il 5 novembre 2018 ammontano a 1.274.885 euro, giunti sul conto di Eyu con 46 bonifici, tra i quali alcuni di provenienza estera. E tra le uscite ci sono quelle per la Festa dell'Unità del 2017 (che si è tenuta a Imola dal 9 al 24 settembre): 61.000 euro (ma in totale i fondi transitati, con quattro bonifici, da Eyu a Democratica ammontano a 122.000 euro). C'è anche un bonifico da 20.000 euro, datato 5 giugno 2018, per la Fondazione Open, che organizzava la Leopolda prima della sua liquidazione e chiusura. Insomma, Eyu, che veniva definita la cassaforte del Partito democratico, in realtà, sostiene anche le entità che orbitano attorno al Pd. Ovviamente, per capire il giro di soldi legato alla Festa dell'Unità, la Guardia di finanza ha analizzato anche i conti di Democratica. E, oltre ad annotare che i bonifici provenienti dal Pd ammontano a 895.750 euro, ha scoperto anche che 565.210 euro «non sono connessi alle attività editoriali» e che, scrivono i finanzieri, «si riferiscono prevalentemente ai corrispettivi pattuiti per l'organizzazione della Festa dell'Unità». Di quei ricavi alla fine, una parte è stata usata per la Festa dell'Unità e una parte (160.924 euro) per «il riaddebito di costi relativi a personale distaccato presso l'Unità e a sopravvenienze attive per storno di debiti verso il quotidiano a fronte dell'accordo di risoluzione dei contratti attivi e passivi fra le parti». Questa è la motivazione ufficiale. L'importo, però, «risulta incompatibile», annotano gli investigatori, con gli accrediti transitati sul conto intestato alla società. E, così, tra Eyu e Democratica non tornano i conti su 405.000 euro (244.803 per Eyu e 160.924 per Democratica). Ma perché gli investigatori si sono insospettiti? Tutto ruota attorno «agli accrediti pervenuti sul conto corrente» di Eyu, che «non trovano corrispondenza nei dati di bilancio 2017, sia negli importi sia nella destinazione». Non solo: ci sono dei giroconti «pervenuti da altro intermediario», sottolineano gli investigatori, «di cui non è possibile verificare l'origine della provvista». Quelle tracciabili, invece, sono varie. Tutte riportate nel lungo elenco raccolto dalla finanza. Si va dai 100.000 euro di Msc crociere, ai 200.000 di Gunther reform holding, società che acquisì il 20 per cento dell'Unità. Passando per i 25.000 euro versati dalla Gamenet Spa, tra le società concessionarie di slot machine, per i 24.400 di Lottomatica (alla quale il governo Gentiloni rinnovò senza gara la concessione dei gratta e vinci proprio nel 2017), per i 10.000 euro sborsati dallo stilista Brunello Cucinelli (che partecipò anche a una Leopolda) e per i 54.900 pagati nel 2017 e gli 80.000 nel 2018 dalla Algebris Uk limited di Davide Serra, finanziere di centrosinistra e finanziatore di alcune campagne elettorali del Bullo (nel 2013 era anche lui alla Leopolda). Spunta anche un bonifico di 36.600 euro di Manutencoop Facility (tra le società finite nell'inchiesta Consip e multata dall'Antitrust insieme alle altre imprese che nel 2014 fecero cartello nella maxi gara denominata Fm4). Ci sono infine 40.000 euro bonificati da Emanuele Boschi, fratello di Maria Elena. Lo stesso che ha poi ottenuto insieme a Federico Lovadina (entrambi sono dello studio tributario Bonifazi) una consulenza proprio da Parnasi da 30.000 euro, come stabilito dal liquidatore della società Parsitalia.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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