2020-03-25
La crociata tradita di San Wojtyla contro «l’abominio dell’aborto»
Compie 25 anni l'enciclica con cui il Papa polacco chiamò i fedeli alla difesa della vita: una dura condanna delle democrazie che fanno violenza alla natura. Perciò gli stessi cattolici hanno preferito dimenticarla.L'essere umano, specialmente nelle epoche liquide e opache come la nostra, ha bisogno di punti fermi e di messaggi chiari e duraturi per ben vivere e ben morire. Nel marzo del 1995, precisamente 25 anni fa, papa Giovanni Paolo II pubblicava un documento che, riletto oggi, appare non solo assolutamente attuale e non invecchiato di una linea, ma perfino premonitore e tragicamente profetico.La personalità di Karol Wojtyla, nato polacco un secolo fa e morto «italiano» vent'anni or sono, è stata ben scandagliata in ogni minimo aspetto, dagli storici e dai suoi numerosi biografi e studiosi. A cui si è unito recentemente perfino papa Francesco con il libro San Giovanni Paolo Magno (San Paolo). Pochi però si concentrano sull'essenziale del suo magistero pontificio. attentati all'umanitàMolto resterà ancora vivo della sua complessa e composita eredità, ma ciò che risulta più utile non sta tanto nella critica, oggi tutto sommato facile, dei totalitarismi (nazista e comunista), da lui conosciuti di persona, quando era giovane studente e seminarista. Ciò che lo rende un astro raro nella contrastata galassia dei grandi del Novecento, sta nella critica della società contemporanea fondata sull'edonismo, sul primato dei diritti sui doveri, dell'individuo sul bene comune e dell'utile sul giusto. Ed anche e soprattutto nell'analisi spietata - caritatevole proprio perché spietata - del liberalismo radicale che degenera, per la sua intrinseca incoerenza dottrinale, in una malcelata dittatura del relativismo.Proprio 25 anni fa nella lettera enciclica Evangelium vitae, sul valore e l'inviolabilità della vita umana, il predecessore di Benedetto XVI faceva una sintesi del suo pensiero etico e bioetico: e queste scienze sono ormai il pane quotidiano degli uomini del XXI secolo, e visti gli approdi della robotica lo saranno sempre più. Nella sua sintesi però, come capì meglio di altri l'ateista Paolo Flores d'Arcais, l'umanesimo cattolico si separava in modo ormai irriducibile dai neo umanismi laici e profani, così da essere in una contrapposizione che più estrema non si può.Il contesto dell'enciclica era quello che prese avvio dagli anni Settanta del secolo scorso, in cui i Paesi che un tempo formavano il blocco duro della cristianità - come l'Italia, la Francia, la Spagna, l'Austria e molti altri - si allontanarono in modo plateale sia dagli insegnamenti del magistero della Chiesa che dall'etica naturale e biblica. Approvando leggi, come quelle sul divorzio e l'aborto che, per esempio in Italia, non erano mai esistite, dal crollo dell'impero romano in poi. Il mondo cattolico del tempo era diviso, più nitidamente di oggi, tra conservatori e progressisti. I progressisti fecero orecchie da mercante e ignorarono bellamente le condanne del Papa verso l'aborto, definito nel testo «delitto abominevole» (n. 58). Ma anche la chiara disapprovazione, ex ante, della possibile legalizzazione dell'eutanasia (n. 64), del suicidio, assistito e non (n. 66), del «permissivismo sessuale» (n. 59), della stessa contraccezione (n. 13) e di tutte le sperimentazioni scientifiche fatte a scapito di embrioni e di feti umani (n. 63). I conservatori accettarono, almeno in teoria, queste parole. Ma le misero in pratica con parsimonia, e troppo spesso con viltà e falsa prudenza. Giovanni Paolo II intendeva invece lanciare un campanello d'allarme e chiamare i cristiani più generosi ad una nuova singolare crociata - non bellica ma culturale - contro il proprio tempo. Pie esagerazioni dello scrivente? Lo si giudichi dalle parole del Pontefice. «L'umanità di oggi», scrive Wojtyla, «ci offre uno spettacolo davvero allarmante, se pensiamo non solo ai diversi ambiti nei quali si sviluppano gli attentati alla vita, ma anche alla loro singolare proporzione numerica, nonché al molteplice e potente consenso sociale». la conferma di francescoDel resto, «il ventesimo secolo verrà considerato un'epoca di attacchi massicci contro la vita […] un massacro permanente di vite umane innocenti» (n. 17). Se l'aborto è un vero «omicidio» (n. 58), ed ogni anno si contano nel mondo oltre 56 milioni di bambini abortiti, la società contemporanea può vantarsi di avere istituito, presso cliniche e ospedali, migliaia di mini gulag, lager, foibe e laogai a cielo aperto, formanti il più vasto genocidio della storia.Per il Papa i responsabili della deriva bioetica a cui assistiamo troppo passivamente sono, oltre ai politici e ai legislatori senza morale, molte «istituzioni internazionali, fondazioni e associazioni» (n. 59), che creano una «rete di complicità», simile e peggiore a quella della mafia, del narcotraffico e del terrorismo. E questa rete tende a produrre un «nuovo ordine mondiale» (n. 5) fondato sull'ingiustizia, seppur ribattezzata progresso, diritti per tutt*, democrazia.Secondo Wojtyla - che qui sembra schierarsi coi populisti i quali anteporrebbero il popolo reale prima al cosiddetto Stato di diritto - «la democrazia non può essere mitizzata fino a farne un surrogato della moralità o un toccasana dell'immoralità». Si tratta di un ordinamento politico che «sta o cade con i valori che essa incarna o promuove» (n. 69). Ma se uno società fa suoi i disvalori sopra elencati, ed anzi sembra promuovere come essenziali alla non discriminazione i falsi diritti che vediamo promossi ogni giorno contro la vita, la pace, la sicurezza, la decenza, la morale e la famiglia, essa da «casa comune» si trasforma a poco a poco «in Stato tiranno». La democrazia relativista di fine Novecento, sempre seguendo il filo dell'Evangelium vitae, ora censurata e bandita anche tra i cattolici, «ad onta delle sue regole, cammina sulla strada di un sostanziale totalitarismo» (n. 20). Papa Francesco ha canonizzato il suo predecessore, canonizzando per il fatto stesso il suo insegnamento e rendendolo imperituro: così la crociata resta valida ancora oggi e attende solo che dei battezzati coerenti si schierino, come possono, nello «scontro drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la cultura della morte e la cultura della vita» (n. 28).legge e moraleUn altro caposaldo di quell'immortale documento sta nella distinzione, e nella correlazione, tra legge civile e legge morale. Giovanni Paolo II ammette che la legge civile abbia un ambito più ristretto della legge morale, ed essa non può reprimere «quanto provocherebbe, se proibito, un danno più grave» (n. 71). Però, citando Giovanni XXIII, solitamente storpiato dai progressisti, Wojtyla insegna la necessaria conformità della legge civile con la legge morale. Di più, spiega con parole che si trovano già in Cicerone, Agostino e San Tommaso, che una legge che contrasti con la legge di natura non solo non può essere accettata dalla coscienza illuminata del cittadino, ma neppure produce i suoi effetti giuridici. Essa infatti - come nel caso dell'aborto, dell'eutanasia o delle nozze omosessuali - «cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza». Insomma, 25 anni fa, un uomo che nella sua vita piena di peripezie fu operaio e poeta, teatrante e teologo, mise in chiara luce la tetra notte verso cui tendeva ad inabissarsi l'umanità tutta intera. Se gli fu penoso constatare che «i falsi maestri e i falsi profeti hanno conosciuto il maggior successo possibile», lasciava ai posteri la dolce speranza che «la nuova cultura dell'amore e della solidarietà possa crescere per il vero bene della città degli uomini».