2020-10-27
«La Cina vuole occupare i nostri porti col consenso di Berlino»
Lo storico ed economista Giulio Sapelli: «Dopo Gibuti e Atene, il Dragone punta agli scali italiani. Dobbiamo creare un asse con Stati Uniti e Russia»Folgorati dal miraggio del consumismo e malati di nichilismo, abbiamo smesso di fare figli e delocalizzato la produzione. Dopo aver superato la crisi legata alla pandemia, l'Impero di mezzo rimpiazzerà la nostra civiltà con il plauso della ChiesaLo speciale contiene due articoliLa pandemia sta producendo delle forti conseguenze sul sistema portuale internazionale. Non soltanto dal punto di vista tecnico ed economico, ma anche geopolitico. Un fattore che vede in primo piano soprattutto l'iperattivismo della Cina. Per cercare di fare maggiore chiarezza sulla situazione, La Verità ha deciso di intervistare il professor Giulio Sapelli, presidente del comitato scientifico del Centro studi BlueMonitorLab. Professor Sapelli, qual è l'impatto della pandemia sul sistema portuale? «Il sistema portuale è un gateway. È una tipica via, come già ci aveva insegnato Venezia, che aveva costruito tutto un insieme di paratie sociosanitarie per impedire che le merci portassero delle pandemie. Adesso non sono solo le merci che portano le pandemie, ma in una via di globalizzazione e di traffico marittimo più rapido di un tempo, i virus hanno ancor più possibilità di mantenere la carica virale. Il grande cambiamento strutturale che ha avuto il commercio marittimo dal punto di vista tecnologico ha ridotto la percentuale degli esseri umani, ma gli esseri umani ci sono sempre. Nei porti c'è una relazione che naturalmente è molto più tecnologizzata e si possono tenere le distanze, però l'elemento pandemico è sempre presente. Soprattutto quando si tratta di un virus come questo, che deriva - ora ne siamo certi - da difetti di macellazione delle carni, in Stati come quello cinese, che è l'unico Paese al mondo che continua a non avere un criterio di purezza, legato alla macellazione degli animali vivi. Il porto è quindi il punto terminale di una catena pandemica, che la tecnologia paradossalmente non sa ancora come respingere. I porti devono per questo trasformarsi rapidamente in un presidio sanitario».Secondo il rapporto «Italian maritime economy 2020», la pandemia può offrire occasione per un rinnovamento delle catene di approvvigionamento. Che cosa ne pensa?«In primo luogo, bisogna usare il cosiddetto “Internet delle merci". Quindi avere la possibilità di uno screening attento sull'origine delle merci. Poi è molto importante la tracciabilità. Questa deve essere una prerogativa degli Stati, soprattutto quando si ha a che fare con Stati che hanno bassi criteri di sanificazione. Ci sono tecnologie che consentono di fare degli screening e soprattutto di usare i gas igienizzanti, come l'ozono. Non a caso, il prezzo di questi gas è cresciuto enormemente. La cosa che mi ha colpito - a differenza di quello che hanno fatto negli Stati Uniti - è che in Europa non è previsto nessun sussidio, nessun aiuto, per incentivare l'uso dei gas igienizzanti. Bisogna poi aumentare il grado di automazione del carico e scarico delle merci. Bisogna concentrarsi sul criterio del risparmio di manodopera, che vuol dire dedicare questa manodopera ad altri lavori, riqualificandola. Su questo si dovrebbe cominciare ad agire in modo coordinato: cosa che non mi pare si stia facendo. L'Organizzazione mondiale della sanità è stata totalmente assente, come se il mondo non dipendesse dal commercio internazionale via mare».Come giudica l'interesse nutrito dalla Cina nei confronti dei porti italiani? «La Cina vede nei porti italiani l'altra pedina nel suo gioco di dama, dopo Gibuti e dopo Atene. Abbiamo innanzitutto Gioia Tauro, mentre il prossimo colpo che i cinesi vorranno fare è sicuramente il porto di Taranto. La strategia della Cina è quella di comprare naturalmente le élite dei Paesi in cui investono oppure di eliminare per via giudiziaria coloro che si oppongono. L'Italia è la via d'accesso all'hinterland di Trieste e quindi ai Paesi dell'Est. C'è un accordo sino-tedesco per penetrare e in questo modo minacciare l'appartenenza atlantica dell'Europa». La Cina sta manifestando sempre più interesse per la Rotta del Mare del Nord. A che cosa punta esattamente Pechino? «Pechino punta alle stesse cose a cui puntano i russi. Già vent'anni fa, quando abbiamo visto i primi momenti di erosione della calotta polare, bisognava essere consapevoli che poteva diventare un modo per non passare più per Capo Horn o per Suez. Bisogna inoltre ricordare che noi abbiamo piantato la bandiera italiana nel Polo Nord, quindi anche noi potremmo avere un certo interesse, ma dovrebbe essere un interesse che l'Italia rende manifesto, non soltanto dal punto di vista scientifico. Tornando a Pechino, i cinesi vedono lì un asse di rafforzamento della potenza geopolitica. In questo è molto importante che gli americani mutino il loro atteggiamento con la Russia. E l'Italia dovrebbe lavorare in questo senso».Quindi lei mi sta dicendo che, se vogliono contenere l'influenza cinese sulla Rotta del Mare del Nord, gli Stati Uniti dovrebbero ricorrere a una distensione con la Russia?«Non c'è nessun dubbio. Ma basta guardare la carta geografica. I cinesi devono fare un lungo tratto di costa siberiana. Quindi c'è poco da fare, a meno che non trasportino su treno. Ma allora non ha più senso arrivare poi - che so - a Danzica o a un porto russo. Infatti i cinesi hanno fatto l'accordo del Gruppo di Shanghai».Negli Stati Uniti Joe Biden sta conducendo una campagna antirussa e ambientalista. Crede che una vittoria di Biden potrebbe favorire Pechino nella Rotta del Mare del Nord?«Se volesse favorire la Cina, disvelerebbe l'inganno cinese. Perché tutto quello che la Cina dice sul rispetto dei protocolli di Parigi è falso. Perché, se si va a vedere, la maggioranza della produzione di energia elettrica in Cina viene ancora fatta col carbone. Se Biden volesse allearsi con la Cina e nello stesso tempo mantenere le promesse ambientaliste, sicuramente non gli sarebbe possibile».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-cina-vuole-occupare-i-nostri-porti-col-consenso-di-berlino-2648502934.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pechino-vince-perche-loccidente-si-suicida" data-post-id="2648502934" data-published-at="1603747961" data-use-pagination="False"> Pechino vince perché l’Occidente si suicida È sempre più evidente che, grazie al Covid 19, la Cina ha vinto sia la guerra economica che quella sanitaria, mentre noi in Occidente stiamo perdendo entrambe. Così il XXI secolo dovrebbe essere il secolo cinese. Ciò anche grazie al nichilismo che ha profanato e corrotto la nostra cultura nell'ultimo mezzo secolo. Abbiamo smesso di avere e cercare valori forti, abbiamo smesso di credere a qualcosa di trascendente, abbiamo smesso di fare figli e abbiamo conosciuto solo il ritmo frenetico del consumismo a debito necessario a compensare il crollo del Pil dovuto al crollo delle nascite. La Cina ne ha beneficiato perché la sua manodopera lavorava in condizioni di schiavitù, oppressa da una dittatura comunista e pragmatica. Eppure il prefetto della Accademia pontificia delle scienze riconosce che in Cina si vive la Dottrina sociale della Chiesa. Noi occidentali, illusi che meno figli equivalesse a sembrare più intelligenti e colti, nonché a diventare più ricchi, abbiamo compensato la decrescita con il consumismo. Per far crescere il nostro potere di acquisto e i consumi, per circa quarant'anni, abbiamo delocalizzato produzioni dai nostri Paesi in Cina, trasferendovi tutto: tecnologie, know how, capacità ed esperienze, e all'inizio anche capitali. Così noi abbiamo creato la nuova potenza economica del XXI secolo. In Cina, secondo i neomalthusiani di Stanford negli anni '70, sarebbero dovuti morire di fame centinaia di milioni di persone prima dell'anno 2000, a causa della crescita demografica. Invece ora la Cina si appresta a dominare il mondo con più di un miliardo e quattrocento milioni di abitanti. In più, con questa pandemia, la Cina si rafforza in modo straordinario. Probabilmente non sapremo mai se il virus è stato inventato per qualche scopo o è stato solo un errore, possiamo solo immaginarne le conseguenze dirette ed indotte. La prima e più evidente conseguenza è un maggior indebolimento economico dell'Occidente e un ulteriore rafforzamento economico della Cina, che sembra essere uscita dalla crisi pandemica con una crescita economica che supera il 2%, a fronte di una decrescita del resto del mondo (Usa -5%, Europa -8%, America latina -8%). La seconda conseguenza, ancora poco evidente, è il rischio di potenziale «semi-sterminio» di vecchi e malati in Occidente grazie alla sconfitta sanitaria. La Cina invece ha vinto la guerra quasi senza vittime (se raccontano il vero), avendo avuto solo il 2% del totale dei deceduti americani e il 10% di quelli italiani. I neomalthusiani hanno ancora una volta sbagliato tutte le previsioni: non è in Cina che si muore per la crescita demografica, è in Occidente, ma per la ragione opposta. Gli scenari per il futuro lasciano immaginare un ulteriore rafforzamento cinese. Una possibile guerra fredda tra Usa e Cina non avvantaggerà certo l'Occidente, ma provocherà un indebolimento di dollaro ed euro, crescita dell'inflazione e dei tassi di interesse, più Stato, più debito, meno crescita, meno globalizzazione, più autarchia e soprattutto una ulteriore decrescita della popolazione in Occidente, e perciò la sua fine. Ciò implicherà per molti Stati occidentali, che temono un declino del ruolo degli Usa dopo le elezioni, se perdesse Donald Trump, la tentazione di cinesizzarsi con alleanze strategiche con Pechino. Mi riferisco alla Nuova via della seta, agli accordi sul 5G, alla produzione di auto elettriche (la Cina ha il semi-monopolio del Litio, indispensabile per le batterie delle auto elettriche). Si direbbe che l'Europa (Italia inclusa) tema di non poter fare a meno di alleanze con la Cina. Il che rafforzerà Pechino ancora di più, è inevitabile. Oggi la sola cosa che appare esser certa per l'Occidente è la decrescita economica e demografica. Una decrescita, persino auspicata dalla autorità morale della Chiesa cattolica, che sarà seguita dalla drastica riduzione di vecchi inutili e malati costosi da curare. Il cosidetto pragmatismo cinese fa già parte della nuova cultura occidentale inquinata dal nichilismo. È perciò probabile che la civiltà occidentale possa venire sostituita dalla civiltà cinese, grazie anche ad un misterioso supporto ricevuto dalla stessa nostra lungimirante Chiesa. Benedetto XVI era preoccupato per la crescita del potere economico della Cina in Europa, così contagiata dal nichilismo, immaginando che dalla Cina avremmo importato i suoi beni, ma anche i suoi valori. E Benedetto XVI era ben consapevole che con valori relativizzati, una morale cattiva scaccia la morale buona. Ed una civiltà scompare, sostituita da un'altra. Spesso però peggiore. Come nella storia del tiranno di Siracusa, Dionisio.
Jose Mourinho (Getty Images)