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2018-08-31
La coop dei migranti della Diciotti ai raggi X
«È stata un'emozione incredibile vedere gli occhi di questi ragazzi che finalmente potevano sentirsi al sicuro». Angelo Chiorazzo, 46 anni, fondatore di Auxilium, la cooperativa che ospiterà temporaneamente 100 dei migranti scesi dalla nave Diciotti, ha spiegato loro che avrebbero dovuto essere grati a papa Francesco. «Quando gli ho detto che erano ospiti della Chiesa e del Papa», ha raccontato il manager all'Agensir, «è scattato un applauso bellissimo». E tra il racconto di una delle tante storie del lungo viaggio intrapreso dai migranti e le terribili disavventure di chi è stato venduto, riparte la solfa dell'importanza dell'accoglienza. D'altra parte lui è uno dei massimi esperti del settore. La coop dei fratelli Angelo e Pietro Chiorazzo da Senise, in Basilicata, è la prima tra le imprese che si occupano di accoglienza, con oltre 61 milioni di euro di utili nel 2016. Per Chiorazzo, «quando uno conosce le storie di questi ragazzi non può mettere in discussione che l'unica via è quella dell'aiuto». Ma per Auxilium ciò significa anche tanti bei soldoni.
Il professionista dell'accoglienza è anche un esperto di strategie mediatiche. Tanto che, a giugno 2018, per il secondo anno consecutivo, la coop era tra gli sponsor della festa di Avvenire a Matera. I temi principali: il Mediterraneo, i conflitti e i flussi migratori. Il confronto, tutto pro accoglienza, tra arcivescovi e giornalisti, al quale ha preso parte anche il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, aveva come scenografia un grande schermo a led piazzato proprio dietro ai relatori. A tutto campo spiccava il logo della coop dell'accoglienza. «Auxilium anche quest'anno si conferma supporto importante», scrive sul quotidiano della Cei l'inviato a Matera Vito Salinaro.
La connessione con Avvenire non è occulta. Anzi. È da tempo che c'è uno scambio di cortesie, come testimoniano i titoli degli articoli sul sito web della coop: «Papa Francesco fa arrivare un bellissimo pacco per gli ospiti delle strutture di Auxilium»; «Il Papa festeggia il suo onomastico offrendo un gelato a tutti i centri di accoglienza migranti Auxilium in Italia». Il 6 luglio, poi, per benedire i nuovi uffici a Senise si è scomodato il cardinale Angelo Becciu, che fino al giugno scorso era sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato vaticana. Nel piccolo comune lucano da cui è partito tutto ricordano ancora un grande convegno con Giulio Andreotti negli anni Novanta. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti.
Il nome di Angelo Chiorazzo, ex vicepresidente del colosso delle coop bianche La Cascina, compare in una quindicina di società, tra Srl, Spa e coop, in liquidazione, cancellate e non. E fra queste c'è appunto Auxilium, «cooperativa socio sanitaria», per descriverla con le parole di Chiorazzo durante una testimonianza del processo Mafia Capitale, che ha fatto dell'accoglienza dei migranti uno dei suoi core business: dal 2007 a oggi Cara, Cat, Cas, Sprar e Cpr qua e là per l'Italia sono gestiti dalla cooperativa partita da Senise. Niente emergenza, però. Solo accoglienza e integrazione. Lo ha precisato lo stesso Chiorazzo al pm Luca Tescaroli: «Noi non abbiamo mai voluto partecipare alle gare per l'emergenza migranti, solo a quelle ministeriali». E proprio per i suoi addentellati nei ministeri Chiorazzo è finito più volte nei guai. «Procedimenti archiviati», ricorda, rispondendo al pm Henry John Woodcock durante un'altra sua testimonianza, quella al processo per la P4 a Napoli, dove era rimasto incagliato nella rete captativa del pm anglonapoletano mentre parlava con Alfonso Papa. Perché al ministero della Giustizia, dove era distaccato l'ex pm diventato direttore generale con Clemente Mastella, Chiorazzo era di casa. Di Mastella era così intimo da aver organizzato più di un incontro con il cardinale Tarcisio Bertone. Un'attività che nel vecchio Udeur gli era costata il soprannome di «Vaticanista». È Chiorazzo, in quella testimonianza, a precisare di aver conosciuto Papa nel 2006: «Io ero amico del ministro». Non solo: «Papa era amico di un mio fraterno amico che si chiama Francesco Borgomeo, caposegreteria del ministro». Ma per i suoi problemi giudiziari a Potenza, dove Woodcock proprio in quegli anni l'aveva intercettato, sostiene di non aver mai chiesto informazioni a Papa. «Con lui mi sfogavo soltanto», afferma Chiorazzo. E infatti, poco dopo, ricorda che «anche a Lagonegro hanno archiviato». L'inchiesta finì lì per competenza territoriale. Indagato con lui c'era Gianni Letta. La notizia dell'indagine fu spacciata per uno scoop dal Fatto Quotidiano. Ma qualche giorno dopo finì in archivio. Chiorazzo, però, a Letta dava del tu. In udienza dice: «Letta? È una delle persone che più stimo al mondo».
Al netto delle vicende giudiziarie, che non hanno mai avuto uno sbocco processuale, restano le relazioni. Come quella con il prefetto Mario Morcone, direttore del Consiglio italiano rifugiati. Anche per quelle telefonate fu aperto un fascicolo che Woodcock, nonostante una sua teoria sulla «liquidità della competenza territoriale», dopo aver indagato, dovette inviare a Bari. L'archiviazione arrivò dopo poco. Ma tanto bastò alla concorrenza per capire che Auxilium era un colosso. Nell'inchiesta Mafia Capitale i pm sentirono Salvatore Buzzi dire al telefono: «Loro se ne fregano, c'hanno i prefetti». E Massimo Carminati, detto il Nero, replicare: «Loro sono grossi...». C'era qualcuno, quindi, che impensieriva i due nel business del sociale. Perché, secondo Buzzi, da Auxilium avevano rapporti con il Viminale. Chiorazzo, sempre in udienza, ha confermato di avere «semplici rapporti di conoscenza» con l'ex viceministro dell'Interno Filippo Bubbico. Tanto bastò, però, a Buzzi e Carminati, per bollare Auxilium come un osso duro. «Loro stanno in posizione di forza», disse il Nero. Ipse dixit.
La «carità» vale un fatturato di oltre 60 milioni
Auxilium non conosce crisi. La coop, che tra case famiglia, asili nido e centri residenziali per anziani, ha messo nella sua mission il business dei migranti, è riuscita a trascorrere gli ultimi anni in continua crescita. Fino ad arrivare agli oltre 56 milioni di euro di fatturato del 2015 e al record dei 61,1 milioni del 2016. Anche l'utile è cresciuto lievemente: da 529.000 a 543.000 euro. Il valore della produzione è stimato in 57 milioni di euro per il 2017, a un costo di poco più di 55 milioni di euro. Con una leva di quasi 2 milioni di differenza tra valore e costi di produzione. A conti fatti, si tratta di una potenza economica nel settore del sociale. Come poche altre in Italia (è seguita a distanza da un'altra coop che ha sempre sede a Senise, la Senis hospes, nata da una scissione di un socio di Auxilium, con 42 milioni di fatturato). E poi ci sono le partecipazioni in altre società, due delle quali in fase di liquidazione. Come la Physioclinic Srl, con capitale sociale di 90.000 euro. Oppure Svim, consorzio per lo sviluppo delle imprese (in liquidazione), con 522.000 euro di capitale sociale. Poi c'è la Data quality (in liquidazione), capitale sociale da 20.000 euro. A completare il quadro, 15 sedi secondarie sparse sul territorio: due in provincia di Bari, due in provincia di Lecce, due in provincia di Matera, sette in provincia di Potenza e una in provincia di Taranto. In sette anni la coop è passata dai 670 dipendenti dell'esercizio del 2010 ai 1.350 del 2016.
Il trend positivo nell'attività di Auxilium, però, ha portato, oltre all'aumento di fatturato, anche a un consolidamento patrimoniale di tutto rispetto: immobilizzazioni passate dai 3,8 milioni di euro del 2016 ai 5,4 milioni del 2017 e attivo circolante, stando all'ultimo bilancio depositato, per 36,7 milioni di euro. Patrimonio netto: 16 milioni di euro. Segno che le inchieste giudiziarie nelle quali era rimasto coinvolto uno dei fondatori della coop di Senise, Angelo Chiorazzo (che attualmente ricopre la carica di consigliere, mentre il fratello Pietro è presidente del Cda), non hanno neanche lontanamente scalfito l'attività dell'impresa.
La coop, inoltre, piace ai sindacati, che confermano i dati diffusi da Pietro Chiorazzo: oltre il 90% dei lavoratori di Auxilium è contrattualizzato e sono davvero poche le figure professionali ingaggiate con partita Iva o con contratti a progetto (nella visura camerale ne compaiono otto). Il pubblicizzato carattere mutualistico dell'azienda ha creato anche un'aura di buona pratica (premi fedeltà, premi ai dipendenti neo genitori, eccetera) che si è solidificato nell'immaginario collettivo. Tanto che, oltre alle news sulle indagini giudiziarie (tutte archiviate), non compaiono altre notizie di Auxilium sulla stampa lucana. Della coop dei Chiorazzo, insomma, o si parla bene o non se ne parla. E chi la attacca finisce in tribunale. Ne sa qualcosa l'ex sindaco di Senise Giuseppe Castronuovo che, come ricostruisce la testata locale La Siritide, è a giudizio a Lagonegro. L'ex sindaco aveva detto durante un comizio che in paese si era tornati al Medioevo e che chi tra i dipendenti non obbediva ai vertici veniva minacciato di licenziamento. Il riferimento era ad Auxilium. Ed è partita la querela. Lasciati alle spalle i fastidi giudiziari, insomma, sembra che tutto scorra con serenità nelle strutture gestite da Auxilium, tra visite del Papa e di cardinali, tra incontri con Angela Merkel (alla quale è stata fatta firmare la bandiera con il logo della coop) e strombazzatissimi laboratori artistici, musicali e finanche un cinema per migranti.
D'altra parte la coop che piace alla chiesa sa come strizzare l'occhio agli ospiti, soprattutto quelli di religione musulmana: nel Cie e nel Cara di Brindisi, ad esempio, sono state organizzate perfino le celebrazioni del Ramadan. Con buona pace di qualche cattolico che ha storto il naso.
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Riduci
Auxilium, colosso dell'accoglienza «cattolica» che ospita 100 sbarcati a Catania, finanzia Avvenire e gode di influenti amicizie, da Clemente Mastella a Gianni Letta. Archiviate le indagini sul dominus Angelo Chiorazzo. Che per Salvatore Buzzi e Massimo Carminati era «uno grosso».La «carità» vale un fatturato di oltre 60 milioni. L'impresa incassa utili per 543.000 euro: una vera potenza economica nel sociale.Lo speciale contiene due articoli. «È stata un'emozione incredibile vedere gli occhi di questi ragazzi che finalmente potevano sentirsi al sicuro». Angelo Chiorazzo, 46 anni, fondatore di Auxilium, la cooperativa che ospiterà temporaneamente 100 dei migranti scesi dalla nave Diciotti, ha spiegato loro che avrebbero dovuto essere grati a papa Francesco. «Quando gli ho detto che erano ospiti della Chiesa e del Papa», ha raccontato il manager all'Agensir, «è scattato un applauso bellissimo». E tra il racconto di una delle tante storie del lungo viaggio intrapreso dai migranti e le terribili disavventure di chi è stato venduto, riparte la solfa dell'importanza dell'accoglienza. D'altra parte lui è uno dei massimi esperti del settore. La coop dei fratelli Angelo e Pietro Chiorazzo da Senise, in Basilicata, è la prima tra le imprese che si occupano di accoglienza, con oltre 61 milioni di euro di utili nel 2016. Per Chiorazzo, «quando uno conosce le storie di questi ragazzi non può mettere in discussione che l'unica via è quella dell'aiuto». Ma per Auxilium ciò significa anche tanti bei soldoni.Il professionista dell'accoglienza è anche un esperto di strategie mediatiche. Tanto che, a giugno 2018, per il secondo anno consecutivo, la coop era tra gli sponsor della festa di Avvenire a Matera. I temi principali: il Mediterraneo, i conflitti e i flussi migratori. Il confronto, tutto pro accoglienza, tra arcivescovi e giornalisti, al quale ha preso parte anche il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, aveva come scenografia un grande schermo a led piazzato proprio dietro ai relatori. A tutto campo spiccava il logo della coop dell'accoglienza. «Auxilium anche quest'anno si conferma supporto importante», scrive sul quotidiano della Cei l'inviato a Matera Vito Salinaro. La connessione con Avvenire non è occulta. Anzi. È da tempo che c'è uno scambio di cortesie, come testimoniano i titoli degli articoli sul sito web della coop: «Papa Francesco fa arrivare un bellissimo pacco per gli ospiti delle strutture di Auxilium»; «Il Papa festeggia il suo onomastico offrendo un gelato a tutti i centri di accoglienza migranti Auxilium in Italia». Il 6 luglio, poi, per benedire i nuovi uffici a Senise si è scomodato il cardinale Angelo Becciu, che fino al giugno scorso era sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato vaticana. Nel piccolo comune lucano da cui è partito tutto ricordano ancora un grande convegno con Giulio Andreotti negli anni Novanta. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Il nome di Angelo Chiorazzo, ex vicepresidente del colosso delle coop bianche La Cascina, compare in una quindicina di società, tra Srl, Spa e coop, in liquidazione, cancellate e non. E fra queste c'è appunto Auxilium, «cooperativa socio sanitaria», per descriverla con le parole di Chiorazzo durante una testimonianza del processo Mafia Capitale, che ha fatto dell'accoglienza dei migranti uno dei suoi core business: dal 2007 a oggi Cara, Cat, Cas, Sprar e Cpr qua e là per l'Italia sono gestiti dalla cooperativa partita da Senise. Niente emergenza, però. Solo accoglienza e integrazione. Lo ha precisato lo stesso Chiorazzo al pm Luca Tescaroli: «Noi non abbiamo mai voluto partecipare alle gare per l'emergenza migranti, solo a quelle ministeriali». E proprio per i suoi addentellati nei ministeri Chiorazzo è finito più volte nei guai. «Procedimenti archiviati», ricorda, rispondendo al pm Henry John Woodcock durante un'altra sua testimonianza, quella al processo per la P4 a Napoli, dove era rimasto incagliato nella rete captativa del pm anglonapoletano mentre parlava con Alfonso Papa. Perché al ministero della Giustizia, dove era distaccato l'ex pm diventato direttore generale con Clemente Mastella, Chiorazzo era di casa. Di Mastella era così intimo da aver organizzato più di un incontro con il cardinale Tarcisio Bertone. Un'attività che nel vecchio Udeur gli era costata il soprannome di «Vaticanista». È Chiorazzo, in quella testimonianza, a precisare di aver conosciuto Papa nel 2006: «Io ero amico del ministro». Non solo: «Papa era amico di un mio fraterno amico che si chiama Francesco Borgomeo, caposegreteria del ministro». Ma per i suoi problemi giudiziari a Potenza, dove Woodcock proprio in quegli anni l'aveva intercettato, sostiene di non aver mai chiesto informazioni a Papa. «Con lui mi sfogavo soltanto», afferma Chiorazzo. E infatti, poco dopo, ricorda che «anche a Lagonegro hanno archiviato». L'inchiesta finì lì per competenza territoriale. Indagato con lui c'era Gianni Letta. La notizia dell'indagine fu spacciata per uno scoop dal Fatto Quotidiano. Ma qualche giorno dopo finì in archivio. Chiorazzo, però, a Letta dava del tu. In udienza dice: «Letta? È una delle persone che più stimo al mondo». Al netto delle vicende giudiziarie, che non hanno mai avuto uno sbocco processuale, restano le relazioni. Come quella con il prefetto Mario Morcone, direttore del Consiglio italiano rifugiati. Anche per quelle telefonate fu aperto un fascicolo che Woodcock, nonostante una sua teoria sulla «liquidità della competenza territoriale», dopo aver indagato, dovette inviare a Bari. L'archiviazione arrivò dopo poco. Ma tanto bastò alla concorrenza per capire che Auxilium era un colosso. Nell'inchiesta Mafia Capitale i pm sentirono Salvatore Buzzi dire al telefono: «Loro se ne fregano, c'hanno i prefetti». E Massimo Carminati, detto il Nero, replicare: «Loro sono grossi...». C'era qualcuno, quindi, che impensieriva i due nel business del sociale. Perché, secondo Buzzi, da Auxilium avevano rapporti con il Viminale. Chiorazzo, sempre in udienza, ha confermato di avere «semplici rapporti di conoscenza» con l'ex viceministro dell'Interno Filippo Bubbico. Tanto bastò, però, a Buzzi e Carminati, per bollare Auxilium come un osso duro. «Loro stanno in posizione di forza», disse il Nero. 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Con una leva di quasi 2 milioni di differenza tra valore e costi di produzione. A conti fatti, si tratta di una potenza economica nel settore del sociale. Come poche altre in Italia (è seguita a distanza da un'altra coop che ha sempre sede a Senise, la Senis hospes, nata da una scissione di un socio di Auxilium, con 42 milioni di fatturato). E poi ci sono le partecipazioni in altre società, due delle quali in fase di liquidazione. Come la Physioclinic Srl, con capitale sociale di 90.000 euro. Oppure Svim, consorzio per lo sviluppo delle imprese (in liquidazione), con 522.000 euro di capitale sociale. Poi c'è la Data quality (in liquidazione), capitale sociale da 20.000 euro. A completare il quadro, 15 sedi secondarie sparse sul territorio: due in provincia di Bari, due in provincia di Lecce, due in provincia di Matera, sette in provincia di Potenza e una in provincia di Taranto. In sette anni la coop è passata dai 670 dipendenti dell'esercizio del 2010 ai 1.350 del 2016. Il trend positivo nell'attività di Auxilium, però, ha portato, oltre all'aumento di fatturato, anche a un consolidamento patrimoniale di tutto rispetto: immobilizzazioni passate dai 3,8 milioni di euro del 2016 ai 5,4 milioni del 2017 e attivo circolante, stando all'ultimo bilancio depositato, per 36,7 milioni di euro. Patrimonio netto: 16 milioni di euro. Segno che le inchieste giudiziarie nelle quali era rimasto coinvolto uno dei fondatori della coop di Senise, Angelo Chiorazzo (che attualmente ricopre la carica di consigliere, mentre il fratello Pietro è presidente del Cda), non hanno neanche lontanamente scalfito l'attività dell'impresa. La coop, inoltre, piace ai sindacati, che confermano i dati diffusi da Pietro Chiorazzo: oltre il 90% dei lavoratori di Auxilium è contrattualizzato e sono davvero poche le figure professionali ingaggiate con partita Iva o con contratti a progetto (nella visura camerale ne compaiono otto). Il pubblicizzato carattere mutualistico dell'azienda ha creato anche un'aura di buona pratica (premi fedeltà, premi ai dipendenti neo genitori, eccetera) che si è solidificato nell'immaginario collettivo. Tanto che, oltre alle news sulle indagini giudiziarie (tutte archiviate), non compaiono altre notizie di Auxilium sulla stampa lucana. Della coop dei Chiorazzo, insomma, o si parla bene o non se ne parla. E chi la attacca finisce in tribunale. Ne sa qualcosa l'ex sindaco di Senise Giuseppe Castronuovo che, come ricostruisce la testata locale La Siritide, è a giudizio a Lagonegro. L'ex sindaco aveva detto durante un comizio che in paese si era tornati al Medioevo e che chi tra i dipendenti non obbediva ai vertici veniva minacciato di licenziamento. Il riferimento era ad Auxilium. Ed è partita la querela. Lasciati alle spalle i fastidi giudiziari, insomma, sembra che tutto scorra con serenità nelle strutture gestite da Auxilium, tra visite del Papa e di cardinali, tra incontri con Angela Merkel (alla quale è stata fatta firmare la bandiera con il logo della coop) e strombazzatissimi laboratori artistici, musicali e finanche un cinema per migranti. D'altra parte la coop che piace alla chiesa sa come strizzare l'occhio agli ospiti, soprattutto quelli di religione musulmana: nel Cie e nel Cara di Brindisi, ad esempio, sono state organizzate perfino le celebrazioni del Ramadan. Con buona pace di qualche cattolico che ha storto il naso.
Francesca Albanese (Ansa)
Rispetto a due mesi fa, la percentuale degli sfiduciati è cresciuta di 16 punti mentre quella di coloro che si fidano è scesa di 9. Il 42% degli intervistati, maggiorenni e residenti in Italia, dichiara di non conoscere la relatrice pasionaria o di non avere giudizi da esprimere, il che forse è quasi peggio: avvolta dalla sfiducia e dall’indifferenza.
Il 53% degli elettori di centrodestra non si fida dell’Albanese, e questo era un dato diciamo scontato, ma fa riflettere che la giurista irpina abbia perso credibilità per il 47% di coloro che votano Pd. Appena il 34% degli elettori dem oggi si fida della relatrice Onu, sotto sanzioni da parte di Washington e accusata da Israele di ostilità strutturale. La sinistra, dunque, non si limita ad essere in disaccordo al suo interno se rilasciare o meno la cittadinanza onoraria alla pro Pal. Sta dicendo che non la sostiene più.
«I cattivi maestri di sinistra non piacciono agli italiani», ha subito postato su X il partito della premier Giorgia Meloni, che sempre secondo il sondaggio Youtrend sarebbe la più convincente per il 48% degli italiani in un ipotetico dibattito assieme a Giuseppe Conte ed Elly Schlein.
Tramonta dunque l’astro effimero di Albanese, spacciata per l’eroina progressista che condanna la violenza sui palestinesi mentre la giustifica a casa nostra. L’assalto alla redazione della Stampa doveva e deve servire «da monito alla stampa», ha dichiarato la relatrice Onu, confermando la pericolosità del suo attivismo politico.
Eppure ha continuato a essere invitata per esporre le sue idee anti Israele, e non solo. In alcune scuole della Toscana avrebbe «ripetuto i suoi soliti mantra, sostenendo che il governo Meloni sia composto da fascisti e complice di un genocidio, accusando Leonardo di essere una azienda criminale e arrivando persino a incitare gli studenti ad occupare le scuole, di fatto, incitando dei minorenni a commettere reati sanzionati dal codice penale», hanno scritto Matteo Bagnoli capogruppo di Fratelli d’Italia al Comune di Pontedera e Christian Nannipieri responsabile di Gioventù nazionale Pontedera.
La mossa successiva è stata un’interrogazione presentata da Alessandro Amorese, capogruppo di Fdi alla commissione Istruzione della Camera alla quale ha prontamente risposto il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, chiedendo agli organi competenti di avviare una immediata ispezione per verificare quanto accaduto in alcune scuole in Toscana.
Secondo l’interrogazione, anche una classe della seconda media dell’Istituto Comprensivo Massa 6 avrebbe partecipato ad un incontro proposto dalla rete di insegnanti Docenti per Gaza, con Francesca Albanese che esponeva le tematiche del suo libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite dalla Palestina.
Non solo, con una nuova circolare inviata alle scuole sul tema manifestazioni ed eventi pubblici all’interno delle istituzioni scolastiche, il ministro ribadisce l’esigenza che la scelta di ospiti e relatori sia «volta a garantire il confronto tra posizioni diverse e pluraliste al fine di consentire agli studenti di acquisire una conoscenza approfondita dei temi trattati e sviluppare il pensiero critico».
Una raccomandazione necessaria, alla luce anche di quanto stanno sostenendo i docenti del liceo Montale di Pontedera che in una nota hanno definito «attività formativa» la presentazione online del libro di Albanese ad alcune classi. «Un’iniziativa organizzata su scala nazionale nell’ambito delle attività di educazione alla cittadinanza globale, come previsto dal curriculum di Educazione civica d’istituto […] nel quadro delle iniziative promosse dalla scuola per favorire la partecipazione democratica, la conoscenza delle istituzioni internazionali e il dialogo tra studenti e professionisti impegnati in contesti globali», scrivono. Senza contraddittorio, le posizioni pro Pal e anti governo Meloni della relatrice Onu non sono «partecipazione democratica».
Incredibilmente, però, due giorni fa la relatrice è comparsa accanto a Tucker Carlson, il giornalista e scrittore tra i creatori dell’universo Maga, che gestisce la Tucker Carlson Network dopo aver lasciato Fox News. Intervistata, ha detto che gli Stati Uniti l’hanno sanzionata a causa del suo dettagliato resoconto sulle politiche genocide di Israele contro i palestinesi. «Una penna, questa è la mia sola arma», si è difesa Albanese raccontando che il suo rapporto con Washington sarebbe cambiato bruscamente dopo che ha iniziato a documentare come le aziende statunitensi non solo stavano consentendo le azioni di Israele a Gaza, ma traendo profitto da esse.
«Tucker sta promuovendo le opinioni di una donna sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti per aver preso di mira gli americani», ha protestato su X l’American Israel public affairs committee (Aipac), il più importante gruppo di pressione filo israeliano degli Stati Uniti. Ma c’è anche chi non si sorprende perché Carlson avrebbe cambiato opinione su Israele negli ultimi mesi, criticando l’amministrazione Trump per il supporto incondizionato dato allo Stato ebraico così come fa la sinistra antisionista.
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Riduci
Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
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Riduci
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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