2020-03-14
La cucina parmigiana dove i sapori valgono sette musei
Felice sintesi di materia prima, tradizioni e marchi leader Incrocio di gusti, costumi, culture e tentazioni gastronomiche.È la Capitale Italiana della cultura 2020 ma, nell'immaginario del turista goloso, specie se foresto, è l'indiscusso centro di gravità permanente della Food valley. Parma è stata anche definita Petit Paris, per il suo incredibile incrocio di storia, cultura classica e materiale, ben sintetizzata da quel toscanaccio di Indro Montanelli «a Parma si parte con gli anolini e si approda pari pari a Maria Luigia, a Verdi, a Stendhal». Non c'è solo romanticismo gastrocalorico alla base di queste affermazioni, ma riconoscimenti concreti. Su tutti quello assegnatole dalla Comunità europea, nel 2005, che ha stabilito a Parma (dopo una iniziale tentazione finlandese) la sede permanente dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare. Il premier di allora, Silvio Berlusconi, ebbe a commentare «non potevamo permettere che la renna affumicata avesse la meglio sul nostro culatello». Una scelta oggettiva. Parma è una felice sintesi di materia prima, tradizioni e, soprattutto, di marchi leader nel settore delle moderne tecnologie alimentari, dai prosciuttifici, alle aziende conserviere o quelle addette alla lavorazione della pasta. Non è un caso che, a Colorno, abbia sede l'Alma, la più prestigiosa scuola di cucina italiana, che ha avuto come magnifico rettore il maestro Gualtiero Marchesi. Nel 2015 Parma è stata eletta, dall'Unesco, Città creativa per la gastronomia. Dopo di lei il prestigioso riconoscimento è stato assegnato ad Alba e Bergamo. Vari gli ingredienti che hanno dato luogo a questa intrigante ricetta del mangiare alla parmigiana. In primis il fattore ambientale. Un singolare incrociarsi, e amalgamarsi tra loro, di fattori diversi. L'umidità e le nebbie della pianura (ideali per la conservazione di alcuni prodotti, in primis il culatello). L'aria asciutta della fascia collinare, sia per la coltivazione e raccolta di frutti della terra, dall'uva alle castagne, per non parlare dell'affinamento di salami e prosciutti. Il felice integrarsi del terreno di pianura con l'arrivo di nuove realtà quali granoturco, pomodoro, patate. Una tradizione, dalla pianura al grande fiume, ai rilievi appenninici, ben raccontata attraverso l'originale filiera dei Musei del cibo, ben sette, che verrà approfondita in una delle prossime puntate. Per quelle curiose coincidenze tra l'uomo e la sua storia, Parma si è trovata crocevia di percorsi diversi che, nel tempo, hanno contribuito a costruire quella ricchezza che tutti noi, oggi, possiamo scoprire, non solo al gusto, ma in tutto il contesto di storie e tradizioni che la riguarda. Già l'arrivo degli Etruschi fu pietra fondante, oltre che dell'allevamento del maiale (qui ha prosperato il suino nero di Parma, ora oggetto di recupero mirato), della lavorazione e conservazione dei suoi prodotti, prosciutti e salami, con epicentro Felino. Di qui passava la via Francigena, collegamento tra il nord transalpino e germanico e la Roma vaticana. Accanto ai pellegrini che marciavano con una zucca vuota (a mò di borraccia) e pane secco, vi erano tradotte costanti di commerci. Arrivava l'olio dal sud e poi verso Roma e il meridione, come verso il nord, prendevano la via dei mercati formaggi e prosciutti. Poi c'era la via del sale, che partiva dalla Lunigiana a portare il sale marino in pianura, rivale commerciale di quello per affioramento che si lavorava a Salsomaggiore. Lungo questa strada ecco i porcini (famosi quelli di Borgotaro), così come le castagne, provvidenziale farina per il pane quotidiano. Quale miglior via d'acqua se non il Po, privilegiato collegamento tra l'Adriatico e quindi Venezia, con i centri urbani dominati dalle varie signorie. Fu da qui che arrivarono via via pomodoro, granturco, le stesse patate come le preziose spezie, tanto che a Sacca, il porto fluviale parmense, il pepe veniva usato quale moneta per il pagamento del ripatico, la tassa d'attracco per lo sbarco delle merci. Una storia, quindi, che ha reso Parma e il suo territorio una sorta di «famiglia allargata di sapori», considerato come su questo territorio si siano succedute le principali dinastie regnanti europee. Dai Farnese, di origine romana, ai Borbone, alternati tra ramo spagnolo e francese, come gli stessi austriaci, su tutte l'amatissima Duchessa Maria Luisa d'Asburgo Lorena, figlia dell'imperatore Francesco I, andata in seconde nozze a Napoleone Bonaparte. Dopo la sua definitiva sconfitta a Waterloo, rimasta sempre fedele alla corte austriaca, ebbe in dote il Granducato di Parma e Piacenza. Molto amata dai suoi sudditi, fece molto per la città, rivoluzionando l'urbanistica. Suo il Teatro Regio, come la diffusione della violetta che poi da Parma prese il nome diventando una delle fragranze più amate di sempre. Parma incrocio di gusti e sapori, tradizioni e culture diverse. Che dai fasti delle corti rinascimentali si diffusero a nobiltà e borghesia. Una forte impronta francese, coincidente con il massimo splendore della corte d'oltralpe. Testimoni le memorie di Giacomo Casanova, che, in una delle sue periodiche fuitine, valorizzò le mense dei trattori locali. Un termine che deriva da traiteur, divenuto nella parlata locale trattoeur. Lo stesso Carlo Malaspina, nel suo puntuale Dizionario parmigiano-italiano, del 1856, registra molti francesismi che però, applicati al singolo piatto, spesso rimandano a prodotti leggermente diversi. Parma esportatrice di ricette, come testimoniato da Vincenzo Corrado, un napoletano ex frate dell'ordine dei Celestini, che nel suo Il cuoco galante, dato alle stampe nel 1773, registrò una trentina di ricette con la «P» iniziale di parmigiano, dovuto all'arrivo di molti cuochi parmensi alla corte dei Borbone napoletani. Un viaggio, nella golosa culinaria parmense, dalle svariate conferme e scoperte. Scorrendo un ideale menù inevitabile iniziare dai salumi. Accanto ad ambasciatori che tutto il mondo conosce, con tanto di musei dedicati - prosciutto, culatello, salame di Zibello - ci sono tanti piccoli gregari che meritano adeguata e golosa citazione, come ad esempio la spalla di san Secondo, che ebbe quale testimonial nientemeno che Giuseppe Verdi, gourmet attento e curioso il quale, in prossimità delle feste natalizie, ne inviava diversi colli al suo editore milanese, Giulio Ricordi. Altro esempio la mariola, che ha trovato una sponda nel terzo millennio grazie all'impegno di un mestolo illuminato quale Massimo Spigaroli, la cui famiglia è tra i massimi ambasciatori di sapori e tradizioni della bassa, in quel di Polesine Parmense. Una bella storia di integrazione sociale, in chiave suina. La mariola poteva soddisfare le pulsioni golose delle classi più agiate, come del popolo minuto. In comune l'utilizzo, come budello, dell'intestino cieco del maiale, detto appunto mariola. Nella versione da consumarsi a crudo si utilizzano i tagli più nobili, macinati e lavorati con grasso, sfumatura d'aglio e vino fortana. È vero che l'intestino crasso ha uno spessore importante, ideale per una maturazione di circa un anno, ma dalla scommessa finale non sempre a lieto fine. Tanto è vero che, dalla macellazione di un maiale, si poteva contare su di una sola mariola di successo. Per le classi meno abbienti un rischio inaccettabile, ecco allora che, nel budello, venivano insaccati tagli meno pregiati, con il consumo dopo poche settimane, dopo lunga cottura. Un piatto irrinunciabile della tradizione natalizia, con purè e lenticchie, da alcuni definito la versione più golosa del cotechino. Curiosando per le viuzze del centro storico di Parma innumerevoli le tentazioni che vi attirano dalle vetrine. Andate sul sicuro con il principe, una focaccia calda con scaglie di parmigiano e crudo, così come con la carciofa, una torta salata preparata con i carciofi. Oramai è giunta l'ora di sedersi a tavola, con una serie di piatti che ci porteranno a scoprire le mille tentazioni della cucina parmigiana.