
La Commissione europea pasticcia sulle regole e fa sfuggire Starbucks dalla multa di 30 milioni di euro. Stessa sorte non è toccata a Fiat Chrysler automobiles. In questo caso la Commissione Ue sugli aiuti di Stato, applicando alla lettera le regole, ha garantito la sanzione di 30 milioni al gruppo italoamericano. A decidere è stata la Corte di giustizia europea (Curia) ieri, attraverso due distinte sentenze. Nel caso Starbucks la Curia ha bacchettato la Commissione Ue su diversi punti. In primis la Corte ha sottolineato come la Commissione abbia usato un solo metodo di calcolo sul transfer pricing, senza prenderne in considerazione altri. A questo si aggiunge il fatto che non sono state fornite abbastanza evidenze a supporto della tesi di base.
La Commissione aveva inoltre anche accusato l'Olanda di non aver fatto un'analisi sulle royalty concesse alla multinazionale. E sul fatto che queste violassero il principio del prezzo di mercato. La Curia ha però sottolineato che questo agire dell'Olanda non potesse essere considerato nocivo. O meglio non si può affermare con certezza che la mancata analisi abbia avuto come fine concedere delle agevolazioni fiscali a Starbucks. Inoltre, per incastrare Starbucks, la Commissione è andata oltre le sue competenze. Si era infatti contestato alla multinazionale del caffè il fatto di aver gonfiato il prezzo dei chicchi a Starbucks coffee trading, società del gruppo con sede in Svizzera. In questo caso la Curia ha però sottolineato come la Commissione ha osato troppo estendendo il suo raggio d'azione oltre l'Advance principing agreement (Apa), unico terreno entro cui si poteva muoversi per identificare violazioni fiscali. E dunque, condurre indagini in modo approssimativo e agire oltre lo spettro d'azione ha portato la Curia ad accogliere l'appello presentato da Starbucks e l'Olanda contro la sentenza della Commissione Ue sugli aiuti di stato. Molto probabilmente questa non sarà l'ultima decisione in merito al caso. La Commissione potrebbe infatti puntare il faro sul metodo di calcolo approssimativo in merito al transfert pricing e riaprire l'indagine usando altri metodi di analisi, oltre che analizzare nel dettaglio ogni singolo società facente capo al gruppo Starbucks. Stesso metodo che d'altra parte è stato applicato per il Belgio. A febbraio 2019 la Curia decise infatti che il regime belga «excess profit ruling» non potesse essere considerato come un aiuto di stato. E dunque la Commissione Ue sugli aiuti di stato decise di aprire tante piccole indagini su ogni singola compagnia che ha usato quel determinato regime, per riuscire a dimostrare la sua tesi.
Sempre nella giornata di ieri la Curia si è espressa sul ricorso presentato da Fiat Chrysley automobiles e il Lussemburgo. Questa volta però ha vinto la Commissione Ue. La Curia ha infatti respinto il ricorso confermando la decisione precedente sugli aiuti di Stato. La sentenza è stata approvata dalla Corte perché questa volta l'Ue ha agito in modo corretto, rispettando tutti i limiti legislativi e conducendo accuratamente l'indagine. Il gruppo italoamericano deve dunque pagare 30 milioni di euro in tasse arretrate al Lussemburgo, dato che l'accordo siglato dai due soggetti è stato ritenuto illegale dalla Commissione alla concorrenza e ieri anche dalla Curia. Fiat Chrysler finance Europe ha dichiarato di essere delusa dal giudizio del Tribunale Ue e «sta considerando i prossimi passi da fare in materia». Un portavoce del gruppo ha sottolineato come la vicenda non ha un impatto di rilievo per il gruppo. Tolto il fatto che ieri Fca è scivolata in Borsa cedendo il 2,03%. Anche il Lussemburgo non è d'accordo con la decisione della Curia tanto che il Granducato ha annunciato che presenterà una decisione contro quella della Corte Ue.
Soddisfatta per metà Magrethe Vestager, Commissiario alla concorrenza Ue: «Le sentenze odierne forniscono importanti indicazioni sull'applicazione delle norme Ue in materia di aiuti di Stato nel settore fiscale. Allo stesso tempo, ogni caso ha le sue specificità e comporta complesse questioni legali. Studieremo attentamente i giudizi prima di decidere su possibili passi successivi».
Ieri però la Curia ha preso un'altra importante decisione su Google e il diritto all'oblio. La Corte ha infatti deciso a favore del colosso del Web sostenendo che il diritto all'oblio degli utenti su internet non ha portata mondiale per i motori di ricerca come Google ma questo è limitato a tutti gli Stati membri dell'Unione europea.
«Non vi è alcun obbligo ai sensi del diritto europeo» per gli operatori di motori di ricerca come Google «di effettuare tale operazione di de-referencing su tutte le versioni», sottolinea la Corte. Al tempo stesso, però, per evitare che alcuni utenti aggirino la previsione e accedano ai risultati da portali su domini extra-Ue, i giudici di Lussemburgo hanno previsto che il «de-referencing» debba includere misure per «scoraggiare seriamente» l'eventualità, applicando un «blocco geografico». Proprio su questa ipotesi Antonello Soro, Garante della privacy, si è mostrato in disaccordo sostenendo come «in un mondo strutturalmente interconnesso e in una realtà immateriale quale quella della rete, la barriera territoriale appare sempre più anacronistica».





