La zavorra ereditata dalla vecchia Fca Italy non dipende solo dal Covid. Il nuovo gruppo, con 13 miliardi di profitti nel 2021, potrebbe riassorbire la perdita delle nostre fabbriche. Ma la tentazione è quella dei tagli.
La zavorra ereditata dalla vecchia Fca Italy non dipende solo dal Covid. Il nuovo gruppo, con 13 miliardi di profitti nel 2021, potrebbe riassorbire la perdita delle nostre fabbriche. Ma la tentazione è quella dei tagli.C’è un’eredità scomoda che la dinastia degli Agnelli-Elkann ha lasciato in dote alla nuova Stellantis, il gruppo nato dalle nozze tra Fca e la francese Psa e che ha compiuto in questi giorni il primo anno di vita. È un lascito pesante che vale in negativo ben 2,44 miliardi di euro. Sono le perdite maturate nel corso del 2020 dalla Fca Italy, di fatto le attività della vecchia Fiat auto nell’area Emea, cioè l’Europa allargata. Quel bilancio pre-fusione è l’ultima dote, non certo gradita, portata in grembo a Stellantis e chiude l’avventura della Fiat auto di antica memoria. Certo Stellantis, che ha chiuso il primo anno di attività con risultati record (150 miliardi di ricavi e oltre 13 miliardi di profitti netti), ha le spalle talmente grandi da assorbire del tutto l’impatto negativo delle attività in Europa dei marchi Fiat, Lancia, Alfa Romeo e così via. Ma ovviamente resta sul tappeto delle nuove strategie del quarto produttore di auto nel mondo la zavorra dei passivi della vecchia Fiat auto. Si dirà che il buco da oltre 2 miliardi, trasmigrato in casa Stellantis, è figlio dell’anno drammatico del Covid. In buona parte vero, dato che Fca Italy nel suo complesso ha visto un calo delle consegne di auto di ben 242.000 unità in soli 12 mesi portando le vetture vendute nel 2000 a poco più di 1,1 milioni. Ma il «rosso» profondo» dell’ultimo addio non è un caso isolato e il Covid ha solo accelerato una striscia negativa che dura da anni. Nel 2019 le perdite di Fca Italy furono di 380 milioni, ma con un margine pre tax negativo per 900 milioni. E prima non è mai andata bene. Dal 2015 al 2018 il passivo cumulato nell’ultima riga di bilancio è stato di oltre 4,5 miliardi, dato che porta il conto salato delle perdite, con quelle degli ultimi anni, a superare quota 7 miliardi. Segno che da anni le attività della vecchia Fiat auto lavorano con costi (cui si sommano svalutazioni di asset) che superano costantemente i ricavi. Ricavi tra l’altro saliti negli anni. Nel 2014 Fca Italy ha prodotto fatturato per 19 miliardi, saliti a 24 miliardi nel 2019 e poi caduti (effetto pandemia) a 20 miliardi pre fusione. Ma i costi mandano da sempre in rosso il margine lordo e poi ci si mettono le svalutazioni ad approfondire il quadro negativo. Solo nel 2020 Fca Italy ha svalutato le sue partecipazioni, tra stabilimenti industriali e attività commerciali, per 680 milioni. E così, perdite su perdite, la vecchia Fiat auto resta, prima con Sergio Marchionne, e ora con Carlos Tavares, il bubbone aperto del gruppo. Gruppo che con la controllante Fca nv ha dovuto continuare a ripianare le perdite con versamenti in conto capitale per oltre 8 miliardi, l’ultimo nel 2016 per 3,5 miliardi. E non è un caso che l’amministratore delegato di Stellantis, il portoghese targato Peugeot Tavares, abbia in almeno due occasioni puntato il dito sulle performance degli impianti europei, in particolare quelli italiani, segnalando come «i costi di produzione negli impianti in Italia sono significativamente più alti per unità assemblata, a volte il doppio, rispetto alle fabbriche di altri Paesi europei, nonostante un costo del lavoro più basso». Affermazioni lapidarie e che non possono che alludere a interventi pesanti di ristrutturazione in Italia. E sul punto del costo del lavoro Tavares ha pienamente ragione. Guardando il bilancio di Fca Italy si scopre che il costo del lavoro non è certo il problema. Nel 2019 le retribuzioni lorde hanno pesato per soli 1,6 miliardi su 24 miliardi di fatturato, poco meno del 7%. Nel 2020 il peso del costo del lavoro sui ricavi (scesi) è salito a solo il 7,5%. Il problema evidentemente è altrove. Costi dell’energia e di altri fattori produttivi incidono senz’altro di più rispetto a Paesi come la Serbia e la Polonia. E poi c’è un tema di gamma di modelli, dove la leva del prezzo è difficile da usare. Non solo ma, come documenta uno studio della Fim Cisl, in Italia i volumi produttivi continuano a flettere. Tra il 2017 e il 2021 la produzione di veicoli sarebbe crollata del 33%. Una sorta di lenta consunzione. Alla fine emerge sempre più e con forza che il vero capolavoro prodotto da Marchionne, e che ha salvato gli Agnelli dalla débâcle, è stata la conquista di Chrysler. Gli Usa hanno portato in dote un mercato ricco che grazie a vendite e margini più che, doppi rispetto alla vecchia Fiat, hanno risollevato il gruppo da una annosa china discendente. L’altro miracolo finanziario è la fusione con Psa. Ai francesi si è aperto il mercato Usa dove erano poco presenti, agli Agnelli i francesi hanno portato in dote un mercato europeo con marchi e modelli a maggiore redditività. Certo il buco cronico delle attività della vecchia Fiat auto è la sfida che attende Tavares, il ristrutturatore famoso per aver riportato a galla il marchio Opel dissestato. Lui ha già messo più volte le mani avanti. E pur dall’alto di un bilancio che gronda profitti come mai nella storia dei due gruppi presi singolarmente, andrà dritto per la sua strada. Vista così appare un paradosso ma mentre Stellantis sfornava a livello globale oltre 13 miliardi di utili netti, in Italia la cassa integrazione in molti impianti continua a dettare legge. E nei giorni scorsi anche Melfi si è fermata per la mancanza di micro-chip. Chissà cosa tirerà fuori dal cilindro il manager portoghese per risollevare le sorti di quell’angolo di business che gli dà molti grattacapi. Per ora poco si sa. Di certo c’è un piano industriale (addirittura decennale) che promette fuochi d’artificio. Con ricavi raddoppiati a 300 miliardi al 2030 e margini operativi sopra il 10% per tutta la durata del piano e con l’Europa a recuperare quasi del tutto il gap di profittabilità industriale rispetto agli Usa. Che ruolo avrà la vecchia Fca Italy in questo nuovo miracolo economico, non è dato sapersi. Per ora.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





