Il focolaio di coronavirus in uno stabilimento di carne in Germania alza il velo: è il sesto caso nel Paese. A Berlino fanno meno controlli e impiegano stranieri precari. E così da noi il settore perde fino al 41%.Chissà come c'è rimasta Ursula von der Leyen , che predica il green deal, a scoprire che il coronavirus per la sua Germania è un macello? La signora von der Leyen vorrebbe - per concedere all'Italia i soldi del chimerico Recovery fund - che noi ci adeguassimo al green deal e imparassimo dai tedeschi come si fa. Purtroppo per l'Italia Giuseppe Conte è disposto a tutto e con lui il Pd. Ebbene sarà il caso che facciano mente locale su questa storiella.Ci sono in questo momento nel Nord Reno Vestfalia e per la precisione a Gütersloh 7.000 persone in quarantena perché nel più grande macello, con circa 6.000 occupati, della Tönnies - fattura tra salsicce e arrosti 6,9 miliardi di euro ogni anno - hanno trovato 650 operai addetti all'abbattimento del bestiame e alla lavorazione della carne positivi al virus. Questo è il sesto caso a scoppiare nei macelli della Germania rigorosissima e costringe Angela Merkel a pensare a misure drastiche. In Italia il politicamente, gastronomicamente ed ecologicamente corretto si è subito impalcato dicendo: il consumo di carne danneggia l'ambiente, fa male agli animali ed è il brodo di coltura del coronavirus. Qualcun altro - i soliti virologi a gettone - sostiene che siccome i macelli sono al chiuso, sono umidi e freddi il virus si fa delle scorpacciate. E non solo, è la dimostrazione che con il freddo il coronavirus si rianima e dunque tutti pronti per la seconda ondata in autunno. Insomma il partito forza Covid si è ingrassato con le proteine animali. Peccato che il problema non sono i macelli, di sicuro non sono né i maiali né i vitelli perché è certo che dalla carne di questi animali non c'è nessuna possibilità di contagio. Il problema sono le condizioni in cui si lavora nei macelli tedeschi. E non solo, visto che in America, in Canada, in Brasile, in Spagna, in Olnad e in Polonia, dove ci sono i colossi dell'agroalimentare mondiale, i macelli sono stati tutti luoghi di contagio, perché in quei Paesi si lavora con poche protezioni sanitarie e contrattuali. Chi sono gli occupati del settore all'estero? I gitani della mannaia, i disperati del coltello. Spesso sono rumeni, bulgari, ma anche nordafricani che girano da un macello all'altro lavorando a cottimo, a volte dormendo in roulotte o in baracche. Lavorano senza controlli per 3 euro all'ora e affamano i nostri allevatori. La promiscuità è totale e non siamo molto distanti dal caporalato. È un problema che riguarda gran parte dell'industria della carne nel mondo. Tranne che l'Italia. Lo chiarisce molto bene Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, che sottolinea: «L'industria delle carni tedesche non ha niente a che fare con quella italiana. La diffusione del Covid in quegli impianti è legata al fatto che da sempre in Germania si utilizzano cooperative dell'Est Europa che si spostano da un macello all'altro in condizioni e standard di lavoro e di promiscuità in Italia assolutamente non consentiti. Se confrontiamo questi dati tedeschi con quelli delle principali industrie delle carni italiane localizzate in regioni ad alto rischio per i contagi come Lombardia ed Emilia, che sono anche le più grandi d'Europa, vediamo che nelle nostre aziende il fenomeno delle infezioni è stato praticamente inesistente con tassi di incidenza nei lavoratori inferiori, anche nel massimo dell'emergenza Covid, alla media delle stesse province. Controlli più seri e frequenti e diversi standard lavorativi spiegano tale differenza. Con buona pace di pseudo virologi che già si affannavano a spiegare che il freddo era l'elemento predisponente e ad annunciare seconde ondate senza conoscere i dati reali».E a dire che è così sono i dati. In Italia ci sono 2.000 macelli, quanti in Germania, e quelli grandi sono un 10% in entrambe i Paesi. Ma qual è la differenza? Che in Italia ci sono 6.000 veterinari contro i meno di 2.000 della Germania, che i protocolli di sicurezza alimentari italiani sono più severi di quelli europei e che in Italia si fanno mediamente 40.000 ispezioni all'anno e in Germania non si arriva a 10.000. Una situazione, quella della Germania (è il primo produttore europeo con 680.000 tonnellate al mese di cui oltre 450 di maiale) che ha costretto Angela Merkel a istituire il divieto del subappalto e multe da 30.000 euro. Su 90.000 addetti delle maggiori imprese tedesche, il 60 % è costituito da lavoratori stranieri impiegati con contratti da mini jobs. Dice la Merkel che dal 2021 vieterà questi contratti, ma intanto l'Italia a causa di questa concorrenza sleale ha macellato il 41% in meno di bovini e il 24% in meno di suini, con i nostri operatori contagiati da un virus molto pericoloso: l'ipocrisia dell'Europa.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





