
Blocco preventivo alle spese discrezionali programmate dal sindaco «scassatutto»: coperture inattendibili I giudici contestano uno «squilibrio non palesato» nei numeri presentati da Napoli. Ballano più di 1,5 miliardi.Luigi De Magistris non l'ha presa per niente bene. La decisione della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti, che impedisce al Comune di Napoli di spendere somme a carattere discrezionale programmate, lo mette in grosse difficoltà nella gestione di un bilancio permanentemente squilibrato. Il verdetto dei magistrati contabili è eloquente: «Atteso l'accertamento di una situazione di strutturale squilibrio di bilancio […], tale per cui non sussiste una complessiva, idonea e attendibile copertura, nonché sostenibilità finanziaria delle spese, è preclusa l'attuazione dei programmi di spesa, sino all'adozione delle necessarie manovre correttive». In altre parole la deliberazione n. 107/2018/Prsp (presidente Fulvio Maria Longavita, relatore Francesco Sucameli), depositata il 10 settembre 2018, ha adottato un provvedimento «cautelare» che, accertato il carattere inadeguato delle «misure correttive» rispetto all'obiettivo della salvaguardia dell'equilibrio di bilancio prevista dal «Piano di riequilibrio finanziario pluriennale», «fa scattare un regime di gestione equivalente alla gestione provvisoria, come se il bilancio e le correlate misure non fossero state mai adottate, e con la conseguente necessità dell'ente di rideterminarsi nei tempi di legge, pena le conseguenze previste in caso di mancata adozione del bilancio». La misura colpisce esclusivamente i programmi di spesa «a carattere discrezionale e non necessitata e comunque, pro quota parte, l'attuazione di quelli che, al loro interno, consentono spesa non obbligatoria». Il blocco non tocca, invece, la spesa vincolata e i programmi «che mirano a garantire l'uguaglianza dei livelli essenziali delle prestazioni sociali» (art. 117, comma 2 lett. m Cost.), nei limiti di quanto finanziato con risorse derivate e a tal fine destinate da leggi dello Stato. La Corte dei conti ha accertato che le misure correttive comunicate dal Comune sono inidonee, in particolare per la sottostima dello squilibrio, per effetto dell'errata riquantificazione del disavanzo nel riaccertamento straordinario con effetti sia sulla corretta quantizzazione del risultato di amministrazione sul rendiconto 2017 che sulla la manovra 2018-2020. Secondo i calcoli del Comune, il «maggiore disavanzo», applicato nei vari esercizi del bilancio di previsione, sarebbe pari a 785.572.912,63 euro, per la Corte in realtà, il dato è stato sottostimato e avrebbe dovuto essere pari a 2.391.745.906,61 euro. Per l'effetto, la quota di ripiano trentennale non avrebbe dovuto essere pari a 26.185.763,75 euro, ma pari a 79.724.863,55 euro.Il Comune ha da tempo previsto un piano straordinario di alienazioni che dovrebbe fornire copertura allo squilibrio «prossimo» (nel 2019), in ragione dei minori trasferimenti statali conseguenti all'elusione del saldo di finanza pubblica 2016. Tuttavia la «copertura» attraverso un piano straordinario di alienazioni immobiliare e mobiliare (partecipazioni sociali, aziende e reti di distribuzione energetica; la rete distribuzione gas, Real albergo dei poveri, quote di Gesac e di Terme di Agnano), non è attendibile come dimostra l'esperienza. L'inserimento del bene nel piano, ricorda la Corte, presuppone che sia suscettibile «di valorizzazione», cioè deve essere appetibile per il mercato e, allo stesso tempo, a «godimento» rinunciabile o sostituibile, in relazione all'uso funzionale cui è attualmente destinato, cioè deve essere accompagnato da una valutazione di impatto, in termini di costi sostitutivi e di tempi di sostituzione, dell'uso attuale. La stessa società Napoli servizi Spa, incaricata dal Comune della valutazione degli immobili da dismettere, ha dichiarato espressamente che le stime risultavano effettuate sulla base di criteri «probabilistici di vendita». Insomma si tratta di «valori orientativi che non rappresentano delle stime effettive dei valori immobiliari».Intanto il ragioniere generale dello Stato ha comunicato che il Comune sarà assoggettato nell'anno 2019 alla limitazione amministrativa che prevede la riduzione del fondo di solidarietà comunale in misura pari all'importo corrispondente allo scostamento registrato.Il sindaco Luigi De Magistris, dunque, è messo di fronte alle sue responsabilità per la gestione pregressa che denuncia «uno squilibrio latente non palesato dalle scritture di bilancio». Insomma il documento non è veritiero.A nulla sono valse le argomentazioni con le quali, nell'adunanza pubblica della Sezione, il ragionerie generale e l'assessore al Bilancio avevano cercato di difendere le scelte del Comune. Il collegio ha ritenuto incongrua la rimodulazione e riformulazione del piano di rientro, gravi gli inadempimenti rispetto agli obiettivi intermedi fissati nel piano originario, per le annualità 2015 e 2016, elusione del Patto di stabilità (Psi) 2014, con uno sforamento rispetto al saldo obiettivo di 9,992 milioni di euro, elusione del Saldo di finanzia pubblica (Sfp) 2016, con uno sforamento, rispetto al pareggio, di 29 milioni di euro.La Corte, nel sanzionare il Comune di Napoli ha ricordato alcune regole della finanza pubblica che ritornano nelle argomentazioni del ministro dell'Economia Giovanni Tria di cui si è sentito in questi giorni a proposito della valutazione dei costi di alcune misure inserite nel contratto di governo. In primo luogo la «clausola generale dell'equilibrio» rispetto alla quale deve essere verificata la copertura (competenza) e sostenibilità finanziaria (cassa) delle obbligazioni autorizzate col bilancio. Per il Comune il «blocco dei correlati programmi di spesa» ha una finalità «preventiva», nel senso che introduce un elemento di cautela rispetto a eventuali aggravi dello squilibrio, e «conformativa» (e non sanzionatoria), nel senso che elimina la possibilità giuridica di nuova spesa senza copertura, lasciando intatta la facoltà dell'ente di adottare un nuovo bilancio.Il bilancio, ha ricordato la Corte, strumento normativo e amministrativo attraverso cui viene definita la relazione tra «fini» e «mezzi» (finanziari) di cui un ente dispone, è un «bene pubblico», «funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell'ente territoriale, sia in ordine all'acquisizione delle entrate, sia alla individuazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche», secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, da ultimo con la sentenza n. 49/2018. E questo è un forte argomento politico per gli enti locali come per lo Stato. In quest'ottica, il blocco della spesa preserva e tutela il bilancio e la comunità di cui l'ente è esponenziale, poiché evita una crescita indiscriminata e insostenibile dell'indebitamento e della spesa, destinati a gravare sulle generazioni e sulle amministrazioni future (art. 2 Cost.).
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