Dopo anni da fanalino di coda, nel 2022 il London stock exchange è cresciuto del 3,2% a fronte di un crollo di oltre dieci punti dell’indice mondiale. L’esperto: «Pesa la forte presenza di titoli legati all’energia».Dopo essere stata per moltissimi anni uno dei mercati peggiori del Vecchio continente, la piazza azionaria inglese sta trovando nel 2022 il suo riscatto. Gli indici principali del London stock exchange sono tra i pochi a essere in territorio leggermente positivo in questi mesi rispetto alla maggior parte degli indici azionari mondiali, molti dei quali in profondo rosso.Il Regno Unito ha superato per la prima volta il livello di Pil pre pandemia nel primo trimestre 2022 (dello 0,7%), ma non c’è troppo da festeggiare, visto che le ultime previsioni della Banca d’Inghilterra mostrano che esiste un serio rischio di recessione. Comunque, nel caso della Borsa inglese, si nota come il Ftse 100, principale indice azionario nel Regno Unito, nel 2022 sia pur sempre in salita del 2,5% in euro e del 3,2% in sterline, un valore decisamente migliore rispetto all’andamento dell’indice globale Msci world, in caduta libera da inizio anno del 10,55% (in dollari il crollo è ancora più marcato: 16,5%). La sterlina da inizio anno ha perso quasi il 10%, attaccata anche da alcuni fondi speculativi, senza considerare che l’aumento dei tassi d’interesse poco può fare per compensare livelli d’inflazione fra i più alti tra le cinque maggiori economie europee, con l’aumento delle bollette energetiche che è il principale fattore di inflazione.Secondo i dati ufficiali, l’aumento del costo della vita nel Regno Unito ha raggiunto il 9% ad aprile, il tasso annuo più alto degli ultimi 40 anni, esercitando pressioni sul governo affinché intensifichi l’assistenza alle famiglie che affrontano sempre di più serie difficoltà per andare avanti.«In questo quadro», dice Salvatore Gaziano, direttore investimenti di Soldiexpert scf, «la relativa forza del listino inglese è stata guidata soprattutto dall’alta concentrazione di società operanti nel settore dell’energia e delle materie prime, mondi che in parte hanno falsato il risultato poiché dal punto di vista quantitativo la maggior parte delle società quotate sono in rosso, anche forte».Dando uno sguardo ai singoli prodotti che investono nel Regno Unito, si capisce che ci sono titoli che non hanno risentito troppo della crisi. Basta pensare al titolo Anglo american che nel 2022 è cresciuto del 23,2% oppure quello di Glencore international, in salita quest’anno del 38,5%. Bene anche Shell, in crescita del 45,4%. Altri titoli, però, la crisi l’hanno sentita, eccome. È il caso di Kingfisher (-24% nel 2022), Diageo (-11%) e Unilever (-10,2%). Si tratta, però, di prodotti che in genere hanno fatto bene nel corso degli ultimi tre anni con rendimenti rispettivamente in salita del 38,4%, 19,5%. Solo Unilever ha perso anche nel medio termine con un crollo del 17,10% in tre anni. Bene i prodotti di risparmio gestito come i fondi comuni o gli Etf. L’iShares Uk dividend ucits etf gbp, ad esempio, è cresciuto del 27,8% in tre mesi. Lo stesso vale per l’iShares core ftse 100 ucits etf gbp, in salita dello 0,97% nel 2022 e del 17,9% in tre anni.
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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