2022-09-29
La destra è già a un bivio tra la «transizione» e l’europilota automatico
Mario Draghi (Getty images)
Il passaggio di consegne è imprescindibile, ma può diventare una gabbia. Ieri c’è stato un vertice congiunto sulla manovra: il banco di prova sarà su fisco, dicasteri e Piano Ue.È chiaro che ai quotidiani che da anni ammiccano ai potenti di sinistra faccia comodo descrivere rapporti tesi tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini. L’idea - meglio, la speranza - è che la coalizione si rompa. C’è chi si è spinto fino a virgolettare parole di disappunto della leader di Fdi contro il collega leghista. La pronta smentita è stata seguita da un’altra rettifica altrettanto importante. Un altro quotidiano ha raccontato di telefonate di Mario Draghi agli altri leader Ue per raccomandare la Meloni e garantire per lei. Palazzo Chigi diffonde una nota per negare le telefonate ma al tempo stesso ribadire un concetto: «L’impegno del governo uscente è quello di garantire un’ordinata transizione nell’ambito dei corretti rapporti istituzionali». Chi racconta delle telefonate mira a ottenere lo stesso effetto ma opposto rispetto alla voci di litigi dentro la coalizione. Descrivere Meloni e Draghi a braccetto significa insinuare che Fratelli d’Italia possa bersi la cosiddetta agenda Draghi, che altro non è il binario rigido imposto dall’Ue. Eppure bisogna ammettere che queste insinuazioni colpiscono proprio nel punto più delicato della formazione del nuovo governo, che cammina su un filo sottile che divide la transizione ordinata dal pilota automatico (quello imposto dall’Ue). Se da un lato, come spiega Palazzo Chigi e come abbiamo avuto modo di scrivere, la transizione ordinata è un atteggiamento istituzionale che servirà al prossimo governo per non farsi fregare e rimanere con il cerino in mano dei dossier, dall’altro un eccessivo utilizzo di ministri tecnici può portare il posizionamento troppo vicino a quelli che sono i contenuti e gli indirizzi del precedente governo e quindi del Pd. In pratica, una drammatica deriva. Sarà invece importante mantenere la forma complementare per l’Ue ma inserire dentro una nuova sostanza. Succederà? Lo capiremo. Le premesse al momento sono valide per entrambe i risultati. Di certo è la prima volta che si assiste a un vero passaggio di consegne tra governi. Si è infatti tenuta al Mef una riunione alla presenza dell’attuale ministro Daniele Franco, del sottosegretario Federico Freni, partecipante in qualità di delegato Lega, di Maurizio Leo, responsabile fiscale di Fdi, e il titolare dei dipartimenti di Forza Italia, Alessandro Cattaneo. Si sono gettate le basi della prossima legge Finanziaria. O per essere più precisi, si è cominciato a discuterne. Si cercano risparmi sui capitali precedenti per verificare una prima base di spesa. Indiscrezioni in base al livello di deficit effettivo raccontano di circa 3 miliardi, anche se ieri sono uscite agenzie stampa molto più ottimistiche. Al tempo stesso di è affrontato il tema della Nadef, la Nota di aggiornamento al documento di finanza, poi approvato ieri sera dall’attuale consiglio dei ministri. Il testo contiene una buona notizia per il centrodestra e una cattiva. Le stime per il Pil relative all’anno corrente sono ottimistiche. Non poco, diremmo, visto che prevedono una crescita del 3,3% rispetto al 3,1%. Una forchetta che garantirà maggiore possibilità di spesa in manovra grazie ai residui del 2022. Mentre per il prossimo anno la previsione del Pil si gela allo 0,6%. E qui i margini diventano ridottissimi. Una strada sottile che imporrà subito scelte importanti. Il futuro governo farà scostamento? O si limiterà a navigare con bonus e aiuti ma senza interventi strutturali, come ha fatto l’uscente? Prenderà decisioni sul fisco impegnative e quindi taglierà le tasse, o si limiterà a limare il cuneo fiscale, come chiede l’Europa o come piaceva al Pd? Tra l’altro, su questi temi, Fdi e Lega sono su posizioni diverse. C’è da sperare che Forza Italia medi e si torni a pensare alle Pmi e a chi produce. Un riferimento non casuale visto che mettere mano al reddito di cittadinanza garantirebbe grandi margini di azione per fare qualcosa di rivoluzionario. Bisogna però ricordare che il Rdc non è solo una cavallo di battaglia dei 5 stelle. Lo è stato di Draghi, che ha aggiunto altri miliardi alla spesa già elevata stanziata dal Conte 1. Infine, il grande sostenitore del reddito di cittadinanza è la stessa Bruxelles, che immagina l’Ue come un accrocco di cittadini il più possibile sussidiati. Pure su questo tema sarà illuminante la scelta del nome del prossimo ministro dell’Economia. Dall’incontro di ieri tra Matteo Salvini e Meloni non sono usciti nomi. È chiaro che sia una nomina di competenza di Fdi, ma al momento sul piatto non c’è nulla. Fabio Panetta, attuale membro della Bce, avrebbe declinato l’offerta. Restano altri tecnici d’area, magari di fede draghiana, che potrebbero essere affiancati da due viceministri politici con deleghe pesanti da cdm. Diversa, invece, la sfida del Pnrr. Il piano europeo di indebitamento potrebbe godere di uno specifico sottosegretario, il cui compito sarebbe quello di mantenere intatta la cornice e di modificare alcune voci di spesa e alcuni cantieri. Almeno, questo ce lo auguriamo. Visto che il Pnrr è stato studiato con un livello di inflazione del 2%. Intervenire è sacrosanto. Non farlo significherebbe perdurare nell’ottusità del Pd e nella cecità dell’Ue. La scelta sul Pnrr potrebbe essere la prima cartina al tornasole per poter dire che non è scattato il pilota automatico che annienterebbe l’anima del governo.