2019-01-18
La crisi di Cmc mette in ghiacciaia la nuova sede dei servizi
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Ansa - Il premier Giuseppe Conte con le deleghe sull'apparato di sicurezza
La cooperativa di Ravenna ha chiesto il concordato preventivo il 7 dicembre scorso. C'è il rischio di una paralisi dei cantieri, tra cui quello romano dove dal 2013 sono in corso i lavori di ristrutturazione del palazzo dove dovrebbe spostarsi parte del Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) del generale Gennaro Vecchione. Qualche grillino storce il naso: «Rischia di essere una nuova Tav». I nuovi vertici dei servizi segreti, da poco nominati dal governo gialloblu di Giuseppe Conte, hanno un problema grande come la nuova sede di piazza Dante a Roma. La storia è nota. Dal 2011, ultimo governo Berlusconi, si era deciso di dislocare parte del Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) e Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna) in un bel palazzo di inizio Novecento del quartiere Esquilino. I lavori sono iniziati nel 2013 e sarebbero dovuti terminare nel marzo del 2018. A giugno il giornale La Notizia dava conto dei ritardi nelle opere di ristrutturazione, come del prezzo speso fino a oggi: quasi 90 milioni di euro che sarebbero potuti lievitare fino a 100. A condurre i lavori sono Cassa depositi e presititi e la coop rossa Cmc di Ravenna. La questione è delicata, perché riguarda il nostro comparto sicurezza e lo spostamento di amministrazione e agenti non è di sicuro semplice. Il problema però sta iniziando a preoccupare la politica. Del resto già Il Foglio, in un lungo reportage nell'aprile del 2016, («La casa delle spie») raccontava che questo palazzo di 11.182 metri quadrati alto 28 metri, ex Casse di risparmio postali, sarebbe potuto essere già pronto nell'agosto di quell'anno. Non è stato così. Il tempo continua a passare e la parola fine non è ancora stata scritta. Di certo non hanno aiutato le ultime polemiche che hanno accompagnato le nuove nomine. Solo alla fine di novembre, dopo una lunghissima battaglia, finalmente palazzo Chigi ha comunicato che dopo la riunione del Comitato Interministeriale di Sicurezza della Repubblica (Cisr) del 21 erano stati nominati «il nuovo direttore del Dis nella persona del generale della Guardia di finanza Gennaro Vecchione e il nuovo direttore dell'Aise nella persona del Generale della guardia di Finanza Luciano Carta». Non solo. Ora si è aggiunto un nuovo problema, la crisi economica di Cmc. Nel corso dell'anno scorso sono state presentate sei richieste di fallimento a carico della cooperativa di Ravenna, uno dei gruppi di costruzioni tra i più importanti in Italia, con 1.118 milioni di fatturato solo nel 2017. Il gruppo ha chiesto il 7 dicembre scorso il concordato preventivo. Tra meno di un mese la la società dovrà presentare la proposta di concordato, mentre i tre commissari giudiziali (Antonio Gaiani, Luca Mandrioli e Andrea Ferri) nominati dal tribunale vigileranno sulle attività della Cooperativa. La situazione è stata provocata da un forte indebitamento (pari a 1,8 miliardi di euro) e dal calo di volumi produttivi, margine operativo netto, disponibilità liquida e utile netto. Ma c'è il rischio che i cantieri si fermino in tutta Italia. A quanto risulta alla Verità il rischio di rallentamenti non ci sarebbe, anche se le previsioni sono ormai per la fine del 2019. Tra i 5 Stelle c'è però persino chi teme una nuova Tav. E inizia a serpeggiare un certo malumore per le nuove nomine.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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