2021-06-29
La difesa di Castellucci? Passare per fesso
Giovanni Castellucci (Getty Images)
L'uomo dei Benetton parla come se non fosse stato per 15 anni il padre padrone di Autostrade. E fa pure lo gnorri: «Che c'entro io?» Per il manager, l'azienda era un «modello di sicurezza». I dirigenti intercettati dicevano: «Questo viadotto sta in piedi col Vinavil». Ce l'hanno tutti con lui. Chissà perché. Giovanni Castellucci proprio non si capacita che qualcuno osi chiedergli conto, dopo tre anni, dei 43 morti del ponte Morandi. «Vogliono addossare le responsabilità a me», si stupisce. In effetti: come si permettono? Chi può pensare che lui c'entri qualcosa? È stato per vent'anni massimo dirigente dei Benetton, per quindici anni amministratore delegato delle Autostrade, da lui dipendeva tutto, ogni euro, ogni investimento, ogni decisione, era più che un capo, era il gran visir, il plenipotenziario, veniva anche pagato lautamente per questo (finanche 5 milioni di euro l'anno), andava in Parlamento a rappresentare il concessionario, a lui riferivano tecnici, amministratori, funzionari, tutti quanti. Epperò, adesso, insomma, non è che gli si possano addossare delle responsabilità. Ma come si permettono? Che cosa poteva saperne lui di cantieri e manutenzioni? Lui i cantieri non li guardava. Faceva l'amministratore delegato, mica l'umarell. Così ci manca poco che questo genio arrivi a chiedere i danni ai parenti delle vittime. Perché è chiaro lui è «segnato profondamente dalla tragedia». Lui. E infatti è così segnato che, dopo la chiusura delle indagini che lo indicano fra i massimi responsabili, rompe il silenzio con un'intervista al Corriere della Sera in cui sceglie la linea di difesa, riassumibile nel motto. «Non c'ero, se c'ero dormivo, se dormivo sognavo di non esserci». Roba efficace come i suoi interventi di manutenzione, insomma. Se avesse fatto parlare l'umarell, al posto suo, sicuramente diceva cose più intelligenti. O, se non altro, meno irritanti. «Eravamo considerati un modello in tema di sicurezza», si vanta infatti. E come non dargli ragione? Ne abbiamo avuto ampie prove di questo modello di sicurezza. Per esempio quei dirigenti che al telefono dicevano: «Questo viadotto sta in piedi col Vinavil», che cos'erano? Un modello di sicurezza, ovvio. E quello che doveva controllare il ponte e ha detto: «L'ho visto col binocolo»? Altro modello di sicurezza. Strano che l'ottimo Castellucci non abbia pensato di farne anche un manuale a dispense per i futuri corsi di ingegneria: «Vinavil e binocolo. E diventi anche tu modello di sicurezza». L'ex capo di Autostrade si difende dicendo che le intercettazioni in cui i manager ammettono di non aver fatto gli interventi dovuti sono «suscettibili di strumentalità». Cioè sarebbero studiate apposta per «scagionarsi, accusare, compiacere». E invita a guardare i numeri. Purtroppo però, anche qui la linea difensiva fa acqua. I numeri, infatti, gli danno ancor più torto delle telefonate dei suoi manager. Basti pensare che fra il momento della concessione e il crollo del ponte, la società dei Benetton ha investito un miliardo e mezzo in meno di quanto avevano loro stessi previsto nei piani di investimenti. Un miliardo e mezzo in meno. Il ponte Morandi veniva indicato già nel 2013 nei documenti ufficiali come «a rischio crollo per ritardati interventi di manutenzione». Ma gli interventi non sono stati fatti. Nemmeno allora. Nemmeno di fronte al rischio imminente. E sapete perché? Ovvio: perché bisognava distribuire i dividendi ai Benetton, i quali infatti si sono messi in tasca 7,4 miliardi in otto anni (fra il 2010 e il 2018). Sempre a proposito di numeri, per l'appunto: da una parte il viadotto sempre più consumato, dall'altra le tasche della famiglia di Treviso sempre più gonfie di soldi. E in mezzo lui, Castellucci, che per questa gestione oculata delle risorse è stato premiato con stipendi fra i più alti d'Italia (fino a 5 milioni di euro, per l'appunto, che sono 416.000 euro al mese, circa 14.000 euro al giorno). Ma se fossimo i Benetton ora glieli chiederemmo tutti indietro quei soldi a Castellucci. Perché, in effetti, dall'intervista al Corriere abbiamo scoperto che lui non contava nulla. Non decideva nulla. «I rapporti con Edizione Holding, Benetton l'ad Mion, il dg Bertazzo e con il cda erano continui», dice. «Mi stupisce il tentativo di tutti coloro che avevano un ruolo di trasformare la condivisione totale in ignoranza di tutto». Insomma, lui che c'entra? Prendeva 5 milioni di euro l'anno, ma non lo si può mica definire responsabile. Di che cosa poi? Lui condivideva. Ecco tutto. Gli altri sapevano. Se proprio uno vuol trovare una responsabilità, non bastassero l'ad Mion, il dg Bertazzo e il cda intero, beh, allora è sufficiente andare un po' indietro e prendersela con Riccardo Morandi, l'ingegnere che costruì il ponte, e poi ovviamente con lo Stato che non capì il «difetto di costruzione occulto» e con i «tecnici qualificati» che «nel 1993, in occasione della precedente ristrutturazione» sbagliarono tutto. Purtroppo lo spazio in pagina concesso dal Corriere era finito altrimenti Castellucci avrebbe anche potuto scavare ancora un po' nel tempo e trovare qualche altro sicuro responsabile del crollo del 2018: Garibaldi, Asdrubale, Attilio Regolo, gli Orazi e i Curiazi e Matusalemme. Tutta gente che, come è noto, ha avuto su Autostrade negli ultimi anni un'influenza superiore a quelli di Castellucci. Il quale, a parte ritirare lo stipendio, non si capisce bene che cosa facesse tutto il giorno. Anzi no, una cosa per la verità l'ha fatta. Lo ammette il medesimo Castellucci proprio alla fine dell'intervista. Dice che «negli atti depositati ci sono i miei continui inviti ad affrontare il tema delle manutenzioni in maniera organica e risolutiva». «Ma questo», conclude «non ha evitato la tragedia». Dal che si deduce che l'umarell Castellucci in realtà, passando di lì per caso, si era reso conto che il «modello di sicurezza» non era propriamente un modello di sicurezza e lo ha pure messo per iscritto. Soltanto che i «continui inviti» non sono serviti a nulla. Ora resta l'amletico dubbio: a chi li ha fatti questi «continui inviti»? A chi ha chiesto con insistenza di «affrontare il tema delle manutenzioni»? A qualche pensionato di passaggio sui cantieri? All'usciere del palazzo? Al cane del vicino? Al merlo canterino che lo sveglia ogni mattina? Perché se i «continui inviti» fossero stati inviati da Giovanni Castellucci (umarell) a Giovanni Castellucci (amministratore delegato, plenipotenziario dei Benetton, potente e strapagato capo d'azienda) quest'ultimo avrebbe di sicuro potuto fare qualcosa per evitare la tragedia. Ma forse, chissà, con la prossima intervista ci spiegherà che non aveva trovato l'indirizzo giusto. Per colpa di Romolo e Remo, ovviamente.